Horae Homileticae di Charles Simeon
Giobbe 29:11-16
DISCORSO: 479
IL CARATTERE DI LAVORO
Giobbe 29:11 . Quando l'orecchio mi ha udito, allora mi ha benedetto: e quando l'occhio mi ha visto, mi ha dato testimonianza; perché ho liberato il povero che piangeva, l'orfano e colui che non aveva nessuno che lo aiutasse. Venne su di me la benedizione di colui che stava per perire: e feci cantare di gioia il cuore della vedova.
Rivestii la giustizia, ed essa mi rivestì: il mio giudizio fu come una veste e un diadema. Ero occhi per il cieco, e piedi per lo zoppo. Fui padre dei poveri: e la causa che non conoscevo, l'ho ricercata .
Vantarsi della propria bontà è segno sicuro di vanità e di follia: di vanità, perché tradisce un indebito desiderio di applausi dell'uomo; e di follia, perché vanifica il proprio fine, e lede la reputazione che intende esaltare. Tuttavia ci sono occasioni in cui possiamo, senza alcuna scorrettezza, dichiarare fatti, nonostante il loro accenno tenda a proclamare la nostra stessa lode.
Se, per esempio, siamo stati calunniati, possiamo rivendicare noi stessi; e, se contro di noi sono state addotte false accuse, possiamo confutarle, con una sincera ed esplicita dichiarazione di verità. Fu così che Giobbe fu portato a parlare di sé come fa nel brano che ci precede. I suoi amici non solo avevano concluso dalle sue straordinarie sofferenze che doveva essere particolarmente malvagio, ma si erano anche impegnati a precisare i crimini di cui era stato colpevole, e per i quali era stata inviata questa afflizione dispensa [Nota: Giobbe 22:5 .
]. È stato in risposta a queste accuse infondate che ha pronunciato, quello che sembra un elogio su di sé, ma quello che in realtà non era altro che un appello ai fatti per stabilire la propria innocenza.
Per noi è un vantaggio singolare che una tale affermazione sia mai stata fatta; perché ci mostra non solo quale dovrebbe essere il nostro carattere, ma ciò che è stato effettivamente raggiunto.
Al fine di apportare un opportuno miglioramento del brano, proponiamo di mostrare,
I. L'eccellenza di questo personaggio—
Dai particolari qui enumerati possiamo notare distintamente,
1. Il personaggio stesso—
[La prima cosa che attira la nostra attenzione è la benevolenza diffusiva di Giobbe . La miseria, dovunque si potesse trovare, era oggetto della sua tenera compassione e del suo assiduo riguardo: e quanto maggiore era quella miseria, tanto più imperioso considerava la sua chiamata ad alleviarla. Erano poveri, o ciechi, o zoppi, o vedove, o orfani o senza amici, si sentiva un padre verso di loro e si adoperava per soddisfare ogni loro bisogno.
Nell'esercizio di quella benevolenza mostrò il più attivo zelo . Non rimase finché non fu ricercata la sua interposizione: ma andò nei luoghi più frequentati della città, e «preparò il suo posto nella strada [Nota: ver. 7.]”, in modo che tutti possano avermi il più facile accesso a lui ed essere incoraggiati a diffondere i loro desideri davanti a lui. Si sono verificati spesso casi di notevole difficoltà; ma non risparmiò alcuna pena per informarsi di qualunque cosa potesse illuminare la questione, e per cercare in fondo la verità o la falsità di ogni affermazione, la forza o la nullità di ogni pretesa.
Nessun lavoro era considerato grande, quando poteva tendere al sollievo di problemi o alla conferma del diritto. A ciò aggiunse integrità senza macchia . Niente poteva per un momento influenzare il suo giudizio, o indurlo a deviare dal sentiero dell'equità. A volte capitava che avesse a che fare con potenti oppressori; ma non era intimorito dal potere, così come impassibile dalla ricchezza: sì, più potere trovava dalla parte dell'ingiustizia, più si proponeva con determinazione di ridurla entro i suoi limiti: «spezza le mascelle degli empi, e si strappò il bottino dai denti:” e l'effettuare ciò riteneva più onorevole di qualsiasi ornamento, sia di vesti magistrali, sia di un diadema imperiale [Nota: ver. 14.]
2. L'eccellenza di esso-
[Guarda che cosa ne pensavano tutti quelli che la videro in Giobbe: “Quando la macchina mi sentì, allora mi benedisse; e quando l'occhio mi ha visto, mi ha dato testimonianza». E ci chiediamo: Dov'è l'uomo nell'intero universo che non deve ammirarlo? Quale parte di esso non è degna della nostra imitazione? Che un tale carattere non sarà censurato, non lo affermiamo affatto: ma nessun uomo biasimerà la benevolenza, o lo zelo, o l'integrità, in quanto tale; devono prima mettervi sopra una costruzione sbagliata, prima di avventurarsi a pronunciare una parola contro di essa.
Dal vederlo in sé , contempliamolo nel suo aspetto sulla società . Quale bene incalcolabile non ne deve scaturire! Vedete un solo magistrato dotato di sapienza, d'integrità, di potere: guardatelo stendere tutto il suo tempo, la sua forza, la sua influenza nel comporre le divergenze e nell'alleviare ogni specie di afflizione: guardatelo fare questo con disinteressato zelo e instancabile diligenza: non sarà forse stimato come il "padre dei poveri?" e non "farà cantare di gioia il cuore di molte vedove?" Vedi un ministrodi tale descrizione, dedicandosi con uguale zelo alla somministrazione delle comodità temporali ai poveri, e sovraccaricando con analoga attenzione le loro necessità spirituali: a quanti sarà fatto fonte di bene, divenendo «occhi dei ciechi, e piedi allo zoppo!” Sicuramente in molti casi “la benedizione di colui che era pronto a perire” verrà su un tale ministro, e gli occhi e le orecchie di moltitudini lo testimonieranno.
Lo stesso vale per tutti coloro che sono nella vita privata , secondo l'estensione della loro sfera e la costanza dei loro sforzi. E se una volta tale diventasse il carattere generale della società, andrebbe lontano da bandire il male, morale oltre che temporale, dal mondo.]
Stabilita l'eccellenza di questo carattere, procederemo a segnare,
II.
The importance of cultivating it in ourselves, and of encouraging it in others—
1. Of cultivating it in ourselves—
[Were there nothing more than the acquiring of such intrinsic worth, and the being so assimilated to Jesus, “who went about doing good,” it were most desirable that we should be imitators of this holy man. But a resemblance to him is not merely desirable; it is necessary; for by our conformity to his character we must judge of our state before God; and by it we shall be judged in the last day.
The highest attainments, whether of knowledge or of faith, are nothing in God’s estimation, without an active, constant, self-denying exercise of love [Note: 1 Corinzi 13:1.]. This is the test by which we are to try our religion. We are told expressly, “that pure and undefiled religion is, to visit the fatherless and widows in their affliction [Note: Giacomo 1:27.
]:” and that by “bearing one another’s burthens we fulfil the law of Christ [Note: Galati 6:2.].” Without this, our faith is no better than the faith of devils [Note: Giacomo 2:14.], and all our professions of love to God are mere hypocrisy.
God himself repeatedly appeals to us on this very subject, as though he were willing to abide by the testimony of our own consciences [Note: 1 Giovanni 3:17; 1 Giovanni 4:20.]. To have any just evidence therefore that we belong to Christ, we must tread in the steps of holy Job.
This is the rule prescribed by that loving and beloved disciple, John: “My little children, let us love, not in word and in tongue, but in deed and in truth: for hereby know we that we are of the truth; and shall assure our hearts before him [Note: 1 Giovanni 3:18.].” These are “the things that accompany salvation [Note: Ebrei 6:9.
];” and by abounding in them we shall obtain a full assurance of hope [Note: Ebrei 6:11.], and an abundant entrance into the kingdom of our Lord [Note: 2 Pietro 1:7; 2 Pietro 1:10.].
But these habits are also necessary, because by our proficiency in them we shall be judged in the last day. Who can read the account of the day of judgment as given us by Christ himself, and not wish that he had cultivated more the dispositions of Job? Who that lives for himself, does not see cause to tremble? Let us deeply consider and diligently weigh the declarations of Christ [Note: Matteo 25:34; Matteo 25:41.], and we shall need no further arguments to prove the importance of cultivating love — — —]
2. Of encouraging it in others—
[It is thought by many, that it is better to distribute their alms themselves, than to do good through the medium of others. We grant that all may find proper objects of charity within their own immediate neighbourhood; and that, if every one would exert himself within his own circle, there would be little comparative need of persons to dispense our alms for us. But we know that some want time, some inclination, some ability, to seek out the poor, and to impart to them spiritual instruction with temporal relief.
Though therefore we certainly admit that it is well to reserve a portion of our alms for our own personal distribution, yet we cannot but say that it is of peculiar importance to encourage the activity of others; for by that, more extensive good is done—more grace is called forth into exercise—and more honour is brought to religion.
More extensive good is done.—Numberless are the cases wherein the poor require more assistance than it would be possible for an individual to afford them. It is on this account that hospitals and other public charities have been so universally established. For the same reason a society for relieving the poor must be of the greatest utility, because that can be done out of a public fund which cannot be done out of a private purse.
Moreover, where persons who have some degree of leisure and ability devote themselves to the various offices of charity, it must be supposed that they will acquire a greater fitness for the work, and consequently will perform it to more advantage. Besides, many, however fit for the work, and well disposed towards it, have not time to spare; and consequently much good must be left undone, if those who have time be not encouraged and enabled to improve it in this way.
More grace also is called forth into exercise.—We will suppose that in either case the same degree of grace is exercised both by the donor and the receiver of the alms: still the employing of the services of others has greatly the advantage; because it calls forth their graces, and strengthens in them a habit of benevolence. Methinks, it is like the training of soldiers for war; which gives them a martial spirit, and renders them more efficient in their work.
Many there are, possessed of wisdom and piety, who yet, on account of the narrowness of their own circumstances, are unable to visit the poor; because they cannot shew their sympathy in such a way as to render it acceptable to the poor themselves. But, if they be employed as the dispensers of the charity of others, they have scope for all the finer feelings of their souls, and are enabled to “rejoice with them that rejoice, as well as to weep with them that weep.”
We may add further, that more honour also is brought to religion.—It is said by the enemies of the Gospel, that the doctrine of salvation by faith alone leads to a neglect and contempt of good works. But, with Job, we will appeal to facts: Who are they that most abound in good works; those who talk about them, and profess to make them the ground of their hopes? or those who build all their hopes of salvation on Christ alone? Amongst which of these two classes shall we find those, who, not having funds of their own, are willing to become the almoners of others, that they may exert themselves with more effect in every office of love both to the bodies and the souls of men? The matter is too notorious to admit a doubt.
E questo non tende all'onore della religione? e non consultano gli interessi della religione, che incoraggiano tali società? Sì: e la nostra risposta a tutti coloro che denigrano la nostra fede è: "Superateci nelle buone opere [Nota: qui si può affermare l'eccellenza di ogni particolare carità, con un'opportuna esortazione a sostenerla.]."]