Commento biblico del sermone
Giovanni 16:26-27
L'intercessione di Cristo
I. Sebbene la difesa di Cristo per noi sia una parte preziosa della Sua mediazione e un conforto per i timidi supplicanti, non c'è dubbio che sia molto esposta a gravi e pericolosi equivoci. Niente è più facile che spingere un'analogia, tratta dalla vita umana, oltre il punto in cui cessa di applicarsi al Divino. C'è una falsa idea, secondo la quale Gesù diventa l'influente Patrono alla cui voce, implorando i suoi sfortunati clienti, è aperto l'orecchio dell'Eterno, perché Egli è l'Amato del Padre e Compagno di Geova.
Il peggior risultato di questa perversione della dottrina è che essa divide in due il carattere divino e ne ripartisce i tratti tra la prima e la seconda delle persone benedette. Perché la tendenza di una tale rappresentazione è di raccogliere nel Padre più lontano, al cui seggio del giudizio Gesù supplica, tutti gli attributi più severi dell'ira, della giustizia rigorosa e della durezza da vincere; mentre Gesù Cristo diventa l'Amico pacifico e mite, pieno di pietà per la nostra causa, sui cui buoni uffici presso il Padre dobbiamo edificare la nostra speranza.
II. Come rappresentare a noi stessi l'intercessione di Cristo, mentre custodiamo con gelosia come quella di Cristo l'amore spontaneo del Padre? La rappresentazione scritturale di Cristo come intercessore rafforza la fede dei penitenti, tenendo presente la virtù incessante della sua espiazione come unico motivo della loro accettazione. Il Padre non ha certo bisogno di essere né spinto, né persuaso, né supplicato di estendere quella misericordia che è gioia e gloria della sua Paternità estendere a ogni penitente.
Ma abbiamo bisogno di essere incoraggiati a confidare nella Sua misericordia. Pertanto, sempre più, quell'Uomo che ha portato i nostri peccati è da considerare come la mano destra dell'advocacy. Accanto al Padre «di infinita maestà», così come infinito amore, c'è Uno al di sopra il cui amore non è più, ma la cui maestà è minore. Si trova più vicino a un uomo di quanto possa fare chiunque non sia un uomo. Cerchiamoci e, quando per il misterioso vincolo della fratellanza umana ci ha così conosciuti nelle nostre avversità, dica al Padre ciò che non possiamo dire. Ci giustifichi, se può, o si confessi per noi, o preghi in nostro nome, perché la sua suprema mansuetudine sembrerà adeguata; e andrà bene.
J. Oswald Dykes, Sermoni, p. 176.