Commento biblico del sermone
Salmi 90:10
È un paradosso, eppure, come molti altri paradossi, anche un ovvietà, dire che la morte generalmente altera, a volte capovolge, l'intera stima di una vita. Non si può dubitare che in tali casi il secondo giudizio, se non assolutamente giusto, sia il più giusto al confronto. Il vero giudizio è l'ultimo, non l'intermedio. Questa è una differenza reale e pratica per noi viventi. Se la presenza o l'assenza di certe qualità o principi deve rendere una vita buona o cattiva, onorevole o di cattiva reputazione, in retrospettiva dalla tomba o dal seggio del giudizio, cosa dovrebbe essere adesso? Come possiamo vivere così ora da essere dichiarati allora di aver vissuto la vita giusta? Prendi, da una moltitudine, tre caratteristiche.
I. Disinteresse. Quando il criterio di questo Salmo si applica a una vita, vedremo subito che deve essere fatale per una vita egoistica. Il disinteresse è la prima condizione dell'uomo eterno. Si vede un anello, un anello molto insignificante, in una catena che lega insieme due eternità. Non può cadere e adorare il collegamento. Deve essere vero, deve essere retto, o rompe la catena. Poiché la catena è calata dal trono di Dio, e lega insieme inintelligibile altrimenti l'unione di Dio creatore e Dio giudice.
II. La seconda condizione di una vita immortale è che sia religiosa. In generale è l'uomo religioso che sopravvive alla morte. Credo che quando la morte è passata una volta, anche la terra è giusta. Credo che la terra stessa renda omaggio solo ai santi morti. Quando l'ambizione è nella polvere, la storia apprezza la virtù, applaude la fede. La vita che deve vivere dopo la morte, sia in terra che in cielo, deve essere una vita religiosa, cristiana.
III. La vita che la terra immortalerà è una vita non tanto di potere, ma di amore. Siamo tutti per natura adoratori, idolatri, schiavi, del potere. Non è il potere, non è l'arguzia, non è il genio, tanto meno il successo d'ufficio o l'onore, è l'amore, che rende un uomo immortale. Per il suo amore, per la sua tenerezza, per la sua simpatia, gli perdonerai molte colpe e molte mancanze; conserverai la sua memoria finché durerà la vita per quell'unica parola, quella riga, quello sguardo, che ti disse che ti capiva, che provava per te, che era tuo amico.
CJ Vaughan, Parole di speranza, p. 206.