Filippesi 1:22

I. Nel testo San Paolo sembra soppesare la sua vita contro l'allontanarsi e lo stare con Cristo. Non dobbiamo supporre che parli solo del suo caso, come di un caso eccezionale, di una di quelle vite gravemente afflitte che fanno desiderare agli uomini la morte solo come fine delle loro sofferenze terrene; ma dobbiamo piuttosto intenderlo come se dichiarasse che partire e stare con Cristo è assolutamente molto meglio della vita qui, migliore per tutti, uno stato d'essere più elevato, un'esistenza di maggiore benedizione.

Ed è evidente su quale terreno. San Paolo dichiara questa preferenza: il partire non è un mero partire, ma è un partire per stare con Cristo. La magnificazione di Cristo fu l'unico grande fine della vita dell'Apostolo: realizzare l'amore di Cristo, conformarsi all'immagine di Cristo, mostrare agli uomini, non solo con la parola, ma con la vita e con l'esempio, un quadro della vita di Cristo questo era la cosa per cui l'Apostolo si sforzava; e indubbiamente la luce che ha mai brillato sulla sua fede è stata questa: l'intera convinzione che un giorno sarebbe dovuto essere con Cristo e vederlo così com'è.

Se in questa vita aveva solo una visione fioca e debole di Cristo, e tuttavia trovava anche quello indicibilmente più luminoso e migliore di qualsiasi altra cosa che potesse vedere in questo mondo, che meraviglia se desiderava quella comunione più stretta con il suo Signore che credeva avrebbe gli fosse concesso quando aveva messo da parte il peso della carne?

II. Siamo tutti posti qui nel mondo di Dio, dotati di vari poteri e diversi talenti; eccoci a restare per qualche anno, e poi tutti a morire. Cinquant'anni cosa c'è nella storia del mondo? eppure tra anche cinquant'anni quanti di noi rimarranno ancora in questa vita? La domanda allora si impone su di noi come creature ragionevoli: per cosa siamo messi qui, e perché dovremmo desiderare di rimanere? La risposta è semplice: siamo messi qui per realizzare la nostra salvezza e per il beneficio dell'altro.

Non deve angosciare nessuno scoprire che la lingua di san Paolo è fuori dalla sua portata; avrebbe fatto molto meglio a confessare onestamente che è così, che fingere che non lo sia; ma se un uomo desidera questa vita, almeno la desideri per una buona fine. Che abbia una visione profonda e sobria della sua missione nel mondo, perché ognuno è inviato per un fine importante; ognuno di noi ha la sua opera e il suo Maestro, che ne chiederà conto.

Noi tutti siamo successori di san Paolo sotto questo aspetto, e ciò che formava per lui la principale catena della vita dovrebbe occupare nella nostra mente una posizione simile a quella che fece nella sua.

Bishop Harvey Goodwin, Parrocchia Sermoni, 2a serie, p. 245.

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