Dicendo: «C'è un uomo lasciato prigioniero da Felice, del quale, mentre ero a Gerusalemme, i sommi sacerdoti e gli anziani dei Giudei mi hanno informato, chiedendo la condanna contro di lui. Al quale ho risposto che non è consuetudine de' Romani rinunciare a nessuno, prima che l'accusato abbia faccia a faccia gli accusatori e abbia avuto modo di difendersi circa la questione che gli è stata rivolta.

I fatti erano questi. Aveva trovato questo prigioniero che Felice aveva lasciato in catene, ma che era cittadino romano. Questo doveva significare che aveva fatto qualcosa di sbagliato. E quando si era recato a Gerusalemme ciò era stato confermato dal fatto che i capi ebrei avevano sporto denuncia su questo prigioniero e avevano chiesto che fosse condannato e presumibilmente giustiziato. Avevano chiesto "la condanna contro di lui" con l'accusa di morte (violazione del Tempio e slealtà a Cesare).

Tuttavia non era stato disposto a sottomettersi alla loro sola parola e aveva fatto notare che i giudici romani non condannavano gli uomini senza prove e senza dare a questa persona una giusta voce. Ogni uomo aveva il diritto di affrontare i suoi accusatori e di stabilire la propria difesa. Tutto questo è stato del tutto ammirevole.

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