Commento biblico del sermone
Proverbi 1:28
Il Vangelo di Cristo dà il perdono dei peccati; e poiché questa è la sua stessa essenza, così anche in ciò che leggiamo connesso al Vangelo di Cristo è sempre predominante il tono dell'incoraggiamento, della misericordia, dell'amorevolezza verso i peccatori. Ma c'è ancora un altro linguaggio, che si ritrova sia nell'Antico che nel Nuovo Testamento, linguaggio non tanto comune quanto quello della misericordia, ma ripetuto molte volte; una lingua di cui abbiamo anche bisogno tanto quanto ce n'è mai stato bisogno, e della cui severità non possiamo risparmiare un briciolo più di quanto non possiamo risparmiare nulla del conforto dell'altro. La lingua a cui alludo è espressa, tra l'altro, dalle parole del testo.
I. Dovremmo, suppongo, permettere che queste parole non siano mai state così vere nella vita terrena di un uomo come lo saranno nel giorno del giudizio. Approfondiamo un po' questo principio e arriviamo al nostro caso. Le parole del testo saranno più vere nel giorno del giudizio che mai sulla terra, eppure sulla terra spesso sono vere sostanzialmente e praticamente. E anche così, potrebbero essere più fedeli a ciascuno di noi tra qualche anno di quanto non lo siano in questo momento; e tuttavia, in un certo grado, possono essere vere in questo momento, non assolutamente e interamente, ma parzialmente; tanto vero da dare solenne attenzioni, se non siamo avvertiti in tempo, della loro più intera verità in futuro, prima in questa vita terrena, poi, più perfettamente di tutte, quando risorgeremo nell'ultimo giorno.
II. Le preghiere senza risposta, le risoluzioni infrante, non sono in realtà una chiamata a Dio senza che Egli ci ascolti; un cercarlo senza trovarlo? Sappiamo cos'è che impedisce a Dio di ascoltarci sempre: perché non siamo completamente uno in suo Figlio Cristo Gesù. Di tutti noi, quelli a cui piace meno pregare, che hanno pregato con il minor beneficio, hanno più bisogno di pregare ancora. Se hanno cercato Dio, senza trovarlo, badino che questo non accada per sempre.
T. Arnold, Sermoni, vol. iv., p. 85.