Commento critico ed esplicativo
Matteo 25:40
E il Re risponderà e dirà loro: In verità vi dico: in quanto l'avete fatto a uno di questi miei minimi fratelli, l'avete fatto a me.
E il Re risponderà e dirà loro: In verità vi dico: in quanto l'avete fatto a uno di questi miei minimi fratelli, l'avete fatto a me. Straordinario dialogo questo tra il Re, dal Trono della Sua gloria, e il Suo popolo meravigliato! "Ero affamato e mi avete dato carne", ecc. - "Non noi", rispondono, "Non l'abbiamo mai fatto, Signore: siamo nati fuori dal tempo stabilito e non abbiamo goduto del privilegio di servirTi.
''Ma l'avete fatto a questi miei fratelli, ora accanto a voi, quando gettati sul vostro amore'. 'Verità, Signore, ma questo ti stava facendo? Il tuo nome ci era davvero caro, e abbiamo ritenuto che fosse un onore troppo grande soffrirne vergogna. Quando tra gli indigenti e gli afflitti scorgemmo qualcuno della famiglia della fede, non negheremo che il nostro cuore sobbalzò dentro di noi alla scoperta, e quando il loro bussò alla nostra dimora, "le nostre viscere si commuovevano", come se "il nostro Amato Egli stesso aveva messo nella sua mano per il foro della porta".
Dolce era la comunione che avevamo con loro, come se avessimo "divertito angeli inconsapevoli"; ogni differenza tra chi dà e chi riceve in qualche modo si dissolse sotto i raggi di quel Tuo amore che ci univa; anzi, poiché ci lasciavano con gratitudine per i nostri poveri doni, sembravamo i debitori, non loro. Ma, Signore, siamo stati tutto quel tempo in compagnia di Te?' 'Sì, quella scena era tutta con Me', risponde il Re-Me sotto le mentite spoglie dei Miei poveri.
La porta chiusa contro di Me da altri è stata aperta da te.' - "Mi hai accolto." Presi e imprigionati dai nemici della verità, voi che la verità aveva reso libero mi cercavate diligentemente e mi trovaste; visitandomi nella mia cella solitaria a rischio della vostra stessa vita, e rallegrando la mia solitudine: mi avete dato una veste, perché tremavo; e poi ho sentito caldo. Con coppe d'acqua fredda avete inumidito le Mie labbra riarse; quando affamati di fame mi avete fornito con croste, e il mio spirito si è rianimato - "L'AVETE FATTO A ME.
"Quali pensieri si affollano su di noi mentre ascoltiamo una simile descrizione delle scene del Giudizio Universale! E alla luce di questa visione del Dialogo celeste, quanto calva e miserabile, per non dire antiscritturale, è quella visione a cui ci siamo riferiti all'inizio, il che lo rende un dialogo tra Cristo e pagani che non hanno mai sentito nominare il suo nome e, naturalmente, non hanno mai sentito nei loro cuori alcun moto del suo amore! questa scena, che i cristiani non avrebbero mai potuto porre domande come vengono fatte qui i "beati del Padre di Cristo".
Se ci fosse qualche difficoltà a spiegarlo, la difficoltà dell'altro punto di vista è tale da renderlo, quanto meno, insopportabile. Ma non c'è una vera difficoltà. La sorpresa espressa non è nel sentirsi dire che hanno agito per amore di Cristo, ma che Cristo stesso era l'oggetto personale di tutte le loro azioni: che lo trovarono affamato e lo rifornirono di cibo; che gli portarono dell'acqua e dissetarono la sua sete; che, vedendolo nudo e tremante, gli misero addosso abiti caldi, gli fecero visita quando giacevano in prigione per la verità, e si sedettero al suo capezzale quando erano sdraiati per la malattia.
Questa, questa è l'interpretazione stupefacente che Gesù dice che "il Re" darà loro delle proprie azioni quaggiù. E qualsiasi cristiano risponderà: 'Come potrebbe questo stupirli? Non sa ogni cristiano che fa proprio queste cose, quando le fa, proprio come sono qui rappresentate? Anzi, è concepibile che non debbano stupirsi, e quasi dubitare delle proprie orecchie, nell'udire dalle labbra del Giudice un simile resoconto delle proprie azioni sulla terra? E ricorda, quel giudice è venuto nella sua gloria, e ora siede sul trono della sua gloria, e tutti i santi angeli sono con lui; e che è da quelle labbra glorificate che vengono fuori le parole: "Voi avete fatto".
tutto questo per ME.' Oh, possiamo immaginare una parola del genere rivolta a noi stessi, e poi immaginarci di rispondere: "Certo che l'abbiamo fatto - A chi altro abbiamo fatto qualcosa? Devono essere altri oltre a noi a cui ci si rivolge, che non hanno mai saputo, in tutte le loro buone azioni, di cosa si trattasse'? Piuttosto, possiamo immaginarci non sopraffatti dallo stupore, e a malapena in grado di accreditare la testimonianza resaci dal Re?