Ma Paolo gridò a gran voce, dicendo: Non farti del male, perché siamo tutti qui.

Ma Paolo gridò a gran voce - per meglio arrestare l'atto fatale,

Non farti del male; perché siamo tutti qui. Che calma divina e padronanza di sé! Nessuna esaltazione per la loro miracolosa liberazione, né fretta di approfittarne: ma un pensiero riempì la mente dell'apostolo in quel momento: l'ansia di salvare un simile dal mandarsi nell'eternità, ignaro dell'unico modo di vivere; e la sua presenza di spirito appare nell'assicurazione che così prontamente dà al disperato, che i suoi prigionieri non avevano fuggito nessuno di loro, come temeva.

Ma come, è stato chiesto da recenti critici scettici, come poteva Paolo nella sua prigione interiore sapere cosa stava per fare il carceriere? In molti modi concepibili, senza supporre alcuna comunicazione soprannaturale. Così, se il carceriere dormiva alla porta della "prigione interna", che si spalancò all'improvviso quando il terremoto scosse le fondamenta dell'edificio; se pure, come si può facilmente concepire, emise qualche grido di disperazione vedendo le porte aperte; e se il fragore dell'acciaio, come l'uomo spaventato lo trasse frettolosamente dal fodero, fu udibile a pochi metri di distanza, nel silenzio mortale di mezzanotte - accresciuto dalla soggezione ispirata ai prigionieri dal miracolo - che difficoltà c'è nel supponendo che Paolo, vedendo in un momento come stavano le cose, dopo aver gridato, gli si avvicinasse in fretta, pronunciando la nobile supplica qui registrata? Non meno piatta è la domanda, perché gli altri prigionieri liberati non sono fuggiti; come se ci fosse la più piccola difficoltà a capire come, nell'incrollabile convinzione che ci debba essere qualcosa di soprannaturale nella loro istantanea liberazione senza mano umana, tale meraviglia e la soggezione dovrebbe possederli da togliere per il momento non solo ogni desiderio di fuga, ma anche ogni pensiero sull'argomento.

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