Parlato in modo sconsiderato. Se discutiamo tutte le parole di Giobbe, (dice S. Gregorio) non troveremo parlato di empio; come si può desumere dalle parole del Signore stesso; (cap. XLII. ver. 7, 8.) ma ciò che era riprovevole in lui era il modo di esprimersi a volte, parlando troppo della propria afflizione e troppo poco della bontà di Dio verso di lui, che qui riconosce come sconsiderata , (Challoner) o meglio come effetto di un'ignoranza incolpevole; (Haydock) come l'attuale ordine delle cose essendo allora nuovo, confuse la sagacia sia di Giobbe che dei suoi amici.

I malvagi erano stati precedentemente vittime della giustizia, ma d'ora in poi, dice Giobbe, (ebraico) "se non sarà così, chi può convincermi di mentire?" (Cap. XXIV. 25.) Eppure non discerneva perfettamente l'intenzione di Dio, nell'abbandonare i suoi servi al potere di satana, finché il Signore stesso non l'aveva spiegata nelle parabole di behemoth e leviathan. Poi Giobbe testimoniò la sua convinzione e tutta la sua sottomissione, cap.

xli. 5. Houbigant osserva che la Vulgata è forse meno accurata qui, e [in] cap. xli. 3., come Dio scagiona Giobbe, ver. 8. Tuttavia quest'ultimo potrebbe almeno temere, di aver ecceduto in parole, dopo una domanda così pungente. Possiamo tradurre, (Haydock) dall'ebraico, "Ecco, io sono vile, (Calmato) cosa ti risponderò?" (Protestante) o Settanta, "Perché sono ancora giudicato, ammonito e rimproverato dal Signore, ascoltando queste cose?" (Grabe, dopo Origene, segna con un obel ciò che segue, come non si trova in ebraico) "Io, che non sono niente, che risposta darò dunque a queste cose?" (Haydock) --- Se discutiamo di tutti i discorsi di Giobbe, non troviamo nulla di cattivo, ma solo una specie di orgoglio, nel parlare troppo delle sue sofferenze e troppo poco della bontà e della giustizia di Dio, che avrebbe dovuto confessare.

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