2 Tessalonicesi 3:6

I. In questo brano l'Apostolo insegna ai Tessalonicesi che nella tranquillità, nella quiete del cuore e della vita, essi sono separatamente, non solo per lavorare, ma per fare il proprio lavoro, e quindi non hanno bisogno di nessuno. Così il pane che è loro sarà loro doppiamente dolce. Se torniamo alla metafora militare che sta alla base della parola "disordinato" e può anche essere alla base della parola "ritirarsi", possiamo mettere un altro detto dell'Apostolo in connessione con queste ingiunzioni.

"Ognuno porterà il proprio fardello", il proprio carico proprio e personale. La parola è usata per indicare l'equipaggiamento o lo zaino di un soldato. Nella guerra cristiana, quindi, ogni soldato fedele deve vedere che ha il proprio peso, e che non ne grava un altro, né prende quello di un altro invece del proprio. Tutti gli atti di questo tipo sono un camminare disordinato.

II. I credenti hanno quindi un lavoro quotidiano da fare; non solo il lavoro cristiano, ma tutto il lavoro svolto in spirito cristiano. Il resoconto dei loro giorni non deve mai essere come quello che si dice si sia trovato nel diario di Luigi XVI, dopo la prima Rivoluzione francese, la semplice parola che ricorre quasi su ogni pagina: "Niente, niente!" Il tempo invece va riscattato, non sprecato.

III. "Ma voi, fratelli, non stancatevi di fare il bene". L'Apostolo li esorta a non perdersi d'animo, a non svenire come vili, nel fare tutto ciò che è onorevole e buono tutte le azioni che sono giuste in se stesse e beate nei loro risultati. Nell'ingiunzione c'è un elogio implicito. Già ora sono impegnati nel bene e sono spinti, dalla perseveranza in ciò, a manifestare «la pazienza di Cristo.

C'è da fare bene nel senso più ampio della parola. Scrutando l'immensa circonferenza dell'amore umano, il popolo di Cristo non deve mai venir meno nell'opera di lasciare il mondo migliore di come l'ha trovato. «A suo tempo raccoglieremo se non sveniamo".

J. Hutchison, Lezioni sui Tessalonicesi, p. 322.

Riferimento: 2 Tessalonicesi 3:6 . Rivista del sacerdote, vol. ii., pag. 81.

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