Esposizione di G. Campbell Morgan
Esodo 3:1-22
Alla fine la vera chiamata di Dio giunse a Mosè. Lo trovò ad adempiere a un dovere quotidiano, custodendo le pecore di suo suocero. Non c'è dubbio che nelle silenziose solitudini del deserto avesse meditato sulla condizione del suo popolo. Quarant'anni, invece, cambiano qualsiasi uomo. L'impetuosità focosa che lo caratterizzava a quarant'anni era maturata in autocontrollo e mansuetudine a ottant'anni.
Nella misteriosa manifestazione del fuoco Dio disse al Suo servo alcune cose che stanno alla base di tutto ciò che deve seguire. "Ho visto... ho sentito... lo so... vengo... ti manderò." Non c'è da stupirsi che Mosè abbia risposto: "Chi sono ESSO" Ti sembra strano che quando Dio aveva parlato di Sé Mosè fosse cosciente di sé? Non è strano. La luce della gloria divina rivela sempre l'uomo a se stesso. Da qui il grido: "Chi sono io?" La risposta fu immediata e piena di grazia: "Certo sarò con te".
La seconda difficoltà si presentò subito a Mosè. Pensava alle persone a cui era stato inviato e chiedeva: 'Chi devo dire che mi ha mandato?'' Per agire con autorità, era consapevole che lui stesso doveva conoscere meglio Dio. La risposta era triplice: primo, per se stesso, "IO SONO QUELLO CHE SONO"; secondo, per Israele, "il Dio dei tuoi padri"; infine, per Faraone, "Geova, il Dio degli Ebrei.
" All'incarico di guida di Mosè ci fu una comunicazione diretta del Suo segreto. Al popolo fu dato un Nome che ricordava loro un patto che non poteva essere infranto. Il Faraone poteva conoscere Dio solo attraverso il popolo eletto. Così le difficoltà di Mosè furono riconosciuti ma posti alla luce di una grande rivelazione divina.