Hawker's Poor man's commento
Romani 6:18-23
Essendo poi liberati dal peccato, siete diventati servi della giustizia. (19) Parlo alla maniera degli uomini a causa dell'infermità della vostra carne: poiché come avete ceduto le vostre membra servi all'impurità e all'iniquità all'iniquità; anche così ora consegnate le vostre membra servi alla giustizia alla santità. (20) Poiché quando eravate servi del peccato, eravate liberi dalla giustizia. (21) Quale frutto avevate allora in quelle cose di cui ora vi vergognate? perché la fine di queste cose è la morte.
(22) Ma ora che siete stati liberati dal peccato e siete diventati servi di Dio, avete il vostro frutto per la santità e per fine la vita eterna. (23) Perché il salario del peccato è la morte; ma il dono di Dio è la vita eterna per mezzo di Gesù Cristo nostro Signore.
Lettore! quando l'Apostolo dice, come all'inizio di questi versetti: Liberati dal peccato, siete diventati servi della giustizia; dobbiamo stare attenti a non portare il senso troppo lontano. Tu ed io non siamo completamente liberi dal peccato. Tanto lontano da ciò, che è il mio dolore costante, che sono tanto oggetto di peccato. Lo so, sento, porto con me un corpo di peccato e di morte. Nei pensieri, nelle parole e nelle azioni, quante volte sento l'azione del peccato nella mia natura.
E così poco sono diventato un servitore della giustizia, che la mia lamentela quotidiana alla fine della giornata è, quanto poco ho vissuto per la gloria divina. Ma l'Apostolo non intende, per libertà dal peccato in un caso, o servo della giustizia nell'altro, uno stato di perfetta santità davanti a Dio. Tutto ciò che si intende dalle parole dell'Apostolo è che, in virtù della redenzione in Cristo, il suo popolo sia liberato dal potere di condanna del peccato e sia portato nella gloriosa libertà dei figli di Dio.
E come tali, hanno il loro frutto, cioè gli effetti benedetti della redenzione di Cristo alla santità, sì, la santità di Dio nostro Salvatore, loro in virtù dell'unione e della comunione con Lui; e la fine della vita eterna. Grace qui, un sicuro pegno di gloria nell'aldilà.
E ammiro il modo molto suggestivo con cui l'Apostolo riassume il Capitolo, quando traccia la bella, ma giusta distinzione del peccato, nelle sue ultime conseguenze; e la giustizia in Cristo, come parte del credente per sempre. L'Apostolo chiama salario per la fine del peccato e dichiara che quel salario è la morte. Poiché, come un servo fa alleanza con il suo padrone, per ricevere il salario alla fine del suo lavoro: così, il peccatore come veramente si impegna a ricevere la morte, che è il suo giusto salario, quando alla morte si trova davanti al tribunale di Cristo.
Ma l'Apostolo varia l'espressione rispetto ai fedeli servitori del Signore, quando descrive la vita eterna, che succederà alla vita presente. Non lo chiama salario, ma dono: perché non è guadagnato, ma dato. Non l'esigenza del merito, ma la benedizione della grazia; atto libero, volontario e grazioso del Signore, come suo dono. Il dono di Dio, che è la vita eterna, per Gesù Cristo nostro Signore, grazie a Dio per il suo dono ineffabile!