Commento biblico del sermone
Filippesi 3:19-20
I. Altri, dice san Paolo, hanno la mente rivolta alle cose di sotto; l'appetito è il loro dio; fanno del Vangelo stesso un mezzo di guadagno mondano; ciò di cui si vantano è proprio ciò di cui un cristiano dovrebbe vergognarsi; e la fine di queste cose è la morte. Quando il mondo muore, anche i suoi figli ei suoi sudditi devono perire. Ma non siamo del mondo. Già, anche in questa vita, la nostra cittadinanza è in paradiso; e là è sempre rivolto il nostro sguardo, in attesa della Sua venuta che già ora è il nostro Re, e un giorno sarà anche il nostro Liberatore e nostro Salvatore.
II. Se qualcosa per un momento ci mostra a noi stessi come siamo, spogliandoci del travestimento con cui comunemente ci imponiamo non solo agli altri, ma anche a noi stessi, c'è qualcosa che ci colpisce così dolorosamente come questa convinzione? che siamo prevalentemente di mentalità terrena; che, qualunque cosa possiamo essere o non essere, abbiamo cose sulla terra per il nostro pensiero e per il nostro sentimento. C'è una quiete e un autocompiacimento nel successo mondano che ci mette, per così dire, di buon umore con entrambi i mondi: con Dio in alto e l'uomo in basso.
Ma porta via un mondo, e che ne è stato dell'altro? È un errore supporre che l'afflizione, in qualsiasi forma, spinga gli uomini a Dio. Può col tempo, con dolore, preghiera e molte lotte, rendere l'uomo dalla mente celeste più celestiale; ma si potrebbe quasi dire che abbia un effetto opposto sull'empio e sulla mente terrena, mostrandogli subito il suo stato e fissando quello stato su di lui.
Dipende da ciò, lui, e solo lui, che ha un paese in alto, sarà mai libero dagli interessi in basso; e se mai volesse sfuggire alla terribile condanna di aver badato alle cose terrene, sarà perché Dio, nella sua infinita misericordia, ci ha dato il conforto e la gioia di poter dire con il cuore: la mia casa non è qui; la mia cittadinanza è in paradiso.
CJ Vaughan, Lezioni sui Filippesi, p. 263.