Commento biblico del sermone
Romani 8:22-23
Gemiti di natura non rinnovata e rinnovata.
I. Tutte le cose portano su di loro strani segni di bene e di male. Ciascuno ci rappresenta una parte della gloria del suo Creatore, ciascuna delle nostre vanità. Ci assistono solo con la loro corruzione; vivono, solo per morire. I semi non crescono, ma periscono; una volta cresciuti sono il nostro cibo attraverso la loro distruzione. I fiori non si trasformano in frutto, ma per lo sbiadire della loro gloria. Tutto sembra faticare, tutti i cambiamenti, tutti i decadimenti, tutti, in un giro stanco e inquieto, sembrano dire: "Non dimoriamo per sempre, qui non c'è il tuo riposo". La creatura, quindi, è soggetta alla vanità, attraverso la decadenza esteriore; esso stesso deperibile, e serve a fini deperibili.
II. Ma più! Era tutto formato "molto buono" a lode del suo Creatore; ed ora, per cui non è stato disonorato? Se bello, l'uomo lo ama e lo ammira senza o più di Dio, oppure lo adora al posto di Lui. Se qualcuno porta il male esteriore, l'uomo in occasione di esso mormora contro il suo Creatore. Tutto intorno a noi e in noi porta tristi segni della Caduta. Come allora per noi la morte deve essere la porta dell'immortalità e della gloria, così in qualche modo per loro.
Onde la Sacra Scrittura dice altrove: "La terra invecchierà come una veste"; e quelli che vi abitano moriranno allo stesso modo. Come dunque noi, quanti siamo in Cristo, non periamo del tutto, ma deponiamo solo la corruzione, per essere, mediante una nascita nuova e immortale, rivestiti di incorruttibilità, così anche loro.
III. Il sapore delle cose celesti accende ma la sete più ardente di averle. Come mai abbiamo così pochi di questi desideri celesti? In due modi si raggiunge il desiderio di Dio, e nessuno dei due gioverà senza l'altro. Primo, disimparare l'amore di sé e del mondo e delle sue distrazioni; in secondo luogo, contemplare Dio, la sua amorevole benignità e le sue ricompense promesse. Dedica, mattina dopo mattina, le azioni della giornata a Dio; vivere alla sua presenza, fare le cose o lasciarle incompiute, non semplicemente perché è giusto o gentile, tanto meno secondo il mero carattere naturale, ma per Dio.
Se facciamo di Dio il nostro fine, Colui che ci ha dato la grazia di cercarlo così, ci darà il suo amore; Egli aumenterà il nostro desiderio ardente per Lui; e chi in tutto cerchiamo, chi in tutto vorremmo, chi in tutto vorremmo, lo troveremo, lo possederemo, qui in grazia e velato, di là in gloria.
EB Pusey, Sermoni, vol. ii., pag. 304.
Riferimenti: Romani 8:22 ; Romani 8:23 . Rivista del sacerdote, vol. ii., pag. 193; T. Arnold, Sermoni, vol. i., pag. 94; WJ Keay, Pulpito del mondo cristiano, vol. xiv., pag. 340; AC Tait, Sermoni della Chiesa, vol. i., pag. 305.