Commento biblico del sermone
Filippesi 2:20-21
I. In questi e simili brani delle Epistole di San Paolo scritte dopo la sua carcerazione, possiamo tracciare i segni di una delle tante prove della vita dell'Apostolo; ed è uno che forse difficilmente stimiamo nella sua misura reale. La vita di San Paolo in questo momento deve essere sembrata quella che chiamiamo un fallimento. La grande opera per la quale visse si era infranta contro gli ostacoli naturali di un ordine saldamente costituito: la religione; legge; le abitudini ei pregiudizi della società; le riconosciute indulgenze della passione umana.
I suoi viaggi missionari erano giunti al termine, e non aveva riconciliato Ebreo e Gentile, i suoi fratelli secondo la carne, a lui tanto cari, i suoi fratelli secondo la promessa, la sua corona e la sua gioia. La marea che lo aveva portato così in alto stava diminuendo, e lo lasciò solo e deserto, appena riconosciuto o curato, tranne che dai suoi lontani amici in Oriente. "Demas mi ha abbandonato." "Alla mia prima risposta nessuno è stato con me, ma tutti mi hanno abbandonato", sono le parole della sua ultima lettera romana.
La sua carriera, il suo zelo, erano finiti in un disastro. Questo è ciò a cui sembrava essere arrivato; questo sarebbe apparso all'amico e al nemico quando fu condotto a morire lungo la via Ossian, colui che aveva posto le basi della Chiesa universale, la Chiesa di tutte le nazioni, colui che aveva lasciato un nome che quale nessun nome terreno è più grande del quale non c'è più grande tra i santi di Dio.
II. Per una fede come quella di san Paolo queste apparizioni avverse, sebbene potessero strappargli via via un grido di dolore e di angoscia, assumevano un aspetto molto diverso e assumevano proporzioni molto diverse da quelle che avrebbero avuto per il mondo. Per lui le mere vicissitudini di una carriera mortale non sarebbero più strane delle variazioni della sua salute o del numero dei suoi anni. Erano solo una parte dell'uso che il suo Maestro faceva di lui, parte di quella croce mediante la quale il mondo fu crocifisso per lui ed egli per il mondo.
Tanto che aveva fedelmente fatto ciò che Dio voleva da lui, i tratti esteriori di quel piccolo frammento di tempo che chiamiamo la sua vita erano di lieve importanza. Poco importava che così tanto che sembrava un corso iniziato trionfalmente sembrava finire tra i frangenti. Poco importava a lui quando morì che il mondo dei suoi giorni dichiarasse l'impresa della sua vita un errore e un fallimento.
III. Non dobbiamo avere paura per una buona causa delle possibilità di fallimento. "Il paradiso è per coloro che hanno fallito sulla terra", dice il proverbio beffardo; e dal giorno del Calvario nessun cristiano deve vergognarsi di accettarlo. Il mondo avrebbe perso alcuni dei suoi esempi più alti se gli uomini avessero sempre aspettato di poter fare un patto con successo. Là nella luce al di là del velo, e non qui, conosceremo realmente quali sono le cause perse e quali quelle vittoriose; quelli che non hanno avuto paura di essere come Lui qui, saranno come Lui là, perché Lo vedranno così com'è.
Dean Church, Oxford University Herald, 18 febbraio 1882.