DISCORSO: 2326
SCELTA DI MOSÈ

Ebrei 11:24 . Per fede Mosè, divenuto adulto, rifiutò di essere chiamato figlio della figlia del Faraone; scegliendo piuttosto di soffrire afflizione con il popolo di Dio, piuttosto che godere dei piaceri del peccato per una stagione; stimando il biasimo di Cristo ricchezze maggiori dei tesori in Egitto: poiché aveva rispetto per la ricompensa della ricompensa .

È un grande vantaggio per noi essere a conoscenza delle Sacre Scritture, non solo perché da esse impariamo i principi della religione, che non possono derivare da altra fonte, ma perché vediamo in esse esempi che hanno su di loro il marchio e impronta dell'approvazione di Dio, e che quindi non possiamo presumere di disapprovare. Se un individuo dei giorni nostri avesse agito come fece Mosè nell'istanza davanti a noi, non dubito che saremmo stati tutti d'accordo nel condannarlo come sconsiderato, entusiasta e poco saggio.

Non conoscendo le sue motivazioni, o non riconoscendogliene il merito, non avremmo potuto formulare un giusto giudizio sulle sue azioni: ma siamo certi che la scelta operata da Mosè, per quanto assurda potesse apparire a chi più immediatamente legato a lui, fu veramente lodevole. Nel portarlo davanti a te, mi sforzerò,

I. Per spiegarlo—

Qui devono essere notate due cose:

1. La sua condotta—

[Egli fu, dopo il Faraone, il primo uomo in tutto il paese d'Egitto, essendo stato adottato dalla figlia del Faraone come suo figlio, e considerato tale dal Faraone stesso. Tutti i piaceri, le ricchezze e gli onori che l'uomo poteva possedere, con l'eccezione del solo diadema imperiale, erano alla sua portata, o piuttosto egli ne godeva proprio. Eppure a tutti questi rinunciò: e non in una stagione in cui per la giovinezza non poteva farne una giusta stima, o per l'età non poteva goderne, ma nel fiore degli anni, a all'età di quarant'anni, quando era giunto alla piena maturità sia del corpo che della mente [Nota: Esodo 2:11 .

Atti degli Apostoli 7:23 .]: e quando, «per aver appreso tutta la sapienza degli Egiziani [Nota: Atti degli Apostoli 7:22 .]», poté gustarli con un gusto, che un volgare e la mente non istruita non sa nulla e che nient'altro che la raffinatezza può conferire.

Tutti questi li sacrificò volontariamente e con uno scopo determinato, “rifiutando” di essere più riconosciuto sotto il carattere augusto della figlia del Faraone, e scegliendo piuttosto di apparire nel proprio carattere di figlio di Abramo.

Mentre Mosè era in questo stato elevato, i suoi fratelli secondo la carne soffrivano sotto la più dolorosa oppressione. Unirsi a loro era sottomettersi a tutto il rimprovero e alla crudeltà sotto cui gemevano. Eppure li riconobbe come suoi parenti: e partecipò volontariamente con loro alla loro sorte: discendendo così subito dalla più alta eminenza del regno al più basso stato di degrado e di infamia.]
Per avere una giusta visione di questa condotta dobbiamo notare,

2. Il principio da cui procedeva:

[Ci viene detto che agì così “per fede”. Per fede vide che gli ebrei erano esclusivamente “il popolo di Dio”; e che, come tali, qualunque cosa potessero sopportare dall'uomo, erano e dovevano essere felici; poiché Dio, il Dio di tutta la terra, era il loro Dio e li stimava come suo proprio tesoro. Vide anche che il rimprovero che era stato lanciato su di loro era stato lanciato su di loro “per amore di Cristo”, nel quale professavano di credere come il loro futuro Messia, il Salvatore del mondo.

Se avessero scelto di sposarsi con gli egiziani e di diventare un solo popolo con loro, non avrebbero sofferto nulla dal Faraone, ma sarebbero andati come il resto dei suoi sudditi: ma, mantenendo salda la loro considerazione per Abramo come loro padre, e la loro aspettativa di Cristo come discendenti da uno dei suoi discendenti, si esponevano a tutte le offese che poteva infliggere un monarca invidioso, crudele e dispotico: sicché il loro rimprovero era propriamente «il rimprovero di Cristo», essendone Cristo stesso l'oggetto , e subendola, per così dire, nella persona del suo popolo [Nota: Vedi Atti degli Apostoli 9:4 .

Colossesi 1:24 .]. Vide inoltre che le afflizioni che patirono per amore di Cristo sarebbero state a tempo debito ricompensate; e che tutti coloro che hanno partecipato alle loro sofferenze, dovrebbero partecipare anche alla loro ricompensa. Come i patriarchi guardavano con fede a una città celeste ea un paese celeste, così Mosè guardava a una ricompensa celeste; nella prospettiva del quale era disposto a rinunciare a tutto ciò che questo mondo poteva dargli, e a sostenere tutto ciò che i suoi più potenti e malvagi nemici potevano infliggergli. In effetti, sotto questo punto di vista, stimò che il rimprovero fosse "ricchezza", "grandi ricchezze", sì, "ricchezze maggiori di tutti i tesori d'Egitto".]

Ma poiché la saggezza di questa condotta può essere messa in dubbio, procederò,

II.

Per rivendicarlo—

Si può pensare che questo provvedimento fosse superfluo, inopportuno e assurdo: ma,

1. Non era superfluo—

[Circostanzato com'era, divenne lui a comportarsi come faceva. Era, lo ammetto, molto in debito con la figlia del Faraone: e doveva considerarla con tutto il rispettoso affetto che apparteneva alla parentela in cui era stato adottato da lei. Ma il suo dovere verso il Dio di Abramo era al di sopra di ogni altro: e avrebbe peccato, se avesse unito la sua fedeltà a Dio nei confronti di qualsiasi creatura.

All the pleasures which he had enjoyed, however innocent in themselves, were “pleasures of sin,” as long as he continued to acknowledge the God of the Hebrews as his God, and the faith of the Hebrews as his faith. The neglecting to confess his God was, constructively, to deny him: and, if he continued any longer to deny God, he could expect nothing but to be denied of God in the day of judgment. The measure therefore which he adopted was not unnecessary, but absolutely necessary, both for his peace in this world, and his happiness in the world to come.]

2. It was not inexpedient—

[It might be supposed, that if he had continued, like Joseph, at the head of the Egyptian government, he might have mitigated their sorrows, even though he should never be able to effect their release. But he had a secret intimation from God, that the time of their deliverance drew nigh, and that he was to be the instrument by whom they should be delivered. And so strong was this impression upon his mind, that he engaged in the work rashly and prematurely, without any direction from God; and thereby reduced himself to the necessity of fleeing to a foreign land, to avoid the punishment to which his own unwarrantable temerity had exposed him [Note: Atti degli Apostoli 7:24.

]. The question in his mind was, What duty to his God required? and he was not at liberty to calculate then on matters of expediency, or to weigh in the balance of carnal reason the possible or probable issues of different events. His duty was to obey God; and to leave to God to save his people in his own time and way, according to his own infallible and eternal counsels.]

3. It was not absurd—

[Moses looked beyond the concerns of time, and acted with eternity in view. He knew that his pleasures, riches, and honours, how great soever they were, were only “for a season;” and that the afflictions to which he was about to subject himself, were also “for a season” only; whereas the recompence which his sacrifices would insure him, was eternal. What comparison then could there be between these things? or what room was there for hesitating one moment which he should prefer? If he gained the whole world, what would it profit him, if he lost his own soul? or if, by sacrificing the whole world, his soul should be saved, what reason could he have to regret the sacrifice? His choice then was that which sound wisdom dictated, and true piety inspired.


In truth, this is no other choice than what all the Prophets and Apostles in their respective ages have approved. David “would rather be a door-keeper in the house of his God than dwell in the tents of ungodliness [Note: Salmi 84:10.]:” And why? Because, as he tells us in another psalm, “A little that a righteous man hath is better than the riches of many wicked [Note: Salmi 37:16.

];” better in its possession, better in its operation, better in its end. Solomon was of precisely the same mind [Note: Proverbi 15:16.]. St. Paul, like Moses, actually “suffered the loss of all things, and accounted them but dung, that he might win Christ [Note: Filippesi 3:8.

].” Having made a sacrifice of every thing, so far was he from feeling himself impoverished by his loss, that, “when he had nothing, he accounted himself as possessing all things [Note: 2 Corinzi 6:10.];” and actually “took pleasure in all his necessities and distresses, from a consideration of the benefit which would accrue from them to himself, and the glory to his Lord and Master [Note: 2 Corinzi 12:9.

].” St. Peter confirms this view of the subject most fully, and in terms too which are peculiarly applicable to the case before us: for he declares, that the sufferings of God’s people are “Christ’s sufferings;” that from them arises much honour to God, and much benefit to the soul; and that they are rather to be accounted grounds of joy, than occasions of sorrow and regret [Note: 1 Pietro 4:12.

]. To these I will only add the testimony of our Lord himself, who, in the epistle to the Church of Smyrna says, “I know thy works, and tribulation, and poverty; but thou art rich [Note: Apocalisse 2:9.].”

After such testimonies as these, we cannot but approve the conduct to which our text refers.]

From this subject then we may see,
1.

How erroneous are the views of worldly men!

[The men of this world set a high value on the things of time and sense, whilst sin appears in their eyes but a light and venial evil. By them, suffering is more dreaded than sin: and the loss of an opportunity of honouring God is of no account in comparison of the loss of great honours and great emoluments. They will strain every nerve to combine the irreconcileable services of God and mammon: and, if the one or the other must be sacrificed, they will hold fast their pleasures, their riches, and their honours, instead of parting with them for the Lord, “To forsake all and follow Christ,” is to them a hard lesson, which they cannot, and will not, learn.

But the example of Moses must be followed by us all, so far at least as our circumstances are similar to his. We must all confess Christ openly before men. We must all unite ourselves to his people, and take our portion with them. Whatever cross may lay in our way, we must take it up cheerfully, and bear it after him, “going forth to him without the camp, bearing his reproach [Note: Ebrei 13:13.

].” We are not indeed of necessity called to renounce the highest distinctions: because they may be held, and the most important offices in the state may be executed, in perfect consistency with our duty to God; as no doubt they were by Daniel: but if the hope of acquiring eminence, or the fear of losing it, deter us from the performance of any duty, or lead us to a compliance with any sin, we are then called to take the decided part that Moses did, and to forsake all for Christ.

Let us then not seek great things either for ourselves or our children: or, if we possess them, let us not seek our happiness in them, but in God alone. If we possess not his favour, though we had kingdoms in our possession, we are poor: but if he be our God, then, though bereft of every thing else, we are rich.]

2. How blessed they are who live by faith!

[True it is that the whole of their life is foolishness in the eyes of unconverted men: and they must of necessity meet with many reproaches and persecutions for the truth’s sake. But, notwithstanding all that they are, or can be, called to endure for righteousness’ sake, the very worst of their portion is better than the best of the portion of ungodly men: the best that the world can give, is its treasures: and the worst that the believer can receive, is its reproaches and persecutions: yet is the reproach which the believer sustains for Christ’s sake, greater riches than all the treasures of Egypt.

How superior then must the believer’s portion be in the eternal world! If the believer in a dungeon is richer, and happier, than the unbeliever on a throne, what must his portion in heaven be when compared with the unbeliever’s in hell! Be not dejected, then, ye who are despised or persecuted for Christ’s sake, but by faith view your privileges, and expect your reward. Our blessed Lord has set forth the worst of your portion, and pronounced you in the midst of all “blessed.

” And he has set forth the best of the unbeliever’s portion, and denounced nothing but “woes” against him in the midst of all [Note: Luca 6:20.]. Take but eternity into your estimate of things, and have respect unto the recompense of your reward in heaven; then will every sacrifice be small, every suffering light, every service easy.

In such a frame you will rejoice to suffer shame for Christ’s sake, and account death itself, though of the most violent and cruel kind, a subject of desire rather than of fear, of self-congratulation rather than of sorrow [Note: Filippesi 2:17.]

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