2 Re 4:1-44
1 Or una donna di tra le mogli de' discepoli de' profeti esclamò e disse ad Eliseo: "Il mio marito, tuo servo, è morto; e tu sai che il tuo servo temeva l'Eterno; e il suo creditore è venuto per prendersi i miei due figliuoli e farsene degli schiavi".
2 Eliseo le disse: "Che debbo io fare per te? Dimmi; che hai tu in casa?" Ella rispose: "La tua serva non ha nulla in casa, tranne un vasetto d'olio".
3 Allora egli disse: "Va' fuori, chiedi in prestito da tutti i tuoi vicini de' vasi vuoti; e non ne chieder pochi.
4 Poi torna, serra l'uscio dietro a te ed ai tuoi figliuoli, e versa dell'olio in tutti que' vasi; e, man mano che saran pieni, falli mettere da parte".
5 Ella dunque si partì da lui, e si chiuse in casa coi suoi figliuoli; questi le portavano i vasi, ed ella vi versava l'olio.
6 E quando i vasi furono pieni, ella disse al suo figliuolo: "Portami ancora un vaso". Quegli le rispose: Non ce n'è più dei vasi". E l'olio si fermò.
7 Allora ella andò e riferì tutto all'uomo di Dio, che le disse: "Va' a vender l'olio, e paga il tuo debito; e di quel che resta sostentati tu ed i tuoi figliuoli".
8 Or avvenne che un giorno Eliseo passava per Shunem, e c'era quivi una donna ricca che lo trattenne con premura perché prendesse cibo da lei; e tutte le volte che passava di là, si recava da lei a mangiare.
9 Ed ella disse a suo marito: "Ecco, io son convinta che quest'uomo che passa sempre da noi, e un santo uomo di Dio.
10 Ti prego, facciamogli costruire, di sopra, una piccola camera in muratura, e mettiamoci per lui un letto, un tavolino, una sedia e un candeliere, affinché, quando verrà da noi, egli possa ritirarvisi".
11 Così, un giorno ch'egli giunse a Shunem, si ritirò su in quella camera, e vi dormì.
12 E disse a Ghehazi, suo servo: "Chiama questa Shunamita". Quegli la chiamò, ed ella si presentò davanti a lui.
13 Ed Eliseo disse a Ghehazi: "Or dille così: Ecco, tu hai avuto per noi tutta questa premura; che si può fare per te? Hai bisogno che si parli per te al re o al capo dell'esercito?" Ella rispose:
14 "Io vivo in mezzo al mio popolo". Ed Eliseo disse: "Che si potrebbe fare per lei?" Ghehazi rispose: Ma! Ella non ha figliuoli, e il suo marito è vecchio".
15 Eliseo gli disse: "Chiamala!" Ghehazi la chiamò, ed ella si presentò alla porta.
16 Ed Eliseo le disse: "L'anno prossimo, in questo stesso tempo, tu abbraccerai un figliuolo". Ella rispose: "No, signor mio, tu che sei un uomo di Dio, non ingannare la tua serva!"
17 E questa donna concepì e partorì un figliuolo, in quel medesimo tempo, l'anno dopo, come Eliseo le aveva detto.
18 Il bambino si fe' grande; e, un giorno ch'era uscito per andare da suo padre presso i mietitori,
19 disse a suo padre: "Oh! la mia testa! la mia testa!" Il padre disse al suo servo: "Portalo a sua madre!"
20 Il servo lo portò via e lo recò a sua madre. Il fanciullo rimase sulle ginocchia di lei fino a mezzogiorno, poi si morì.
21 Allora ella salì, lo adagiò sul letto dell'uomo di Dio, chiuse la porta, ed uscì.
22 E, chiamato il suo marito, disse: "Ti prego, mandami uno de' servi e un'asina, perché voglio correre dall'uomo di Dio, e tornare".
23 Il marito le chiese: "Perché vuoi andar da lui quest'oggi? Non è il novilunio, e non è sabato". Ella rispose: "Lascia fare!"
24 Poi fece sellar l'asina, e disse al suo servo: "Guidala, e tira via; non mi fermare per istrada, a meno ch'io tel dica".
25 Ella dunque partì, e giunse dall'uomo di Dio, sul monte Carmel. E come l'uomo di Dio l'ebbe scorta di lontano, disse a Ghehazi, suo servo: "Ecco la Shunamita che viene!
26 Ti prego, corri ad incontrarla, e dille: Stai bene? Sta bene tuo marito? E il bimbo sta bene?" Ella rispose: "Stanno bene".
27 E come fu giunta dall'uomo di Dio, sul monte, gli abbracciò i piedi. Ghehazi si appressò per respingerla; ma l'uomo di Dio disse: "Lasciala stare, poiché l'anima sua e in amarezza, e l'Eterno me l'ha nascosto, e non me l'ha rivelato".
28 La donna disse: "Avevo io forse domandato al mio signore un figliuolo? Non ti diss'io: Non m'ingannare?"
29 Allora Eliseo disse a Ghehazi: "Cingiti i fianchi, prendi in mano il mio bastone e parti. Se t'imbatti in qualcuno, non lo salutare; e se alcuno ti saluta, non gli rispondere; e poserai il mio bastone sulla faccia del fanciullo".
30 La madre del fanciullo disse ad Eliseo: "Com'è vero che l'Eterno vive, e che vive l'anima tua, io non ti lascerò". Ed Eliseo si levò e le andò appresso.
31 Or Ghehazi, che li avea preceduti, pose il bastone sulla faccia del fanciullo, ma non ci fu né voce né segno alcuno di vita. Tornò quindi incontro ad Eliseo, e gli riferì la cosa, dicendo: "Il fanciullo non s'è svegliato".
32 E quando Eliseo arrivò in casa, ecco che il fanciullo era morto e adagiato sul letto di lui.
33 Egli entrò, si chiuse dentro col fanciullo, e pregò l'Eterno.
34 Poi salì sul letto e si coricò sul fanciullo; pose la sua bocca sulla bocca di lui, i suoi occhi sugli occhi di lui, le sue mani sulle mani di lui; si distese sopra di lui, e le carni del fanciullo si riscaldarono.
35 Poi Eliseo s'allontanò, andò qua e là per la casa; poi risalì, e si ridistese sopra il fanciullo; e il fanciullo starnutì sette volte, ed aperse gli occhi.
36 Allora Eliseo chiamò Ghehazi, e gli disse: "Chiama questa Shunamita". Egli la chiamò; e com'ella fu giunta da Eliseo, questi le disse: "Prendi il tuo figliuolo".
37 Ed ella entrò, gli si gettò ai piedi, e si prostrò in terra; poi prese il suo figliuolo, ed uscì.
38 Eliseo se ne tornò a Ghilgal, e v'era carestia nel paese. Or mentre i discepoli de' profeti stavan seduti davanti a lui, egli disse al suo servo: "Metti il marmittone al fuoco, e cuoci una minestra per i discepoli dei profeti".
39 E uno di questi uscì fuori nei campi per coglier delle erbe; trovò una specie di vite salvatica, ne colse delle colloquintide, e se n'empì la veste; e, tornato che fu, le tagliò a pezzi nella marmitta dov'era la minestra; perché non si sapeva che cosa fossero.
40 Poi versarono della minestra a quegli uomini perché mangiassero; ma com'essi l'ebbero gustata, esclamarono: "C'è la morte, nella marmitta, o uomo di Dio!" E non ne poteron mangiare.
41 Eliseo disse: "Ebbene, portatemi della farina!" La gettò nella marmitta, e disse: "Versatene a questa gente che mangi". E non c'era più nulla di cattivo nella marmitta.
42 Giunse poi un uomo da Baal-Shalisha, che portò all'uomo di Dio del pane delle primizie: venti pani d'orzo, e del grano nuovo nella sua bisaccia. Eliseo disse al suo servo: "Danne alla gente che mangi".
43 Quegli rispose: "Come fare a por questo davanti a cento persone?" Ma Eliseo disse: "Danne alla gente che mangi; perché così dice l'Eterno: Mangeranno, e ne avanzerà".
44 Così egli pose quelle provviste davanti alla gente, che mangiò e ne lasciò d'avanzo, secondo la parola dell'Eterno.
ESPOSIZIONE
TIPICO MIRACOLI BATTUTO DA ELISHA . Introduzione generale . I miracoli di questo capitolo sono tutti miracoli di misericordia. Il primo e l'ultimo consistono nella moltiplicazione del cibo, e quindi appartengono alla stessa classe del nutrimento di nostro Signore i quattro e dei cinquemila, ed Elia che aumenta il pasto e l'olio della vedova di Sarepta ( 1 Re 17:10). Non serve a nulla chiedersi come siano stati compiuti miracoli di questa classe. Gli scrittori ispirati non ce l'hanno detto; e i nostri pensieri sull'argomento possono essere, nel migliore dei casi, semplici congetture infondate. I tentativi razionalistici che sono stati fatti per risolvere il mistero mostrano una debolezza e una debolezza assolutamente puerili. Il secondo miracolo è la resurrezione di un morto, ed egli aspira, di conseguenza, alla classe molto ristretta di tali guarigioni, di cui nell'Antico Testamento ce ne sono solo tre (cfr 1 Re 17:17 , 1 Re 17:23 ; qui ; e 2 Re 13:21 ).
Il terzo miracolo consiste nel rendere adatto all'uso dell'uomo ciò che prima era inadatto, non per abilità o scienza umana, ma per miracolo; ed è analogo all'atto di Mosè per cui le acque di Mara cessarono di essere colpite ( Esodo 15:25 ), e a quell'altro atto di Eliseo stesso, per cui le acque di Gerico furono guarite ( 2 Re 2:19-12 ).
Evidentemente è scopo dello scrittore o compilatore di 2 Re raccogliere in questo luogo il principale, o comunque il più noto, degli atti miracolosi del grande profeta che successe ad Elia, e così preservarli dall'oblio. Questo oggetto, che ha cominciato a 2 Re 2:13 davanti in 2 Re 2:13 , continua a essere perseguito e forma un collegamento che unisce le varie narrazioni, fino a 2 Re 8:6 .
1. La moltiplicazione dell'olio della vedova.
Ora una donna delle mogli dei figli dei profeti gridò a Eliseo, dicendo: Da ciò apprendiamo che i "figli dei profeti" non erano semplicemente, tutti loro, studenti universitari, ma includevano padri di famiglia, che non possono aver vissuto una vita di clausura, ma devono aver avuto case separate per se stessi e le loro famiglie. Tali persone possono ancora aver insegnato nelle scuole profetiche, così come i tutori ei professori sposati delle moderne università.
Il tuo servo mio marito è morto. Eliseo aveva, sembra, conosciuto suo marito, che era stato il suo "servo", non letteralmente e nei fatti, ma nella volontà e nel cuore, cioè sempre pronto a servirlo. Ella ricorda questo fatto alla sua memoria, per predisporlo a suo favore. E tu sai che il tuo servo temeva il Signore. Ecco un secondo motivo per l'interferenza di Eliseo: il marito della donna era stato un uomo timorato di Dio, uno che non solo riconosceva Geova, ma lo adorava in spirito e verità.
C'è una tradizione ebraica, o leggenda, che il marito della donna fosse l'Abdia di 1 Re 18:3 , ma non si può fare affidamento su di esso. Abdia, il "governatore della casa di Acab", difficilmente può essere stato uno dei "figli dei profeti". E il creditore è venuto a prendergli i miei due figli ai servi. Nelle comunità primitive, gli uomini prendevano in prestito sul loro credito personale, e la principale garanzia del debito era considerata la loro stessa persona, il valore del loro lavoro e quello di coloro che da loro dipendevano.
In Grecia ea Roma, in origine, come nella comunità ebraica, i mutuatari di solito raccoglievano denaro impegnando le loro persone e, se non potevano pagare alla scadenza del debito, si mettevano in servitù con i loro figli. La Legge mosaica presuppone questo stato di cose, e ne permette il perdurare, ma sotto due aspetti interferisce per modificarlo:
(1) richiedendo che il servizio richiesto non sia severo ( Levitico 25:43 , Levitico 25:46 ), ma come era comunemente reso dai servi Levitico 25:43 ( Levitico 25:39 , Levitico 25:40 ); e
(2) limitando il periodo di servizio alla data del prossimo anno giubilare ( Levitico 25:40 : Levitico 25:41 ). Nell'istanza qui presentata sotto la nostra attenzione, sembrerebbe che il creditore non abbia proceduto a rivendicare i suoi diritti fino alla morte del debitore, quando li ha fatti valere contro i figli dell'uomo ( Nehemia 5:1 ).
Ed Eliseo le disse: Cosa devo fare per te? Eliseo riconosce subito l'invito a fare qualcosa per la donna. Questo è, senza dubbio, in parte, perché è una vedova. Le vedove erano, nella Legge, particolarmente raccomandate all'attenzione e alla cura dei fedeli. Come dice Bahr, "È una caratteristica ben nota della Legge mosaica, una caratteristica che è distintamente prominente, che ordina spesso e urgentemente di soccorrere le vedove e gli orfani e di prendersi cura di loro ( Esodo 22:22-2 ; Deuteronomio 14:29 ; Deuteronomio 24:17 , Deuteronomio 24:19 ; Deuteronomio 26:12 ; Deuteronomio 27:19 ).
Sono menzionati come rappresentanti degli abbandonati, degli oppressi e dei bisognosi come classe ( Isaia 10:2 ; Geremia 6:6 ; Geremia 22:3 ; Zaccaria 7:10 ; Matteo 3:5 ; Baruc 6:37). È particolarmente enfatizzato e lodato in Geova, che è il Padre e il Giudice ( i.
e. protettore dei diritti) delle vedove e degli orfani ( Deuteronomio 10:18 ; Salmi 68:5 ; Salmi 146:9 ; Isaia 9:17 , ecc.). La negligenza e il disprezzo nei loro confronti sono annoverati tra le offese più gravi ( Salmi 94:6 ; Giobbe 22:9 ; Ezechiele 22:7 ); così come, d'altra parte, la compassione e la cura per loro sono segno del vero timore di Dio e della vera pietà.
( Giobbe 29:12 ; Giobbe 31:16 ; Tobia 1:7; Giacomo 1:27 ). Eliseo poteva anche dedurre dal tono del discorso della donna che lei, come il suo defunto marito, era timorata di Dio. Dimmi, cosa hai in casa? Hai qualcosa, cioè, che puoi sporcare e così pagare il debito? E lei disse: La sua serva non ha nulla in casa, tranne una pentola d'olio ; letteralmente, salvo un'unzione d'olio ; cioè tanto olio quanto basterà per un'unzione della mia persona.
Poi disse: Va', prendi in prestito all'estero dei vasi da tutti i tuoi vicini, anche dei vasi vuoti; prendere in prestito non pochi. Dio non si ferma nei suoi doni ( Isaia 55:1 ). Quando li offre, gli uomini dovrebbero approfittare ampiamente dell'offerta , nello stesso spirito con cui è fatta (vedi sotto, 2 Re 13:19 ).
E quando sarai entrato, chiuderai la porta a te e ai tuoi figli. Il miracolo doveva essere compiuto di nascosto. Non c'era da richiamare l'attenzione, forse perché altrimenti il profeta sarebbe stato sommerso dalle richieste di altri; forse perché l'atto non era meramente meccanico, ma richiedeva che, durante la sua esecuzione, il cuore della donna e dei suoi figli fosse innalzato in preghiera e adorazione e gratitudine a Dio per la misericordia che stava elargisce.
L'interruzione dall'esterno avrebbe interferito con lo stato d'animo che si addiceva all'occasione. Confronta l'esecuzione segreta di molti miracoli da parte di nostro Signore. E verserai in tutti quei vasi, cioè quelli che avrai preso in prestito, e metterai da parte quello che è pieno ; cioè quando ogni recipiente è pieno, sarà tolto e messo da parte, e uno dei recipienti vuoti sarà sostituito, affinché il versamento possa essere continuo.
Così ella andò da lui, e chiuse la porta su di lei e sui suoi figli - cioè obbedirono esattamente agli ordini del profeta - che le portarono i vasi; e lei versò ; letteralmente, portano i vasi a lei , e lei versa fuori . Il modus operandi era stato lasciato alla donna e ai suoi figli, ed era così disposto e ordinato, in modo che non ci fosse confusione né fretta.
E avvenne che, quando i vasi furono pieni, ella disse a suo figlio: Portami ancora un vaso. Non le venne in mente che tutti i vasi erano già stati riempiti; così chiese a suo figlio un altro, per riempirlo. Ed egli le disse: Non c'è più vaso ; cioè tutti i vasi che abbiamo in casa sono pieni; non ne rimane uno vuoto.
E l'olio è rimasto. Dio non avrà rifiuti. Se l'olio avesse continuato a scorrere, sarebbe caduto sul pavimento della casa e non sarebbe servito a nessuno. Pertanto, quando tutte le navi furono piene, ci fu un arresto improvviso.
Poi venne e raccontò all'uomo di Dio ; cioè Eliseo. Non si sentiva in diritto di utilizzare l'olio che aveva ottenuto con la sua strumentalità senza prima dirglielo e ricevere le sue indicazioni in merito. Il profeta le diede con tutta semplicità e brevità. Ed egli disse: Va', vendi l'olio e paga il tuo debito, e vivi tu e i tuoi figli del resto. L'olio nelle navi era più che sufficiente per l'estinzione del debito. Il profeta ordina alla donna di vendere il tutto e, dopo aver soddisfatto con parte del denaro la pretesa del creditore, di mantenere se stessa e i suoi figli con la parte restante.
2. La promessa di un bambino alla Sunamita e il ripristino del bambino in vita.
E cade in un giorno, quello. L'espressione sembra arcaica. Si verifica solo eroe e nei capitoli iniziali del Libro di Giobbe (I. 6, 13; Giobbe 2:1 ). Il rendering più letterale sarebbe, e venne il giorno in cui . Eliseo passò a Sunem. Sunem era un villaggio della Galilea, situato nel territorio assegnato a Issacar ( Giosuè 19:18 ).
È ragionevolmente identificato con il moderno Solam , ai piedi sud-orientali del Gebel Duhy, o "Piccolo Hermon", un "fiorente villaggio circondato da giardini" (Porter), e "in mezzo ai più bei campi di grano in il mondo" (Bosco), ai margini della pianura di Esdrelon. Eliseo, nella sua progressione in diverse parti del regno settentrionale, venne in un'occasione a Sunem.
Dov'era una grande donna. Houbigant traduce stranamente "una donna abbronzata", sostenendo che una donna non sarebbe stata definita "grande" nel senso di "ricca" durante la vita del marito; ma nessun altro commentatore ha accettato la sua opinione. Il significato sembra essere che fosse una donna di sostanza, una benestante, forse una che aveva portato al marito la maggior parte della sua ricchezza. E lei lo costrinse a mangiare ampio ; io.
e. lo invitò a entrare mentre passava davanti a casa sua, e non volle negare. Confronta la pressante ospitalità di Lot, come narrata in Genesi 19:1 . E così avvenne, che ogni volta che passava, si voltava lì per mangiare il pane. Eliseo, a quanto pare, aveva spesso occasione di passare per Sunem mentre veniva dal Carmelo per visitare le città della Galilea, o viceversa . Era sua abitudine, in questi viaggi, consumare i pasti a casa della ricca Sunamita. Da qui nacque un sentimento di benevolenza da entrambe le parti e una stretta intimità.
Ed ella disse a suo marito: Ecco ora, vedo che questo è un santo uomo di Dio. Non tutti gli uomini di Dio soi-disant erano veramente religiosi e timorati di Dio. Al tempo di Eliseo, come in tutti gli altri, c'erano tra gli insegnanti di religione alcuni che erano "lupi travestiti da pecore": la Sunamita, dopo un certo periodo di conoscenza, giunse alla conclusione che Eliseo meritava il titolo che comunemente portava , era veramente un "uomo di Dio", un vero devoto servitore di Geova.
Desiderava quindi fare per lui più di quanto avesse fatto fino ad allora. che passa continuamente da noi ; cioè chi passa per il nostro villaggio, e così spesso pranza con noi.
Facciamo una piccola camera, ti prego, sul muro. Thenio intende "una camera murata", che suppone sia stata "costruita sul tetto piatto della casa"; ma è più probabile che si tratti di una piccola aggiunta alla camera superiore esistente della casa: una minuscola stanza appoggiata in parte sul muro della casa, in parte sporgente oltre, a modo di balcone. Tali camere da letto sono comuni nelle abitazioni orientali.
E mettiamo per lui un letto, aria una tavola, e uno sgabello, e un candeliere ; lotteria, un letto , e un tavolo , e una sedia , e una lampada: i mobili necessari di un appartamento che doveva essere usato, non solo; come camera da letto, ma anche per la pensione, per lo studio e forse per la composizione letteraria. E avverrà che, quando verrà da noi, vi tornerà.
Negli intervalli tra i suoi ministeri attivi, un profeta desidererebbe naturalmente il ritiro tranquillo, la sicurezza dall'interruzione. Avrebbe bisogno di riflettere, meditare, pregare, forse scrivere. La proposta della Sunamita mostra non solo gentilezza, ma premura e apprezzamento.
E avvenne un giorno che egli venne là, e si voltò nella camera, e là si coricò ; cioè dormito lì, passato la notte lì.
E disse a Ghehazi suo servo. Gehazi è qui menzionato per la prima volta. Sembra che sia stato il "servo" di Eliseo in un senso inferiore a quello che Eliseo era stato di Elia. Tuttavia, la sua posizione era tale che in un'occasione ( 2 Re 8:4 , 2 Re 8:5 ) un re d'Israele non disdegnò di tenere una conversazione con lui. Chiama questa Shunammite.
E quando l'ebbe chiamata, lei gli stava davanti ; cioè prima di Gheazi. Eliseo comunica con la donna tramite il suo servo, o comunque in sua presenza, probabilmente per evitare che sospetti di sconvenienza insorga nella mente di qualcuno. Non si deve parlare male del profeta del Signore.
Ed egli gli disse: Dille ora: Ecco, sei stata attenta — letteralmente, ansiosa — per noi con tutta questa cura — o, ansietà ; cioè tu ti sei preso tutta questa pena nell'accogliere me e il mio servo, e nel prenderci cura di noi, che cosa si deve fare per te? o, cosa c'è che avresti fatto per te ? C'è qualcosa che possiamo fare per te in cambio? Vuoi essere parlato per il re? Eliseo presume che abbia credito a corte e si offre di usarlo a favore della Sunamita, se lei ha qualche richiesta da preferire. Vediamo qualcosa della sua influenza in 2 Re 6:9 , 2 Re 6:21-12 ;2 Re 8:4 .
O al capitano dell'ospite? cioè la persona la cui autorità e influenza era prossima a quella del re. E lei rispose: Io abito in mezzo al mio popolo ; cioè "La corte non è nulla per me. Non voglio nulla da essa. Non ho alcun torto di cui lamentarmi, nessuna lite con nessuno dei miei vicini, in modo da aver bisogno dell'aiuto di un solo potere. Dimoro pacificamente in mezzo a loro.
Sono "la mia gente", amici o dipendenti." La risposta è quella di uno perfettamente soddisfatto della sua posizione. Forse mira a far capire a Eliseo che non ha avuto motivi egoistici in ciò che ha fatto per lui, ma ha semplicemente volle onorare Dio nel suo profeta.
E disse — lui, Eliseo, disse a Ghehazi: Che cosa si deve fare allora per lei? Se la donna non suggerirà nulla da sola, Gehazi può suggerire qualcosa? L'ha sentita esprimere un desiderio? Lui sa di qualche vantaggio che sarebbe il benvenuto per lei? Evidentemente il disinteresse della donna ha accresciuto il desiderio del profeta di fare qualcosa per lei. E Ghehazi rispose: In verità non ha figli, e suo marito è vecchio.
Non risulta che la donna si fosse lamentata o manifestato particolari ansie in tema di prole. Ma Gheazi sa che essere sterili è considerato da tutte le donne ebree come una riprovazione, che le espone al disprezzo e al disprezzo ( 1 Samuele 1:6 , 1 Samuele 1:7 ) e che la progenie è universalmente, o quasi universalmente , desiderato. Quindi presume che la Sunamita debba desiderarlo. Ed Eliseo accetta il suo suggerimento senza un attimo di esitazione.
E lui disse: chiamala. E quando l'ebbe chiamata, ella si fermò sulla porta ; piuttosto, la porta . La stessa parola in ebraico sta sia per "porta" che per "porta". Sembrerebbe che la donna sia venuta subito dopo essere stata chiamata, ma, per modestia e rispetto, non si è spinta oltre l'ingresso dell'appartamento.
E lui , cioè Eliseo , disse: In questa stagione, secondo il tempo della vita , piuttosto, quando arriva il momento ; letteralmente, rivive ; cioè in questo periodo l'anno prossimo — abbraccerai un figlio ; cioè "ti nascerà un figlio, che abbraccerai, come sono solite fare le madri.
" E lei disse: No, mio signore, tu uomo di Dio, non mentire alla tua serva. Come Sara, la donna era incredula; non poteva credere alla buona novella, e pensava che il profeta stesse solo suscitando speranze per deluderli. Le sue parole, "Non mentire al tuo servo", sono meno dure nell'originale, essendo semplicemente equivalenti al "Non ingannarmi" di 2 Re 4:28 .
E la donna concepì e partorì un figlio in quella stagione che Eliseo le aveva detto, secondo il tempo della vita ; piuttosto, come la versione riveduta dà il passaggio, la donna rimase incinta , e partorì un figlio in quella stagione , quando il tempo stava per finire , come aveva detto Eliseo a lei . L'evento è stato esattamente come previsto; il bambino è nato nella stessa stagione dell'anno successivo.
E quando il bambino era cresciuto, non cresciuto, perché era ancora un "bambino" (2Re 4:30, 2 Re 4:31 , 2 Re 4:35 , ecc.), ma cresciuto fino a diventare un maschio, forse quattro o cinque anni - cadde un giorno che andò da suo padre ai mietitori. I campi di grano intorno a Shunem attirano l'ammirazione dei viaggiatori.
Il marito della Sunamita, proprietario di molti, era in uno di loro, sovrintendendo al taglio del suo grano da parte dei mietitori; e il ragazzo lo raggiunse lì, come probabilmente aveva fatto spesso prima. I bambini di campagna si divertono ad assistere alle varie operazioni della cascina.
E disse a suo padre: La mia testa, la mia testa. Il colpo di sole era comune in Palestina ( Salmi 121:6 ; Isaia 49:10 ; Giuditta 8:2, 3), e sarebbe stato più frequente e più fatale al momento del raccolto. Il pianto del bambino è allo stesso tempo molto commovente e più naturale. E disse a un ragazzo ; letteralmente, al ragazzo, probabilmente il ragazzo che aveva assistito il "giovane maestro" al campo. Portalo da sua madre ; cioè portalo in casa e lascia che sua madre se ne occupi. Non si sarebbero potute dare indicazioni più sagge.
E quando lo ebbe preso e condotto da sua madre, rimase seduto sulle sue ginocchia fino a mezzogiorno. Fu al mattino, quindi, che il bambino ricevette il suo colpo di sole, un evento insolito, ma non sconosciuto. In Oriente il sole diventa spesso molto caldo verso le dieci. E poi è morto. Non c'è ambiguità qui, non c'è spazio per il dubbio; il bambino non solo divenne insensibile, ma morì . Lo storico non avrebbe potuto esprimersi più chiaramente.
Ed ella salì e lo adagiò sul letto dell'uomo di Dio. Non si può essere certi di quali pensieri lavorassero nel cuore della povera madre in lutto; ma probabilmente nutriva una vaga idea che il profeta potesse essere in grado di risuscitare suo figlio, e pensava che, finché non fosse stata ottenuta la sua presenza, la cosa migliore da fare era collocare il bambino dove era stata recentemente la presenza del profeta.
Elia aveva deposto sul proprio letto il bambino che aveva riportato in vita ( 1 Re 17:19 ); e il fatto potrebbe essere stato noto alla Sunamita. Di certo non si aspettava che il semplice contatto con il letto potesse resuscitare suo figlio. E chiudigli la porta. O che il corpo non debba essere disturbato, o piuttosto che la morte non debba essere conosciuta. È chiaro che, per qualsiasi motivo, la donna desiderava nascondere la morte del bambino finché non avesse visto cosa poteva fare per lei Eliseo. Non lo disse né al marito né al servo che l'accompagnava. E uscì ; cioè lasciò l'appartamento del profeta, chiudendo la porta mentre usciva.
Ed ella chiamò suo marito e disse: Mandami, ti prego, uno dei giovani e uno degli asini. "Chiamò il marito" dalla casa, senza chiamarlo in casa, manifestando il desiderio di visitare Eliseo, senza precisare l'oggetto della sua visita, e chiese il cavallo e la scorta necessari. La parte più vicina del Carmelo era ad almeno quattordici o quindici miglia da Shunem, così che lei non poteva camminare, che io potessi correre - i.
e; affrettatevi: all'uomo di Dio. "Uomo di Dio" era evidentemente la designazione con cui Eliseo era conosciuto in casa (2Re 4:16, 2 Re 4:21 , 2 Re 4:25 ). E alcuni ancora; cioè tornare a casa prima di notte.
E disse: Perché andrai da lui oggi? non è né luna nuova né sabato. Il marito esitò; non vedeva alcuna occasione per il viaggio. Non era né "luna nuova" né "sabato", tempi in cui evidentemente i profeti celebravano i servizi, a cui partecipavano pie persone del vicinato: cosa poteva volere da Eliseo? Evidentemente non aveva idea che il bambino fosse morto. Probabilmente non si era reso conto di essere in pericolo.
E lei disse: Andrà tutto bene. Pronunciò la sola parola shalom , letteralmente, "pace", ma la usò, come il tedesco gut , o l'inglese "tutto bene", per accontentare un inquirente senza dargli una risposta definitiva. E il marito accettò la sua rassicurazione e non fece pressioni per una spiegazione. L'asino e il servo furono messi a sua disposizione senza più parole.
Poi ha sellato un asino ; piuttosto, allora sellava ( cioè " faceva sellare ") l' asino, il particolare animale che suo marito le aveva messo a disposizione. E disse alla sua serva: Guida e va' avanti ; cioè "metti in moto il culo, e poi procedi costantemente in avanti". In Oriente, ogni asino ha il suo autista, che lo mette in moto e ne regola il passo.
Il pilota lascia tutto a lui. Non allentare la tua cavalcata per me - piuttosto, non allentare la mia cavalcata (Versione Riveduta), o, non allentare la mia cavalcata ; vale a dire "non diminuire il ritmo della mia cavalcata", a meno che io non te lo dica.
Così ella andò e venne dall'uomo di Dio al monte Carmelo. Il Carmelo era per Eliseo ciò che Galaad era stato per Elia nei suoi primi giorni: un luogo di ritiro solitario e meditazione, dove, libero da disturbi, poteva mantenere la comunione con la natura e con Dio. Non era consuetudine che i suoi discepoli si intromettessero lì, tranne in determinati momenti, quando nella sua residenza si tenevano riunioni per l'edificazione e per il culto.
E avvenne che, quando l'uomo di Dio la vide da lontano , letteralmente, di fronte a lui ; cioè venendo verso di lui (ἐρχομένην, LXX .)— che disse a Ghehazi suo servitore: Ecco, là è quella Sunamita. Il profeta la conosceva da lontano, probabilmente dal suo abbigliamento e dal suo portamento. Possiamo dedurre, dalle parole di suo marito in 2 Re 4:23 , che era una di quelle che erano abituate a partecipare alle riunioni nei noviluni e nei sabati. 2 Re 4:23
Corri ora, ti prego, a incontrarla e dille: Stai bene con te? sta bene con tuo marito? sta bene con il bambino ? Eliseo sente che deve esserci qualcosa che non va, per spiegare l'arrivo così inaspettato della Sunamita. La sua ansia è desta, e, nell'impazienza di sapere cosa sia successo, invece di aspettare l'arrivo della donna, fa correre il suo servo e domandare che cosa c'è.
Qualche disgrazia, suppone, deve essere capitata a lei, o a suo marito, o al bambino. E lei ha risposto: Va bene . Diede, come prima a suo marito ( 2 Re 4:23 ), la risposta ambigua: "Pace", con l'intenzione semplicemente di rimandare Ghehazi, e non spiegarsi con nessuno tranne che con il suo padrone.
E quando guadagna all'uomo di Dio il monte , anzi il monte ; cioè Carmel, dov'era la residenza di Eliseo, lo prese per i piedi . È sempre stato consuetudine in Oriente abbracciare i piedi o le ginocchia, per dare forza alla supplica. Ma Ghehazi si avvicinò per respingerla. Considerava l'atto come un atto indebitamente familiare o indebitamente importuno e interferiva per proteggere e rilasciare il suo padrone.
E l'uomo di Dio disse: Lasciala stare; perché la sua anima è turbata dentro di lei. Eliseo non avrebbe fatto disturbare la donna. Vide che era in profonda angoscia e, se c'era qualcosa di sconveniente nella sua azione secondo l'etichetta del tempo, lo scusò con suo profondo dolore e distrazione. La mente ordinaria è schiava delle convenzioni; la mente superiore sa quando essere al di sopra di loro.
E il Signore me l'ha nascosto e non me l'ha detto. Dio non aveva informato Eliseo, per miracolosa illuminazione interiore, della malattia del bambino, o della sua morte, o delle selvagge speranze che si agitavano nella mente della madre afflitta, che la indussero a fare il suo lungo e travagliato viaggio. Non dobbiamo essere sorpresi da questo. C'è sempre un limite al miracoloso; ei fatti che possono essere appresi da una piccola indagine sono solo raramente comunicati in modo soprannaturale.
Poi disse: Desideravo un figlio del mio signore? non ho detto: Non ingannarmi? La donna non rivela direttamente il suo dolore. Il grande dolore è reticente, non può sopportare di esprimersi a parole. Ma lei indica a sufficienza la natura del suo problema con la forma del suo rimprovero. "Ho chiesto un figlio? Mi sono lamentato della mia mancanza di figli? Se fossi stato importuno e avessi ottenuto mio figlio da te con molte domande, non mi sarei lamentato.
Ma non ho chiesto. Non ho nemmeno strappato avidamente all'offerta. ho esitato. Ho detto: 'Non ingannarmi.' Ma ora hai fatto peggio che ingannarmi. Hai custodito all'orecchio la parola della promessa e l'hai infranta per la speranza. È una miseria più grande avere un figlio e perderlo, che non averne mai avuto uno». Tutto questo, e altro ancora, sembra essere implicato nelle parole della donna. E il profeta ne ha compreso appieno il significato.
Poi disse a Ghehazi: Cingiti i lombi, prendi in mano il mio bastone e vattene; se incontri qualcuno, non salutarlo; e se qualcuno ti saluta, non rispondergli più. L'oggetto di tutte queste ingiunzioni è la fretta. Non perdere un momento. Vai più in fretta che puoi alla casa dove giace il bambino. Non perdere tempo nei saluti lungo la strada. Non allentare . Non indugiare. E posa il mio bastone sulla faccia del bambino.
Quale effetto il profeta si aspettava da questo atto, non ci viene detto. Sembra che Gheazi si aspettasse che avrebbe subito causato una rianimazione ( 2 Re 4:31 ); ma non ci sono prove che il profeta partecipasse all'attesa. Potrebbe averlo fatto, perché i profeti non sono infallibili al di fuori della sfera delle rivelazioni fatte loro; ma può aver inteso soltanto confortare e rallegrare la madre, e suscitare in lei l'aspettativa della rianimazione che, confidava, gli sarebbe stato permesso di effettuare.
E la madre del bambino disse: Come vive il Signore e come vive la tua anima , io non ti lascerò. Apparentemente, la donna supponeva che Eliseo non intendesse fare altro, ma affidare la guarigione del bambino a quella virtù che potrebbe essere inerente al suo bastone. Ma la sua decisione era stata presa molto tempo fa: non si sarebbe accontentata di niente di meno che portare il profeta faccia a faccia con il suo bambino morto. Lei "non lo lascerà" finché lui non acconsente ad accompagnarla a casa sua. Ed egli si alzò e la seguì ; come, senza dubbio, aveva inteso fin dall'inizio.
E Ghehazi passò davanti a loro e posò il bastone sulla faccia del bambino; ma non c'era né voce, né udito. Ghehazi fece come gli era stato detto, eseguì fedelmente la sua missione; ma non c'era alcun risultato apparente. Il bambino non è stato riutilizzato dal bastone che gli è stato posto sul viso. Tutto rimase immobile e muto come prima. Sebbene in alcune occasioni sia piaciuto a Dio permettere che i miracoli fossero operati tramite oggetti senza vita, come quando le pietre di Eliseo resuscitò un morto ( 2 Re 13:21 ) e quando la virtù uscì dall'orlo della veste di nostro Signore ( Marco 5:25 ), e ancora più notevole, quando "fazzoletti o grembiuli del corpo di Paolo furono portati ai malati, e le malattie si allontanarono da loro, e gli spiriti maligni furono fuori di loro" (Atti degli Apostoli 19:12 ); tuttavia i casi sono, relativamente parlando, rari e formano eccezioni a quella che può essere chiamata la solita economia divina dei miracoli.
I miracoli sono, come regola generale, collegati nella Scrittura a una fede intensa e incrollabile: fede, a volte, in coloro che ne sono gli oggetti, quasi sempre in coloro che ne sono i lavoratori. Il caso in esame non doveva costituire un'eccezione alla regola generale, poiché le circostanze non richiedevano un'eccezione. La potenza della fede si sarebbe manifestata ancora una volta in Eliseo, come non molto tempo prima in Elia ( 1 Re 17:19-11 ); e Israele doveva essere insegnato, con un secondo mirabile esempio, quanto giova all'Altissimo l'efficace fervente preghiera di un uomo fedele e giusto. La lezione sarebbe stata meno efficace se il personale avesse potuto effettuare la rianimazione. Perciò egli vale a dire una Gehazi- è andato di nuovo a incontrarlo -ie Elisha-e gli disse, dicendo: Il bambino non si è svegliato.
È chiaro da ciò che Gehazi si aspettava un risveglio; ma non c'è nulla che mostri ciò che il profeta stesso si aspettava. Non abbiamo certamente il diritto di concludere, con Pietro Martire,' che "Eliseo ha sbagliato nel tentativo di 'delegare ad un altro il suo potere di operare miracoli"; o anche, con Starke, che "Eliseo diede l'ordine a Ghehazi per eccessiva fretta, senza avere alcun incentivo divino ad esso".
E quando Eliseo fu entrato in casa, ecco, il bambino era morto e si adagiò sul suo letto . Il bambino rimase dove sua madre lo aveva deposto.
Entrò quindi e chiuse la porta a loro due , per non essere interrotto durante i suoi sforzi per restituire la vita al bambino, e pregò il Signore. Probabilmente il suo cuore si era sollevato in una preghiera inarticolata dal momento in cui si era reso conto della calamità che era accaduta alla Sunamita; ma ora si inginocchiò e alzò la voce con parole di preghiera esplicite.
Ed egli salì e si coricò sul bambino, e mise la sua bocca sulla sua bocca, ei suoi occhi sui suoi occhi, e le sue mani sulle sue mani; seguendo l'esempio datogli dal suo maestro e predecessore, Elia ( 1 Re 17:21 ). In entrambi i casi l'idea potrebbe essere stata quella di adattare il Corpo alla reabitazione dell'anima (vedi 2 Re 4:22 ), attraverso il ripristino del calore in esso.
E si distese sul bambino ; cioè avvicinava il più possibile la sua carne alla carne del bambino, coprendo il corpo e premendovi sopra, per costringere il proprio calore corporeo a passarvi dentro. La parola usata, יִגְהַר, è diversa da quella in 1 Re 17:21 , che è , e implica un contatto più stretto. E la carne del bambino si fece calda. Gli sforzi di Eliseo ebbero un effetto; il corpo del bambino è stato effettivamente riscaldato da loro.
Poi tornò e camminò avanti e indietro per la casa ; letteralmente, una volta e una volta per ; preso, cioè; un solo giro su e giù per la grande stanza attigua alla sua camera da letto, quasi senza alcun oggetto correttivo, ma come fanno gli uomini quando sono in difficoltà e nel dubbio. E salì, e si stese su di lui - cioè ripeté il suo atto precedente, stendendosi sul bambino e scaldandolo - e il bambino starnutì sette volte - mostrando il recupero della respirazione sospesa - e il bambino aprì gli occhi ; cioè è venuto a se stesso.
E chiamò Ghehazi, e disse: Chiama questo Sunamita ; cioè dille di venire qui. Non c'era tempo da perdere per restituire il bambino a sua madre, ora che era di nuovo vivo. E quando ella fu entrata da lui, disse: Prendi tuo figlio ; cioè sollevalo, prendilo tra le tue braccia, sentilo di nuovo tutto tuo.
Allora ella entrò, si gettò ai suoi piedi e si prostrò a terra; in riconoscimento del dono che le è stato conferito. In Oriente tali prostrazioni sono comuni e denotano insieme gratitudine e umiltà. E prese suo figlio e uscì. (Su alcune circostanze successive nella vita della donna, vedere 2 Re 8:1 ).
3 . La guarigione della zuppa malsana.
Ed Eliseo tornò di nuovo a Ghilgal ; cioè rivisitato Gilgal, dove era stato in precedenza con il suo maestro ( 2 Re 2:1 ), casualmente, o forse in uno dei suoi circuiti regolari (Keil) per visitare le scuole dei profeti. E c'era una carestia nel paese — probabilmente la carestia menzionata di nuovo in 2 Re 8:1 — e i figli dei profeti erano seduti davanti a lui.
Alcuni traducono "i figli dei profeti dimorarono con lui " (Vulgata, Lutero, Vescovo Hersley); ma la nostra versione è probabilmente corretta. La LXX . dare ἀκάθηντο; ed Ezechiele 8:1 ; Ezechiele 16:1 ; Ezechiele 33:31 ; con Zaccaria 3:8 , mostra che ישׁבים לפני può avere il significato di "seduto in presenza di una persona.
" E disse al suo servo: Metti sul grande vaso, cioè l'unico grande vaso che ci sarebbe in casa, e fai bollire la minestra per i figli dei profeti. Anche in una carestia ci sarebbero alcune verdure prodotte su cui la vita potrebbe essere sostenuto.
E uno uscì nel campo per raccogliere erbe. Uno dei figli dei profeti, probabilmente, andò nel paese vicino e cercò frutti o ortaggi selvatici che potesse vedere da qualche parte. E ho trovato una vite selvatica. Non una vite selvatica ( Vitis labrusea ), il cui frutto sarebbe stato innocuo, ma qualche pianta cucurbitacea, con viticci, e una crescita simile a quella della vite.
e ne raccolse zucche selvatiche. Il tipo esatto di zucca è incerto. I critici recenti sono per lo più giunti alla conclusione che il vegetale destinato sia il Cucumis agrestis o Ecbalium elaterium , il "cetriolo che spruzza " dei naturalisti inglesi. Questa è una specie di zucca, il cui frutto è a forma di uovo, ha un sapore amaro e scoppia quando è maturo al leggero tocco, spruzzando linfa e semi.
Il motivo principale per questa conclusione è etimologico, essendo derivato da , "craccare" o "dividere". Un'altra teoria, e quella che ha le versioni antiche a suo favore, identifica la "zucca" in questione con il frutto del colocynth, che è una pianta simile a una zucca che striscia lungo il terreno, e ha un frutto giallo tondo delle dimensioni di una grossa arancia. Questo frutto è estremamente amaro, produce coliche e colpisce i nervi .
Il suo giro pieno ; quanti ne poteva portare nel seno , o grande piega, del suo mendicante , o scialle. E venne e li frantumò nella pentola della minestra: perché non li conoscevano ; cioè i figli dei profeti, che stavano lì e li vedevano fare a pezzi nella pentola, non li riconobbero, o non sapevano che erano malsani.
Così hanno versato fuori perché gli uomini mangiassero. E avvenne che, mentre mangiavano la minestra, gridarono e dissero: O uomo di Dio, c'è la morte nella pentola . O il sapore amaro li allarmò, o cominciarono a sentire gli effetti negativi di ciò che avevano ingoiato, il che, se fosse stato colocynth, avrebbe potuto produrre molto presto mal di stomaco o nausea. Correndo, quindi, subito alla peggiore supposizione possibile, conclusero di essere stati avvelenati ed esclamarono: "O uomo di Dio, c'è la morte nel piatto!" "Se mangiati in grandi quantità", dice Keil, "i colocinti potrebbero davvero produrre la morte". E non potevano mangiarne; cioè non potevano continuare a mangiare la minestra, tutti smisero di mangiare.
Ma lui disse: Allora porta da mangiare . Eliseo sembra non aver esitato un attimo. Se si sospetta un avvelenamento, devono essere prese misure tempestive. Ha portato il pasto - non quel pasto ha alcuna virtù in sé contro il colocynth, o contro qualsiasi altra droga deleteria. Ma ora agisce, come sempre, sotto la direzione divina, ed è incaricato di usare il pasto in questa occasione, come ha usato il sale nella guarigione delle acque di Gerico.
Il pasto, come osserva Keil, "potrebbe in qualche modo modificare l'amarezza e le qualità nocive del vegetale", qualunque esso fosse, ma "non poteva assolutamente eliminarli del tutto. Il pasto, il cibo più salutare dell'uomo, era solo il substrato terreno per l'opera dell'efflusso divino che procedeva da Eliseo e rendeva perfettamente sano il cibo nocivo". E lo gettò nella pentola; e disse: Versa ora per il popolo - i.
e; l'assemblea radunata dei figli dei profeti, perché possano mangiare. E non c'era niente di male nel piatto. Chi aveva fede in Eliseo e continuava a mangiare la minestra, non trovava alcun risultato negativo. Quello che hanno mangiato non ha fatto loro male.
4. Il nutrimento di cento uomini con venti pani .
E venne un uomo da Baal-Shalisha. "Baal-shalisha" è ragionevolmente identificato con il "Beth-shalisha" di Eusebio e Girolamo, che essi collocano dodici miglia romane a nord di Diospolis, o Lydda (ora Ludd). Per "nord" dobbiamo probabilmente intendere "nordest", poiché il "paese di Shalisha" si trovava tra i territori di Efraim e Beniamino ( 1 Samuele 9:4 ).
La posizione così indicata non sarebbe molto lontana dalla Ghilgal ( Jiljileh ) di 2 Re 2:1 . e 2 Re 4:38 . E portò all'uomo di Dio il pane delle primizie. È chiaro che i più pii tra gli israeliti non solo si rivolgevano ai profeti per l'istruzione religiosa ( 2 Re 4:23 ), ma li consideravano come coloro che avevano ereditato la posizione dei sacerdoti leviti che le innovazioni di Geroboamo avevano cacciato dal paese.
Le primizie del grano, del vino e dell'olio erano assegnate dalla Legge ( Numeri 18:13 ; Deuteronomio 18:4 , Deuteronomio 18:5 ) ai sacerdoti. Venti pagnotte d'orzo. I "pani" degli israeliti erano focacce o panini, piuttosto che "pani" nel senso moderno della parola. Ogni partecipante a un pasto di solito ne aveva uno per sé.
Naturalmente venti "pani" sarebbero appena sufficienti per venti uomini. E spighe piene di grano ; cioè alcune spighe mature dello stesso grano di cui si faceva il pane. Le spighe di grano venivano offerte come primizie alla Pasqua ( Levitico 23:10 ), ed erano considerate come i più naturali e appropriati segni di gratitudine per la misericordia di Dio durante la mietitura. nella sua buccia ; piuttosto, nella sua borsa , o nel suo sacco (vedi la versione riveduta). E disse: Date al popolo , cioè; ai figli dei profeti che abitavano a Ghilgal, perché ne mangiassero.
E il suo servitore disse: Cosa, dovrei mettere questo davanti a cento uomini? Il servitore sentiva che la quantità era del tutto insufficiente, e pensava che fosse assurdo invitare cento uomini a sedersi a un pasto, che non avrebbe soddisfatto un quinto del numero; ma Eliseo ripeté il suo comando. Disse ancora: Date alla gente, che possano mangiare. Questa volta, tuttavia, aggiunse una spiegazione del procedimento: poiché così dice il Signore: Mangeranno e se ne andranno.
Dio gli aveva intimato soprannaturalmente che la quantità di cibo sarebbe stata abbondante per i cento uomini; avrebbero dimostrato di averne avuto abbastanza lasciandone un po'. E il risultato è stato come previsto.
Così lo pose davanti a loro, ed essi mangiarono e lo lasciarono, secondo la parola del Signore. Non ci viene detto espressamente come fu compiuto il miracolo, né per aumento della quantità del cibo prodotto in modo soprannaturale, né per diminuzione degli appetiti degli uomini, come suppone Bahr. Ma l'analogia dei miracoli di nostro Signore di nutrire le moltitudini, di cui questo è un tipo manifesto, rende probabile che anche in questo caso ci sia stato un miracoloso aumento del cibo.
Lo scopo dello scrittore nel comunicare il racconto non è certo solo di mostrare come il Signore si prendesse cura dei suoi servi, ma di raccontare un altro miracolo operato da Eliseo, di tipo diverso da quelli precedentemente narrati. È occupato con i miracoli di Eliseo attraverso l'intero cantore e attraverso i tre successivi.
OMILETICA
Il seme dei giusti mai abbandonato da Dio.
L'intero motivo di ricorso su cui si fonda la povera vedova, e che si rivela così del tutto adeguato, è la fedeltà a Dio del marito defunto. "Il tuo servo, mio marito, è morto e tu sai che il tuo servo temeva il Signore" ( 2 Re 4:1 ). Lei presume che per questo Eliseo sia quasi obbligato a interferire per conto dei due figli dell'uomo, che rischiano di essere ridotti in schiavitù.
Ed Eliseo ammette la validità della sua affermazione, e viene subito in loro sollievo. L'esempio può ben ricordare le enfatiche parole del salmista, che il ministro e direttore non possono imprimere troppo forte alle madri ansiose e dubbiose: "Sono stato giovane, e ora sono vecchio; eppure non ho mai visto il giusto abbandonato, né la sua progenie mendicando il loro pane» ( Salmi 37:25 ). Una benedizione riposa sul seme dei giusti,
I. PER PROMESSA DIVINA . "Io, il Signore tuo Dio, sono un Dio geloso, che affligge l'iniquità dei padri sui figli fino alla terza e alla quarta generazione di quelli che mi odiano; e mostra misericordia a migliaia di quelli che mi amano e osservano i miei comandamenti" ( Esodo 20:5 , Esodo 20:6 ); "La misericordia del Signore è di eterna in eterna su quelli che lo temono, e la sua giustizia sui figli dei figli " ( Salmi 103:17 ); "I figli dei tuoi servi continueranno e la loro discendenza sarà stabilita davanti a te ( Salmi 102:28 ).Esodo 20:5, Esodo 20:6 Salmi 103:17, Salmi 102:28
II. DA LA SIMPATIA COINVOLTI IN DIO 'S PATERNITÀ . Dopo Dio prende nome ogni paternità (πᾶσα πατρία) in cielo e in terra ( Efesini 3:15 ). Come Padre, simpatizza con tutti i padri, conosce i loro cuori, comprende i loro desideri, è tenero verso la loro tenerezza.
Coloro che lo amano, li amerà e li ricompenserà dove più desidererebbero essere ricompensati, nei loro figli. Il seme dei giusti può spesso, spesso, vagare in vie tortuose, allontanarsi dalla giustizia, provocare Dio, attirare su di sé i castighi di Dio; ma alla fine quanto raramente cade completamente, dimentica completamente le lezioni della sua giovinezza, l'esempio dei genitori devoti, i precetti così accuratamente instillati nella sua mente nella prima infanzia, giorno dopo giorno e anno dopo anno! quanto di rado diventa un bestemmiatore, o un miscredente, o un reprobo del tutto indurito! Quante volte invece si riprende da dolorose cadute, si riabitua a Dio, ripete, corregge e «fa le opere prime»! La tenera cura di Dio non solo salva i figli dei giusti dall'elemosinare il pane o dal cadere nella più totale miseria,
La pietà ha, in larga misura, la promessa di questa vita, così come della vita a venire.
La "buona Sunamita" e suo marito sono esempi dell'unione, che è più comune di quanto gli uomini siano in grado di consentire, tra pietà e prosperità. Non hanno niente di eroico, niente di strano. Sono persone di buona classe media, che abitano in una tranquilla campagna, coltivano su scala moderata, con una casa confortevole, abitano contenti tra i loro lavoratori e i loro vicini di campagna.
Ma non sono resi egoisti o mondani dalla loro prosperità. Sentono e ammettono le pretese della religione su di loro. In Eliseo riconoscono un "uomo di Dio"; prima, sembrerebbe, ufficialmente. Come loro rappresentante ufficiale dell'Altissimo, lo considerano diritto alla gentilezza e all'ospitalità. Gli impongono i loro buoni uffici, insistono perché porti con sé i suoi pasti, «lo costringano a mangiare il pane» ( 2 Re 4:8 ).
Quando a poco a poco conoscono il suo carattere, riconoscono in lui qualcosa di più: «sentono che è un santo uomo di Dio» ( 2 Re 4:9 ). Il simile è percepito dal simile. Ci vuole un po' di santità per percepire e riconoscere la santità. E la percezione suscita un desiderio di maggiore intimità. Come desideri come. Sarà una cosa benedetta se riusciranno a persuadere il profeta, non solo a consumare un pasto occasionale in casa loro, ma a essere un ospite occasionale, a riposare lì, a dormire lì.
Così la donna propone al marito di costruire al profeta una camera da letto; ed egli acconsente prontamente, apparentemente senza un mormorio ( 2 Re 4:10 ). Non è né geloso, né avaro, né cattivo. La donna ha la sua strada, e la sua natura gentile è gratificata dalla frequente presenza dell'uomo pio, di cui assiste nei sabati e nei giorni santi ( 2 Re 4:23 ).
E ora la sua pietà, che è stata del tutto disinteressata, riceve una ricompensa terrena. Il disonore della sterilità le viene tolto, per intercessione del profeta, ed ella ottiene la benedizione della prole. No, di più. Sebbene la morte rimuova la sua progenie, le viene restituito, reso doppiamente prezioso dall'essere sembrato perduto per sempre. La meritata prosperità sua e del marito culmina in questa felice restaurazione, che dà il tocco finale alla beatitudine terrena a cui era mancata solo questa gioia suprema.
E così è nella vita in generale. Non solo i superbi e gli empi, ma anche i pii, sono "ricompensati secondo i loro meriti" ( Salmi 94:2 ). Molte virtù, es . g . l'onestà, la sobrietà, l'operosità, la prudenza, hanno una naturale tendenza ad attirare al loro possessore una parte considerevole dei beni di questo mondo, come i vizi opposti, la disonestà, l'ubriachezza, l'ozio, l'imprudenza, hanno una naturale tendenza a disperdere tali beni quando posseduti e ad impedire il loro accumulo.
La bontà, nel complesso, assicura il rispetto e la stima degli altri uomini; e il rispetto e. la stima dei nostri simili tende in vari modi al nostro vantaggio mondano. Gli uomini ripongono più fiducia nei pii che negli empi, e le situazioni di fiducia sono, per la maggior parte, situazioni di profitto. Né si deve tralasciare la considerazione della benedizione divina, che riposa sempre sui devoti, infatti, e talvolta si manifesta apertamente.
"Gli occhi del Signore sono sui giusti e i suoi orecchi sono aperti al loro grido: ma il volto del Signore è contro quelli che fanno il male" ( Salmi 34:15 , Salmi 34:16 ); "Nessuna cosa buona Dio rifiuterà a coloro che camminano rettamente" ( Salmi 84:11 ).
E tutto il risultato è che, nel complesso, anche in questa vita, la retta condotta, la bontà, la pietà, hanno il vantaggio sui loro opposti, e che la felicità e la miseria si distribuiscono, anche qui, molto «secondo gli uomini meritevoli»— non, naturalmente, senza eccezioni, anche numerose eccezioni, ma ancora prevalentemente, in modo che la legge valga come una legge generale, che "la pietà ha la promessa di questa vita.
Il nostro benedetto Signore arrivò al punto di dire: "Non c'è uomo che abbia lasciato casa, o fratelli, o sorelle, o padre, o madre, o moglie, o figli, o campi, per amor mio e del Vangelo, ma riceverà il centuplo ora in questo tempo , case, e fratelli, e sorelle, e madri, e figli, e terre, con persecuzioni; e nel mondo a venire la vita eterna».
Limiti all'ispirazione.
Molti uomini sembrano supporre che l'ispirazione profetica, il divino afflato , qualunque cosa fosse, che Dio ha concesso nei tempi passati ai suoi profeti, apostoli ed evangelisti, fosse assolutamente illimitata: una sorta di onniscienza, in ogni caso onniscienza su tutti quegli argomenti su cui parlavano o scrivevano. Ma la Scrittura non autorizza questa supposizione. "Lasciala stare", dice Eliseo a Gheazi; "per la sua anima è tormentata dentro di lei: e il Signore ha nascosto da me , e non mi ha detto " ( 2 Re 4:27 ).
L'ignoranza del futuro sembrerebbe anche essere alla base delle istruzioni date a Ghehazi in 2 Re 4:29 . E ci sono, infatti, dei limiti alla conoscenza di ogni profeta anche riguardo alle cose di cui scrive o parla. «Ora ecco», dice san Paolo, «io vado legato con lo spirito a Gerusalemme, non sapendo le cose che là mi accadranno» ( Atti degli Apostoli 20:22 ).
E ancora: "Ora riguardo alle vergini non ho alcun comandamento dal Signore: tuttavia do il mio giudizio, come uno che ha ottenuto misericordia dal Signore per essere fedele" ( 1 Corinzi 7:25 ). Gli apostoli parlarono molto della venuta di Cristo in giudizio, ma "nessuno conosce quel giorno e quell'ora" ( Matteo 24:36 ). La conoscenza profetica era sempre parziale, limitata.
Per Isaia il ritorno da Babilonia, l'instaurazione del regno di Cristo sulla terra, e il trionfo finale del cristianesimo, si fusero in un'unica visione di gloria dalla quale era assente l'idea cronologica. Ezechiele probabilmente non sapeva se il tempio da lui descritto (40.-44.) doveva essere spirituale o materiale. Zaccaria sapeva che sarebbe venuto il giorno in cui ci sarebbe stata "una fonte aperta alla casa di Davide e agli abitanti di Gerusalemme per il peccato e per l'impurità"; ma la natura della fontana, a quanto pare, non gli fu rivelata.
I profeti sempre " vedevano attraverso un vetro oscuramente", "in parte sapevano" e in parte profetizzavano; non avevano nemmeno una piena conoscenza del significato delle proprie parole. Non bisogna dunque cercare negli scritti ispirati un'esattezza, un'esattezza e una completezza a cui non fanno finta; non dobbiamo rivendicare l'infallibilità per gli obiter dicta degli apostoli o degli evangelisti; non dobbiamo stupirci di occasionali lapsus di memoria, come la citazione di "Jeremy" per "Zachary" ( Matteo 27:9 ), o di piccole discrepanze, come le varie letture del titolo sulla croce, o di altre simili imperfezioni .
L'elemento divino nella Scrittura non esclude la presenza anche di un elemento umano; e l'elemento umano non può che mostrare tracce di umana debolezza, umana ignoranza, umana fragilità. I futili errori che una critica microscopica rileva nel volume sacro non interferiscono con il suo potere illuminante, più di quanto le macchie viste dagli astronomi sulla sua superficie interferiscano con la luce del sole, o lievi imperfezioni con la magnificenza e lo splendore di un unico diamante. La Bibbia è la Parola di Dio, il tesoro più prezioso che l'uomo possiede, anche se è vero che «abbiamo questo tesoro in vasi di creta» ( 2 Corinzi 4:7 ).
OMELIA DI CH IRWIN
L'olio della vedova aumentò.
Questa storia semplice e toccante è una di quelle tante narrazioni che fanno della Bibbia un libro per tutti e un libro per la vita di tutti i giorni. L'individuo non è mai perso nella nazione o nella razza. È così in realtà. I nostri bisogni personali, le lotte e le ansie sono per noi più importanti e interessanti delle lotte di una nazione o del benessere generale della razza umana. È lo stesso nella Bibbia.
La Bibbia è in parte una storia di nazioni, e in particolare della nazione ebraica. Ma è molto più una storia di individui. È questo che lo rende un tale libro di conforto e istruzione universali. Tutti possiamo trovare qualcosa in esso che si adatta a noi stessi. Quando leggiamo degli uomini e delle donne le cui vite sono registrate in esso, impariamo di più dalla loro fede e dai loro fallimenti, dalle loro tentazioni e dalle loro vittorie, di quanto potremmo da qualsiasi discorso astratto sul beneficio della virtù e sul male del vizio.
Apprendiamo che erano uomini e donne con le stesse passioni con noi stessi. Impariamo che le tentazioni che hanno vinto noi possiamo vincere con l'aiuto dello stesso Spirito; che le prove che hanno sopportato noi possiamo sopportare; e che la fede e la santità a cui sono pervenute sono anche alla nostra portata. E poi com'è semplice e pratica la Bibbia! I suoi eroi ed eroine vivono in rete in un'utopia. Ce li mostra nelle stesse condizioni in cui viviamo ancora.
Ce li mostra nelle loro case e nei loro affari, nei loro amori e nella loro vita matrimoniale, all'aratro e sul peschereccio, alla festa nuziale e al funerale. Forse pensiamo che sia difficile essere religiosi nei nostri affari, nella società o in mezzo alle piccole preoccupazioni e preoccupazioni della nostra vita quotidiana. La Bibbia ci mostra uomini e donne che vivono nelle stesse condizioni, eppure vivono così tanto nel timore di Dio e nella presenza dell'eternità che hanno trionfato sulle loro distrazioni e, mentre erano nel mondo, non ne facevano parte.
Tale scorcio di vita quotidiana lo otteniamo nella narrazione davanti a noi. Abbiamo appreso alcune preziose lezioni dal palazzo del re Acazia; possiamo imparare cose altrettanto importanti dall'umile casa della vedova di un profeta.
I. SOFFERENZA INNOCENTE . C'è molta sofferenza nel mondo. Molti soffrono innocentemente . Ma non tutti quelli che pensano di soffrire innocentemente sono veramente innocenti. Qui, tuttavia, sembra esserci un caso di sofferenza davvero innocente. È una povera vedova che viene a raccontare a Eliseo la sua storia di miseria e di dolore. Suo marito era stato uno dei "figli dei profeti", una parola usata in senso generale per indicare coloro che erano allievi dei profeti, addestrati dai profeti.
Purtroppo si era indebitato. Non ci viene detto come vi sia stato condotto. Era un uomo timorato di Dio. Non è stato, quindi, per dissipazione o peccato. Ma potrebbe essere stato per sua stessa imprudenza o improvvisazione. O potrebbe essere stato per qualche perdita inaspettata, o per il fallimento da parte di altri di far fronte alle loro responsabilità nei suoi confronti. Ad ogni modo, è morto indebitato, e la sua povera vedova ne è la vittima.
1. Questo incidente, e ce ne sono molti simili che accadono ogni giorno, ci mostra la follia e il pericolo di indebitarci . Una delle caratteristiche peggiori è che così spesso gli innocenti - la moglie oi figli che forse non sanno nulla del debito - devono soffrire per la follia o la disonestà degli altri. Dobbiamo avere una coscienza più sveglia su questo tema dell'uso di denaro che in realtà non è nostro.
Per quanto riguarda la politica e la prudenza mondane, è un grande errore. Per una questione di moralità, è davvero molto dubbio. Quanti dei tremendi incidenti che hanno avuto luogo nel mondo commerciale sono il risultato di uomini che vivono al di sopra delle loro possibilità! Hanno fatto richieste troppo grandi per il futuro. Avevano responsabilità che non avevano i mezzi per far fronte. E in molti casi il debito si rivela una tentazione alla disonestà.
Devo ancora imparare la differenza tra la disonestà dell'uomo che ottiene un mese di reclusione per un piccolo furto, e la disonestà di molti che sono legalmente protetti nel loro crimine dallo strano dispositivo del tribunale fallimentare. Non che tutti i falliti siano disonesti. Ma molti che sono così protetti lo sono. Vogliamo una coscienza pubblica più chiara e pulita su questa questione del debito.
2. C'è qui una parola anche per i creditori . Il creditore in questa storia era un normale Shylock. Voleva la sua libbra di carne. Non si accontenterebbe di niente di meno. Segna l'assoluta crudeltà e crudeltà dell'uomo. Sapeva che la povera vedova non era in grado di pagare. Non c'erano beni e beni mobili che potesse sequestrare, o nessuno che valesse la pena sequestrare, quindi in realtà venne a rendere i suoi due figli suoi schiavi.
Even the slightest touch of humanity might have led him to content himself with one of the sons. He might have left the other to be the solace and support of his widowed mother. But no. There is no mercy, no pity, in his hard and selfish heart. He must have the two sons to satisfy his claim. Now, the Scripture, while it countenances lending to these who are in want, and while it commands the payment of debts, recommends the exercise of mercy and humanity in exacting this payment.
For instance, in Exodus it is said, "Ye shall not afflict any widow, or fatherless child. If thou afflict them in any wise, and they cry at all unto me, I will surely hear their cry; and my wrath shall wax hot, and I will kill you with the sword; and your wives shall be widows, and your children fatherless" (Esodo 22:22-2). And in Deuteronomio 24:17 we have a similar command.
We learn here in all the relationships of life to mingle mercy with justice. Too often in the keen competition of life, and in the race for wealth, the finer feelings become blunted, if you are a Christian, it is your duty to imitate the spirit and precepts of Jesus. Whether you are a Christian or not, you are responsible to God for the way you act towards your fellow-men. Always consider the circumstances of the case. Where it is possible, be specially careful of the widow and the fatherless and the orphan. God has a special care for them, and he will avenge their cause on the persecutor and the oppressor.
II. ACTIVE FAITH. The poor widow had nothing in her house save a pot of oil. She was not as well off as the widow of Zarephath, to whom Elijah came; she had not even a handful of meal in the barrel. The olive oil was used as butter with the flour or meal. Dr. Kitto says it is indeed a remarkable fact that poor people in Israel, who are reduced to the last extremity, have generally a little oil left.
Yet in this extremity, with this jar of oil as her sole possession, what does the prophet tell her to do? To go and borrow empty vessels of all her neighbors, and to borrow just as many as she could get. Was it not a strange command? Empty vessels! Why not borrow vessels with something in them. No; for that would have been to get deeper into debt. Empty vessels. The fact of bringing empty vessels into her house implied that she had something to fill them with.
This just shows the greatness of the woman's faith. She trusted God's prophet. She knew that he would not deceive her or bid her do anything for which there was not a good reason- She trusted God's power. She knew that God was able, in his own way and in his own time, to supply all her need. We need to learn a similar faith, tire need it for our temporal affairs. We need to trust God that he can and will and does supply the daily wants of his people. What though the purse is empty? God can send the means to fill it.
"It may not be my time;
It may not be thy time;
But yet in his own time the Lord will provide."
We need to learn similar faith—a faith that shows itself not in idleness but in action—in regard to spiritual things. We may see but empty vessels before us. God is able to fill them. He does it very often by making us laborers together with him, as he did in this case of the widow and her sons. A respected Sunday-school teacher tells that when he first went to teach in a mission Sunday school in one of our large cities, he said to the superintendent, "Where is my class?" He could see no class for him to teach.
The superintendent's answer was, "You'll have to out and gather class." He did so, and soon had a large and attentive class of lads gathered in by his own exertions from the streets. Don't you know of any empty vessels that would be better if they were filled with the love of Christ and the grace of God? Are there no empty vessels in your own homes? Are there no empty vessels round about you where you live—hearts that are without God and without hope, lives that are utterly destitute of any aims or usefulness? If you know of such, will you not try to bring them under the influence of the gospel? This woman showed a strong faith, for she had doubtless to face the ridicule and difficulties and questionings of her neighbors.
They probably laughed at a woman borrowing vessels when she had nothing to fill them with. We must learn not to mind what people will say of us when we are doing God's work. There are some people who object to everything. There are some people who are always raising difficulties. Those who raise the difficulties and make the objections are generally those who do the least and give the least.
Never mind them. Make sure that your work is God's work. Consider it prayerfully and carefully before you undertake it. And then, having made sure that it is God's work, so far as you can get light upon your path, turn not aside to the right hand or to the left. Trust in God to carry you and your work safely through, and to crown your labors with success. "The fear of man bringeth a snare; but he that putteth his trust in the Lord shall be safe."
III. ABUNDANT BLESSING. The woman was well rewarded for her unquestioning faith. So long as she continued pouring from her little jar of oil, so long the oil continued to flow until all the vessels were full. She could have filled more vessels if she had had them. But when there were no more vessels to be filled, the oil ceased to flow. At any rate she had enough to sell for the payment of her debt, and to provide herself and her sons with a temporary support.
We learn here that our blessings may be limited by our capacity to receive. There is no limit to God's love. There is no limit to his power to bless. He gives in overflowing measure, far beyond our expectations, far beyond our deservings. But then we may stint the blessing for ourselves by not being in a fit state to receive it. We see constantly in Scripture and in the history of the Christian Church that there are certain conditions under which larger spiritual blessings may be expected, and certain conditions which may hinder these blessings.
1. We may hinder our blessings by want of faith and expectation. Had Abraham persevered in prayer, he might have won the salvation of Sodom even on account of righteous Lot alone. On a later occasion Elisha was displeased with King Joash for his want of faith in shooting the arrows. The king only smote thrice upon the ground, and Elisha said, "Thou shouldest have smitten five or six times; then hadst thou smitten Syria till thou hadst consumed it: whereas now thou shalt smite Syria but thrice." How often we hinder our blessings because we do not persevere in prayer!
2. We may hinder our blessings by not making a right use of those we have got. "To him that hath shall be given, and from him that hath not shall be taken away even that which he seemeth to have." There is no waste in God's kingdom. He will not give further blessings to those who are neglecting or misusing the privileges they have got. Let us see to it that we are in a fit state to receive God's blessing.
"If we regard iniquity in our hearts, the Lord will not hear us." Let us empty ourselves of worldliness and selfishness and sin, if we are to expect God to fill us with his Spirit. A word to Christians. Search your heart, examine your own life, and see if there is anything that hinders the Divine blessing. Give up that besetting sin; give up that godless society; put away that pride, or hatred, or love of the world, or evil temper, out of your heart, and then you may expect God to bless you and make you a blessing.
Then you will be a vessel meet for the Master's use. A word to the unrepenting. Why go away once more without Christ? Why go away empty from the house of God? All fullness dwells in Christ—fullness of pardon, fullness of grace and strength. Thirsty, unsatisfied soul, draw near to the feet of Jesus. Repent, and ask of him, and he will give you the living water.—C.H.I.
Kindness requited.
I. GOOD MEN CARRY THEIR GOODNESS WHEREVER THEY GO. The Shunammite's words are a testimony to the character of Elisha. "I perceive that this is a holy man of God, which passeth by us continually." Elisha's conduct and conversation showed him to be a holy man of God.
It was evident that God was with him, and that he lived near to God. He did not leave his religion behind him at home. Wherever he was, he took his religion with him. A lesson for modern Christians. There is not much reality in our religion if we do not confess it amongst strangers just as much as where we are known. The inward character is shown by the outward acts. "Coelum, non animum, mutant, qui trans mare currunt.
" It is evident that Elisha was a man of studious habits. The furniture which the Shunammite placed in his room shows this. The stool or chair and the table were intended to afford him facilities for study. He who will teach others must store his own mind with knowledge. Paul exhorted Timothy to give attention to reading. The minister and the Sunday-school teacher need constant study to equip themselves for their important work.
II. GOOD MEN CARRY A BLESSING EVERYWHERE. Their goodness benefits others as well as themselves. "The holy seed shall be the substance thereof." Some there are who bring evil wherever they go. One bad man, one wicked woman, may corrupt a whole community. Some are the perpetual occasions of strife, discord, unpleasantness, unhappiness. What an unenviable character! Oh to be like him who "went about every day doing good!"
III. KINDNESS TO GOOD MEN IS NEVER LOST. This Shunammite treated Elisha kindly because he was a servant of God, and the God whom he served rewarded her for her kindness to his servant. "Give, and it shall be given unto you" She lost nothing, but gained much, by her generosity and hospitality, by the trouble she took to provide a resting-place for the prophet.
He that receiveth a prophet in the name of a prophet shall receive a prophet's reward; and he that receiveth a righteous man in the name of a righteous man shall receive a righteous man's reward."—C.H.I.
Death and restoration.
This is a touching story. It is a story for children. It is a story for parents. It is a story for every one. The circumstances of this little boy's death were peculiarly sad. He had been an unexpected gift of God to his parents. His mother had not sought for him; but God sent her a son as a reward for her kindness to his servant, and in answer to the prophet's prayer. Perhaps when this sudden stroke came upon her, and she watched the little fellow pine away and die in her arms, the poor mother felt a little disposed to murmur at the strange providence.
She no doubt wondered why God had tried her thus, to send her a child entirely unexpected and unasked by her, and then—when he had reached that most interesting age, when he was able to run merrily to and fro, when his childish prattle filled the house with gladness, and when his parents' affections had begun to twine themselves about him—then to take him from her! She may not, perhaps, have had hard thoughts of God, but, with all the faith and patience which she afterwards showed, she certainly was a little disposed to blame Elisha.
For we find her saying to him, when she went to tell him of her trouble, "Did I desire a son of my lord? did I not say, Do not deceive me?" But God's hand was in it all, as she soon learned. Perhaps she was beginning to make an idol of this child, and God took this way of reminding her that the child was his, that on earth there is none abiding, and that he himself should have the supreme homage of the human heart.
Ah yes, she knew something of God's love before, but she never would have known half so much of it but for this trial. The sunshine is beautiful; but sometimes in a time of continued drought we learn that the world would not get on with perpetual sunshine. We are positively glad to see the clouds and the rain. If we could only learn the same lesson for our spiritual life! The sunshine is sweet, but the clouds have their uses too.
"No shattered box of ointment
We ever need regret,
For out of disappointment
Flow sweetest odors yet.
"The discord that involveth
Some startling change of key.
The Master's hand resolveth
In richest harmony."
We have here—
I. A BELIEVING MOTHER. We see her strong faith in God in that answer which she gave to Gehazi. At Elisha's command he asked her, "Is it well with thee? is it well with thy husband? is it well with the child?" And she answered, "It is well." Not a woman of many words, this. But a woman of great thoughts, of practical faith, of heroic patience.
1. It was well with the child. She had no doubt of that. She knew less about the hereafter than we do. She did not know what we know about him who is the Resurrection and the Life, who was himself dead and is alive again. She did not know what we know about heaven—about the angels' song and the pearly gates and the golden streets. But this she felt assured of, that there was a hereafter; that, though the body died, the soul still lived; that her child was with God, and that, therefore, it was well with him.
2. It was well with her husband. It was well with herself. Yes, although sorrow had entered their home, still she could feel and say that it was well all round. She could have anticipated Paul in his unfaltering assertion, for "we know that all things work together for good to them that love God, to them who are the called according to his purpose." Calmly and confidently, even though perhaps her tears were falling while she spoke, she uttered the single Hebrew word which means "It is well.
" Thank God for believing mothers. A mother's faith in God has rescued many a son from the very grasp of hell itself. How many an eminent servant of God has owed his conversion to the prayers of a believing mother! St. Augustine and John Newton are well-known instances. A word here to bereaved parents. You too may have watched a dear child droop and die. Perhaps you murmured rebelliously under your affliction.
Learn to look away behind the veil, into that happy land of which perhaps your darling sang-and as you look there surely you cannot but say, "It is well—it is well with the child." A word here to all parents. Can you say, as you think of your children one by one, "It is well with the child"? If they should die in infancy, it certainly is well with them. But your children of maturer years, who are growing up into manhood and womanhood—how is it with them? Are there not some in your household that you know are still unsaved? O parents, can you rest until you win them for Christ? It is right to give them a good education. But the most important concern of all is the salvation of their immortal souls.
II. A DEAD CHILD BROUGHT TO LIFE. All dead children will be brought back to life. The body only dies; the soul lives forever. This little one, however, was brought back to the life of earth. Perhaps God thought that this poor mother had been sufficiently tried. Perhaps he wanted to give even then some proofs of the possibility of a resurrection.
It was an exceptional act then. It is not to be expected by bereaved parents now. They can only say with David, "I shall go to him, but he shall not return to me." Is it not better so? Could we wish them back again? Look upon them in that bright land where Jesus is, and where the angels are, where their little feet are never weary, where their little faces are always bright and happy, where their little bodies shall nevermore be racked by pain or enfeebled by sickness, where their minds shall never know another thought of sin, and tell me if you would bring them back to this world of wickedness, of temptation, of sickness, and of sorrow? Surely not. Surely they were taken away from the evil that is to come. To depart and be with Christ is far better.
1. Notice the means of this child's revival.
(1) First of all, there was prayer. "And when Elisha was come into the house, behold, the child was dead, and laid upon his bed. He went in therefore, and shut the door upon them twain, and prayed unto the Lord." So it must be in all efforts for the revival of dead souls. Parents must have recourse to prayer if they would see their children converted. We want more praying families; we want more praying Churches. Nothing but the Spirit of God can make the dry bones to live. If our work is to last, it must be done in prayer.
(2) Then, again, observe that Elisha used the means to bring about an answer to his prayers. He asked for a certain blessing, and he showed that he expected an answer. He stretched himself upon the child, that his body might communicate heat to that of the child, and his breath upon the child's mouth encouraged the returning vitality. It is God's method of converting the world, of quickening dead souls.
It is the Spirit of God that alone can quicken a dead soul. But he uses human instrumentality. He uses living Christians. The apostles were men on fire with the Holy Ghost and with zeal for souls, and therefore their labors were blessed. The reason there are so few conversions, the reason the Church has so little influence upon the world compared to what it might have, is that too often the Church itself is worldly, seeking for temporal position and worldly gain, and that Christians show too little of the spirit of their Master. They have a name to live, but are dead. But it is wonderful what one or two living Christians can effect in a congregation, in a community, even throughout the world.
2. Notice also the signs of this child's revival. "The child sneezed seven times, and the child opened his eyes." It was enough. Elisha did not wait for the child to speak. He did not wait for him to walk. He recognized the unmistakable signs of life, and at once he restored the child to his sorrowing mother. Christians ought to watch for signs of spiritual life as the result of their labors and their prayers.
They should not be discouraged if there seems—but little fruit, do not discourage the slightest indication of a desire on the part of any one to turn from sin and come to Christ. Encourage those who may be seekers after God, groping feebly after the truth, struggling, perhaps, with their difficulties and doubts. What souls have you been the means of bringing from death into life?—C.H.I.
Death in the pot: a sermon to young men.
These young men were very nearly being poisoned. There was a famine in the land. Elisha came to Gilgal, where there was a school or college of young men in training for the sacred office of teaching others. Perhaps they were not skilled in the art of making the most of the vegetables which grew round about them, and were badly off for food. Elisha ordered his servant to put on the great pot, and make some pottage, or thick broth, for the hungry students.
One of the young men went out to gather herbs for the purpose. There is a species of wild gourd or melon, called Cucumis prophetarum, which is common in the hill country, and which, when green, is sliced and boiled as a vegetable. But in the plains near Gilgal there is a plant extremely similar in appearance, but very different in its qualities. It was probably this—the colocynthus, or squirting cucumber—that is called the "wild gourd" in this chapter, and that the young men gathered and sliced down into the large pot of broth (see Thomson, 'The Land and the Book').
When the pottage had been poured out, the young men began to eat of it, but, alarmed by its bitter taste, and probably suspecting then that poisonous herbs had been put into it, they cried out to Elisha, "O thou man of God, there is death in the pot! ' From this incident we may show that, while there is many an enjoyment, many a course of conduct, as pleasant to the eye and apparently as safe as those poisonous herbs appeared to be, yet there is need for caution. "There is death in the pot." "There is a way that seemeth right unto a man, but the end thereof are the ways of death."
I. THIS MAY BE SAID OF FRAUDULENT PRACTICES. "There is death in the pot." They nearly always begin in ways that seem perfectly safe and harmless. A man takes a little from his employer's desk, intending to return it again. But in nine cases out of ten he never returns it.
He has touched what is not his own. The brand of the thief is on his brow and the curse of the thief is on his life. A young man who had been well brought up went from home to enter a bank in a large city. It was noticed, when he returned home, that he was beginning to dress very extravagantly. Each time he returned, some fresh extravagance was noted. He had already begun to spend money faster than he made it, for his salary was but small He was a smart young man, and would soon have got on well in his business, for he was a general favorite.
But in a foolish hour he began to abstract some of the bank money. Little by little it went on, until his defalcations were very considerable. At last he was discovered, dismissed in disgrace from the bank, and it was only the intervention of an influential friend of his family that prevented his arrest. He broke his mother's heart, and brought down his father's grey hairs with sorrow to the grave.
Fraudulent practices may be very often traced to the habit of gambling or betting. This was testified once more quite recently in London by Mr. Vaughan, the Bow Street magistrate, on a charge which came before him. There was a cashier in the receipt of a salary of £150 a year, with prospects of advance. For eight or nine years he had filled his post creditably; but having got behind in his home expenses, he took a few shillings, and invested them in batting.
As he was lucky, from taking shillings he proceeded to pounds; and having once started, he found that it was impossible for him to stop. He had always the hope of winning some day by a stroke of luck, and of thus being able to pay back again the sums which he had embezzled. But the "luck" never came, and he had at last to confess to his employers that he had defrauded them to the extent of £250.
"I wish," said Mr. Vaughan, "that the clerks in mercantile houses would come to this court, and see what I see, and hear what I hear. This is only one of a multitude of cases in which prisoners have confessed that their robberies are entirely due to betting, 'I regard it as a curse to the country.' Beware of dishonesty in any form. "There is death in the pot." It means death to a man's reputation, death to his worldly prospects, death to his peace of mind, for he must live in constant terror of discovery; and if he should escape discovery and judgment upon earth, how can he endure the thought of that day when the secrets of every life shall be disclosed, and when he shall stand condemned at the judgment-seat of God?
II. THIS MAY BE SAID ALSO OF PRACTICES OF IMPURITY. "There is death in the pot." Temptations to it abound on every side. A corrupt press sows broadcast its demoralizing stories, with its suggestive pictures. The theatre, with its brilliant lights and strains of sweetest music—so often dedicated to the service of the devil—lures men into the way of the tempter, and into the den of the destroyer.
It appears an innocent, harmless amusement. But "there is death in the pot." For one who comes unscathed and safe out of the theatre, there are scores who come out of it morally and spiritually the worse for its influence. Let men say what they like about the influence of the drama as a teacher of morals—and there is nothing to be said against the drama in itself—is there a single case of a man made better by going to the theatre? Where is he? Let him be produced.
And even if one or two could be produced, what would they be as a testimony in favor of the theatre, compared to the testimony against it of the thousands it has ruined? "It might do good, but never did. Beware impurity in any form: Beware of impure books, impure songs, the impure jest, impure companions. "There is death in the pot." There is no sin that brings a more speedy or more terrible retribution in this life, than impurity of thought or deed.
In a diseased body and a diseased mind it leaves its deadly marks. The impure man is a walking sepulcher. He is digging his own grave. Above all, he is destroying all hope of entering that pure and holy heaven where God is, and into which there shall in no wise enter anything that defileth.
III. THIS MAY BE SAID ALSO OF HABITS OF INTEMPERANCE. "There is death in the pot." We need not take an extreme position on the subject of alcohol any more than on any other subject. But it is right that, as intelligent beings, with a reason and a conscience, as Christian men and women with God's Word to guide us, we should look facts in the face.
Medical opinion is often resorted to by those who make too free in their use of alcohol. Let us hear the latest and best medical opinion on the subject. At the last meeting of the British Medical Association, one of the most interesting papers was the report of a special committee which had been appointed by the association to inquire into the connection of disease with habits of intemperance. Here are some of the conclusions which the committee, after most careful investigation, arrived at:
(1) That habitual indulgence in alcohol beyond the most moderate amounts has a distinct tendency to shorten life, the shortening being on the average fairly proportional to the degree of indulgence;
(2) that the strictly temperate who have passed the age of twenty-five live on the average at least ten years longer than the intemperate." Is not this an important proof of our statement? "Habitual indulgence in alcohol beyond the most moderate amounts has a distinct tendency to shorten life." The man who drinks alcohol to any considerable extent is slowly killing himself.
"There is death in the pot." If we turn from the assembly of doctors to the experience of everyday life, we get similar proofs. What terrible madness and infatuation drink causes! What fearful havoc it has made! What hopes it has blighted! What homes it has wrecked! What lives it has mined," There is death in the cup of intoxicating drink, as many a man has proved when it has been too late. But absence of wrong-doing will never make you fight.
As Elisha cast the meal into the pot, wholesome and nourishing food in place of the deadly poison, so be it yours to fill your mind with the teaching of God's Word, and your life with holy and useful deeds. The great Teacher is Jesus Christ. Ask him to enter into your life, to purify your heart and your desires. Ask him for time and for eternity to save your soul.—C.H.I.
The loaves multiplied.
I. THE PROPHET PROVIDED FOE. It was a time of famine. "But they that fear the Lord shall, not want any good thing." Elisha received a thank offering from the people—bread of the firstfruits, twenty loaves of barley, and full ears of corn. The objection to a paid ministry has no warrant in the Word of God.
Old Testament and New alike encourage provision for the wants of God's ministers. Jesus said, "The laborer is worthy of his hire." Paul said, "They that preach the gospel should live of the gospel." It is impracticable and inconvenient that men should be preachers of the gospel, with all the preparation which that work requires, and pastors of the flock, with all the attention which this requires, and at the same time be burdened with the toil and anxiety of providing for their own temporal support and that of their families, if they have them.
II. THE PEOPLE FED. We see here:
1. Elisha's unselfishness. He had freely received; now he freely gives. In that time of famine he might have thought it prudent to store up for himself the supply of food he had received. But no. He trusts God for the future. His first thought is of others who were hungry round about him. "Give unto the people, that they may eat." There is need for more of this unselfishness, considerateness, thoughtfulness. How many of those who have abundance forget to think of those who are in want?
2. The Divine power exercised. God owns his servants, not only by supplying their wants, but by giving power to their word. Oh that every minister of Christ would realize this! What a new power it would give to his work! what a new stimulus to his earnestness! When we think of the greatness and responsibility of our work, we may well ask, "Who is sufficient for these things?" But when, on the other hand, we think of the Divine power which works along with the faithful minister, we may well say, "I can do all things through Christ which strengtheneth me." He can help us to break among our people the bread of life, and bless it abundantly in the breaking.—C.H.I.
HOMILIES BY D. THOMAS
A prophet's widow and it prophet's kindness.
"Now there cried a certain woman of the wives of the sons of the prophets unto Elisha," etc. There are two subjects of thought in these verses.
I. A PROPHET'S WIDOW IN DISTRESS. "Now there cried a certain woman of the wives of the sons of the prophets unto Elisha, saying, Thy servant my husband is dead; and thou knowest that thy servant did fear the Lord: and the creditor is come to take unto him my two sons to be bondmen." This poor woman had not only lost her husband, and was left with a bleeding heart-left lonely and desolate in a cold world, but was left in great poverty.
Her husband was not only a good man, one "who did fear the Lord," but a "prophet," a religious teacher, one engaged in disseminating Divine ideas amongst men. It seems that he not only died poor, but died in debt. Even now a large number of ministers are unable to make provision for their wives and children in case of their death. Some of the most enlightened, thoughtful, and really useful ministers are amongst the poorest. Observe:
1. That poverty is not necessarily a disgrace. It is sometimes the result of inflexible honesty and moral nobility.
2. That the best lives here are subject to trials. It is reasonable to infer that this widow was a good woman—one who, like her departed husband, "did fear the Lord;" and yet see her distress! The afflictions of the good are not penal, but disciplinary.
3. That avarice feeds cruelty. "The creditor is come to take unto him my two sons to be bondsmen." The debt she owed, which, we may imagine, could not have been very large, her heartless creditor insisted on being discharged at once, and demanded her two sons to become slaves to him in order to work out the debt. The avaricious world is heartless; even in London hundreds are dying on every side of starvation.
4. That provision should be made for the widows of ministers. The incomes of very many ministers in England today are not sufficient to enable them to make provision for their wives and children in case of their death. Churches which have committees for sending out missionaries, for distributing Bibles (which are cheap enough now), and for distributing tracts, which are often calumnies on Christianity, ought certainly to see that provision is made for the future of their ministers' families.
II. A PROPHET AT WORK TO BELIEVE A BROTHERS WIDOW. In her distress instinct tells her where to go, and she goes to Elisha, not only a man who knew her husband, but one of kindred experiences and sympathies. To him she "cried." Her appeal was really an unintentional compliment to Elisha.
The greatest compliment a man can offer is an opportunity for contributing to a truly deserving object. When a man's compeers rank him amongst those whose meanness has become patent, Charity ignores him. In her benign mission she marches by him in stately silence, as one whom society has placed in the branded category of sordid souls. See how Elisha helps this widow.
1. Promptly. "And Elisha said unto her, What shall I do for thee? tell me, what hast thou in the house?" He did not want arguments or testimonials, etc; but with a beaming generosity he virtually said, "Tell me your condition, and I will do my utmost to serve you." He set to work at once. Having told him she had nothing in her house but one "pot of oil," he says to her, "Go, borrow thee vessels abroad of all thy neighbors, even empty vessels; borrow not a few.
" She obeys his behest, goes amongst her neighbors, and Borrows all the vessels, and then, according to his directions, she closes the door upon herself, and upon her sons, and begins to pour out into each vessel a part of the little pot of oil which she had, and as she poured every vessel she had collected became full to the brim. The more she poured the more came, until she lacked vessels to hold it.
A symbol this of all benevolent virtues—the more they are used the more they grow. So, indeed, with all the faculties of the soul under the influence of true generosity; right giving is the way to the most precious getting. All this, of course, indicates on Elisha's part supernatural assistance.
2. Effectively. "Then she came and told the man of God [Elisha]. And he said, Go, sell the oil, and pay thy debt, and live thou and thy children of the rest." Oil was one of the commodities Judaea traded in (Ezechiele 27:17). She would, therefore, have little difficulty in disposing of this oil, which no doubt was of the best description. The proceeds were to go first to the satisfaction of her heartless creditor, and then to the permanent relief of herself and family.
CONCLUSION. Matthew Henry's remarks are good: "Let those who are poor and in distress be encouraged to trust God for supply in the way of duty. 'Verily thou shalt be fed,' but not feasted. It is true we cannot now expect miracles, yet we may expect mercies if we wait on God and seek him. Let widows particularly, and prophets' widows in a special manner, depend upon him to preserve them and their fatherless children alive; for to them he will be a Husband and a Father.
Let those whom God hath blessed with plenty use it for the glory of God, and under the direction of his Word; let them do justly with it, as this widow did, and serve God cheerfully in the use of it; and, as Elisha, be ready to do good to those that need them—be eyes to the blind, and feet to the lame."—D.T.
Hospitality.
"And it fell on a day, that Elisha passed to Shunem," etc. In these verses there are two very interesting subjects of a practical character.
I. HOSPITALITY RIGHTFULLY EMPLOYED. The object of the hospitality was Elisha the prophet, and the author of it is called here "a great woman." 1 The account given is very clear and sententious. "And it fell on a day, that Elisha passed to Shunem, where was a great woman; and she constrained him to eat bread. And so it was, that as oft as he passed by, he turned in thither to eat bread." Observe:
1. The hospitality was very hearty. "She constrained him to eat bread." She did not give Elisha a mere formal invitation, nor was she urged to it by pleadings on his behalf, either by himself or others. It was spontaneous and hearty, worthy of "a great woman." It was so hearty that Elisha felt authorized, "as oft as he passed by," to enter and "eat bread." On his prophetic mission he would be constantly journeying, and often passing the house, and as often as he did so he felt there was a hearty welcome for him inside, and entered.
2. The hospitality was shown to a poor but godly man. The woman "said unto her husband, Behold now, I perceive that this is a holy man of God, which passeth by us continually," Conventional hospitality welcomes to its table the respectable only, and the more respectable in a worldly sense the more welcome. But genuine hospitality, as in the case before us, looks out for the poor and deserving, and constrains them to enter and be fed.
"When thou makest a feast, call not thy brethren, nor thy kinsmen, nor thy rich neighbors; lest they also bid thee again, and a recompense be made thee. But when thou makest a feast, call the poor, the maimed, the lame, and the blind."
3. The hospitality involved considerable trouble and expense. This "great woman" said to her husband, "Let us make a little chamber, I pray thee, on the wall; and let us set for him there a bed, and a table, and a stool, and a candlestick." She did not say to her husband, "Entertaining him will put us to no inconvenience or expense, therefore let us invite him. No, she calculated upon some inconvenience and cost; a little chamber would have to be built, quiet and suitable for a man of spiritual thoughtfulness and devotion.
And then some furniture, too, would have to be procured- " a bed, and a table, and a stool, and a candlestick." The hospitality that involves no outlay is common, but is a counterfeit, nay, a misnomer. The accommodation this woman offered to Elisha, it must be borne in mind, included that of his servant Gehazi—he shared the provisions and the apartments of his master.
II. HOSPITALITY NOBLY REWARDED. Elisha, instead of being insensible to the great generosity of his hostess, glowed with gratitude that prompted a strong desire to make some return, and "said to Gehazi his servant, Call this Shunammite And he said unto him, Say now unto her, Behold, thou hast been careful for us with all this care; what is to be done for thee?" His offer:
1. Implies his consciousness of great power with man. "Wouldest thou be spoken for to the king, or to the captain of the host?' Though poor himself, he had influence with the rich; and though too independent in soul to ask of them a favor for himself, he could do it for others. Her answer to his generous offer is expressive of the calm self-respect, unmercenariness, and dignity of a "great woman." She answered, "I dwell among mine own people." As if she had said, "We are provided for; we neither aim at nor need preferment"
2. Implies his See Homilist, vol. 38, p. 289. Consciousness of his power with God. He finds out, through his servant Gehazi, that the one great thing on earth that they desired most, and would most appreciate, was a family; a child would brighten their hearth and gladden their hearts. This, through his wonderful power with Heaven, Elisha obtains for them.
Thus the Almighty himself acknowledged the hospitality which this woman had shown to his faithful prophet. "Be not forgetful to entertain strangers: for thereby some have entertained angels unawares."
CONCLUSION. Dinings out and social banquets are common enough amongst us, but hospitality of the true sort is, it may be feared, somewhat rare—the hospitality described by Washington Irving, which "breaks through the chill of ceremonies, and throws every heart into a glow." There is an emanation from the heart in genuine hospitality that cannot be described.—D.T.
Great trials.
"And when the child was grown," etc. This paragraph suggests three general observations.
I. That great trials OFTEN SPRING FROM GREAT MERCIES. With what rapture we may suppose did this woman welcome her only child into the world, and with what care and affection did she minister to his health and enjoyments? It was her greatest earthly prize. She would sooner have parted with all her property, and even, perhaps, with her husband, for he was an old man, than lose this dear boy of hers.
Yet she does; death snatches him from her embrace. "And when the child was grown, it fell on a day, that he went out to his father to the reapers. And he said unto his father, My head, my head. And he said to a lad, Carry him to his mother. And when he had taken him, and brought him to his mother, he sat on her knees till noon, and then died." Though the boy was dead, the woman did not seem to lose hope; her maternal love would not allow her to realize the terrible fact at once.
She first lays him on the bed in the chamber which she had built for the prophet; then she calls to her husband, and entreats him to send a servant with one of the asses, that she might fly with swiftness to Elisha. When her husband suggested some difficulty about her going just at that time, she replied, "It shall be well." "Then she saddled an ass, and said to her servant, Drive, and go forward; slack not thy riding for me, except I bid thee.
So she went and came unto the man of God to Mount Carmel." This was a journey of about five or six hours. Distance is nothing when the traveler's heart overflows with emotion. How frequently it happens that from our greatest blessings our greatest trials spring!
1. Friendship is a great blessing. One true friend, whose soul lives in ours and ours in him or her, is of priceless worth. Yet the disruption of that friendship may strike a wound into the heart that no time can heal.
2. A sanguine temperament is a great blessing. It drinks in largely of the beauties of nature; it paints the future with the brightest hopes, and stimulates the energies to the greatest enterprises. All the best productions of the human species have sprung from such temperaments. But what trials it brings, in frustrated plans, blighted purposes, and extinguished hopes! But life abounds with illustrations of the fact—the greater the blessings we enjoy, the greater agony felt in their loss.
II. That great trials SHOULD BE PATIENTLY ENDURED. In this great trial this woman seems wonderfully resigned. In reply to a difficulty which her husband suggested in setting out for the journey, she said, "It shall be well." And when Gehazi, the servant of Elisha, on her approach to the prophet, asked her, "Is it well with thee? Is it well with thy husband? Is it well with the child?" she answered, "It is well.
" "Though I left my dear boy a corpse at home, and my heart bleeds, I feel it is all ' well; ' it is the dispensation of a Father all-wise and all-loving. I bow to his will" A state of mind so magnanimous as this under great trial is the duty of all, and the sublime privilege of the holy and the good. Thus Job felt, "The Lord gave, and the Lord hath taken away; blessed be the Name of the Lord." Thus our great Example felt when overwhelmed with immeasurable distress he said, "Not my will, but thine be done."
"Thy way, not mine, O Lord,
However dark it be;
Lead me by thine own hand,
Choose out the path for me.
"Smooth let it be or rough,
It will be still the best;
Winding or straight it matters not,
It leads me to thy rest"
III. That great trials MAY HAVE A BLESSED END. The end of this woman's great trial was the restoration of her dead child to life. This was brought about:
1. In connection with her own efforts. If she had remained at home and not sped her way to the prophet at Carmel, her boy in all probability would, it would seem, nave remained a corpse, and would have had to be buried forever out of her sight. When she reached him, see how earnestly she pleads: "And when she came to the man of God to the hill, she caught him by the feet," etc.
2. By the power of God through Elisha. In the following verses we have a representation of the way in which this was brought about. God helps man by man. All our trials might have a blessed end. "Our light affliction, which is but for a moment, worketh for us a far more exceeding and eternal weight of glory." Yes; whilst "we look not at the things that are seen," the result, under God, depends upon ourselves.—D.T.
The relation of prayer to secondary causes.
"And when Elisha was come into the house, behold, the child was dead," etc. The death of the Shunammite's son, as we have seen in the preceding verses, was in many senses to her a very severe trial—a trial from which we have inferred that great trials often spring from great mercies; that great trials should be patiently endured; and that great trials might have a blessed end. By prayer Elisha now raised the woman's dead boy to life. See what Elisha did here.
I. HE PRAYED TO THE LORD. "Let this child's soul come into him again."
II. HE PUT HIMSELF INTO DIRECT CONTACT WITH THE CHILD. Mouth to the child's mouth, eyes to the child's eyes, hands to the child's hands, as if he transfused all the vital magnetism of his own nature into the person of the dead child.
III. HE PERSEVERED WITH THE EFFORT. Until the child's flesh waxed warm, and the child sneezed with the breath of new life.—D.T.
Ministries to man, good and bad.
"And Elisha came again to Gilgal: and there was a dearth in the land," etc. Elisha had returned to Gilgal, the seat of a school of the prophets; he had come thither once more on his yearly circuit, and during the famine, which prevailed in the land. As the students sat before their master, he discerned in their emaciated forms the terrible effects upon them of the famine. In the narrative we discover the action of several ministries, or events with which men are visited more or less in passing through this sublunary state.
I. Here is the ministry of SEVERE TRIAL. "There was a dearth in the land." To be destitute of those provisions which are essential to the appeasement of hunger and the sustentation of life is undoubtedly one of the greatest trials. Such destitution is of two kinds—the avoidable and the unavoidable. The former is common.
Tens of thousands of people in this country, which so abounds with wealth, are, alas! subject to the trial of this destitution every day. But men bring this destitution on themselves. To the heartless cupidity of one class of men, and the indolence, extravagance, and intemperance of another, the poverty which is rampant in England today must be ascribed. The latter kind of destitution, viz. the inevitable, is that recorded in these verses; it arose out of the sterile condition into which the land was thrown.
This was the destitution which now prevailed in Israel; it afflicted all, the good and the bad. In truth, Nature knows of no moral distinctions; she treats kings and paupers, the righteous and the wicked, alike.
II. Here is the ministry of GROSS IGNORANCE. In order to allay the ravenous hunger of his pupils, Elisha said to his servant, "Set on the great pot, and seethe pottage for the sons of the prophets. And one went out into the field to gather herbs, and found a wild vine, and gathered thereof wild gourds, his lap full, and came and shred them into the pot of pottage: for they knew them not.
So they poured out for the men to eat. And it came to pass, as they were eating of the pottage, that they cried out, and said, O thou man of God, there is death in the pot. And they could not eat thereof." Whatever were the herbs which the servants gathered it matters not; they were nauseous and pernicious. "The sons of the prophets," says Matthew Henry, "it would seem, were better skilled in divinity than philosophy, and read their Bibles more than their herbals.
" What they put into the pot tended to produce death rather than to strengthen life. Every day men are afflicted through the gross ignorance of themselves and others. Through ignorance men are everywhere putting "death in the pot," in a material sense. The cook, the doctor, the brewer, the distiller, how much death do they bring into the "pot" of human life! Through ignorance, too, men "pot" of life! Man's ignorance of God and his claims on the soul, its nature, its laws, and the necessary conditions of true spiritual progress, is the minister of death.
III. Here is the ministry of HUMAN KINDNESS. "And there came a man from Baal-shalisha, and brought the man of God bread of the firstfruits, twenty loaves of bread, and full ears of corn in the husk thereof." Whoever this man was (for no description is given of him save the place of his residence), he was a Heaven-inspired philanthropist. Mercy, the highest attribute of heaven, was in him, and he left his home and came forth to minister to the needs of his suffering race.
Thank God for that kindness which has survived the Fall, and still lives in human hearts. The most precious ministry on earth is this: it feeds the hungry, clothes the naked, heals the diseased, wipes away the tears of human sorrow; it is, indeed, Christ in human flesh. For he was then in the world, though the world knew it not.
IV. Here is the ministry of SUPERNATURAL POWER. Supernatural power through Elisha comes to the relief of these sufferers. The supernatural was manifested in two ways.
1. In counteracting the death-tendency of what was in the pot. "But he said, Then bring meal. And he east it into the pot; and he said, Pour out for the people, that they may eat. And there was no harm in the pot." A supernatural power is required to counteract the pernicious in life. If the Almighty allowed evil to take its course freely and fully, death would run riot and reduce the whole race to extinction. The supernatural was manifested also:
2. In increasing the supplies of life. Elisha commanded his servant to distribute amongst his starving pupils the provisions which the man that came from Baal-shalisha had brought. To this the servant replied, "What, should I set this before a hundred men? He said again, Give the people, that they may eat: for thus saith the Lord, They shall eat, and shall leave thereof. So he set it before them, and they did eat, and left thereof, according to the word of the Lord.
" As the pot of oil increased in the pouring, so the provisions increased in the eating. It has been said of old of God, that he will abundantly bless the "provisions of his people, and satisfy the poor with bread." It is true that moral goodness, truth, and justice, skill, prudence, and diligence, have a tendency to increase everywhere the provisions of human life, and they are doing so every day.
But in this case there seems to be the exertion of a power transcending the human. However this may be, that which we call the supernatural is nothing more than the natural. As Nature herself is immeasurably beyond our comprehension, transcends our conceptions, for us to speak of the supernatural implies the arrogation of an intelligence which we do not possess.—D.T.
HOMILIES BY J. ORR
The miracles of Elisha: the pot of oil.
The next few chapters relate a number of the miracles of Elisha—all of them works of mercy.
I. THE WIDOW'S TROUBLE. The story told in these verses is one of sore distress. It is a story:
1. Of bereavement. A poor woman, widow of one of "the sons of the prophets," cried to Elisha, "Thy servant my husband is dead." We learn from this that the prophetic communities were not monastic. Marriage was permitted, and members of the fraternity had houses and families of their own. But this poor woman's husband had recently died. She had to face the difficulties and fight the battles of life alone. We are in presence of one of the minor tragedies of life—little thought of, because not uncommon.
2. Of debt. Her husband had been pious—"Thou knowest that thy servant did fear the Lord"—but his affairs had been left in confusion at his death, or, having no means of subsistence, the family had sunk into dependence on a creditor since his decease. A man may be good, and yet imprudent. On the other hand, misfortunes may overtake the best-intentioned, and reduce them from affluence to poverty.
It is, however, a sad thing when the head of a household dies, and leaves to his struggling family an inheritance of debt. This is a contingency to be by every legitimate means guarded against. The Rev. C. H. Spurgeon, commenting on the text, "Take no thought for the morrow," etc. (Matteo 6:34), began by announcing, "I insured my own life last week, and have thus been able to carry out the injunction of the text, and not to be over-anxious for the morrow, for much undue care and anxiety that I had is now laid aside, secure in the knowledge that my forethought has provided for my loved ones."
3. Of bondage. The creditor to whom the debt was due showed himself merciless, and, as the law permitted, was about to take as slaves the two sons of the woman (Levitico 25:39). It mattered little to the hard-hearted creditor that his debtor had "feared the Lord," that the two sons were the only remaining comforts of the widow, and that, with "patience," they might have "paid him all' (Matteo 18:29).
He must have his own. It was forbidden to a creditor, to whom a fellow-Israelite was sold, to "compel him to serve as a bondservant," and to "rule over him with rigor" (Levitico 25:39, Levitico 25:43). But an unscrupulous man would pay little heed to these injunctions. Altogether, the picture is a sad one. Happily, the poor woman knew where to come with her tale of grief.
She remembered the "Father of the fatherless" and the "Judge of the widow" (Salmi 68:5), and, when every earthly avenue of help was closed, poured her sorrows into the ear of God's prophet.
II. THE DIRECTIONS OF ELISHA. As the representative of One who had specially declared himself the Friend of "the fatherless and widow" (Deuteronomio 10:18), Elisha could not turn a deaf ear to the widow's plaint. A sympathetic interest in the bereaved and distressed is at all times a duty of God's ministers.
1. He inquired as to her possessions. "Tell me, what hast thou in the house?" God's help takes its starting-point from what we already have. The widow had but "one pot of oil"—oil for anointing; but this was made the basis of what was to be done. So Elijah founded his miracle on the widow of Zarephath's "handful of meal in a barrel, and a little oil in a cruse" (1 Re 17:12), and Christ his on the lad's "five barley loaves, and two small fishes" (Giovanni 6:9). The lesson is that what means of help we have are to be made use of to the utmost before supernatural aid is invoked.
2. He bade her prepare for a liberal experience of God's goodness. "Go, borrow thee vessels abroad of all thy neighbors, even empty vessels; borrow not a few." She was to expect large things of the Lord. Her task in collecting the vessels was, like the digging of the trenches in the last chapter, emphatically a work of faith (2 Re 3:16, 2 Re 3:17).
God does not stint us in answer to our prayers. His word rather is, "Open thy mouth wide, and I will fill it (Salmi 81:10). If our faith will but trust him, he will astonish us with his liberality.
3. He enjoined secrecy. "When thou art come in, thou shalt shut the door upon thee and upon thy sons, and shalt pour out," etc. This was too sacred a work to be made a vulgar wonder. To receive the full benefit of the blessing, the inmates of the house were to be alone, in privacy, their thoughts and spirits undisturbed. Jesus enjoins the cultivation of secrecy in religion (Matteo 6:1). He often forbade the blazoning abroad of his miracles (Matteo 8:4, etc.). The parading of religious experiences takes the bloom off them.
III. THE MULTIPYING OF THE OIL.
1. The oil multiplied. The widow and her sons did as directed, and, as they poured the oil into the borrowed vessels, it still increased till the vessels were full. The element of miracle here is very notable, but we are not entitled to expect such miracles at the present day. But the pledge of Divine help in distress implied in such a miracle remains to us, and God will honor every draft on his promises made by faith, basing itself on such deeds as this.
A singular incident in proof is recorded by Krummacher in his remarks on this miracle ('Elisha;' Verse 5.). It might almost be said that there is a multiplying power in the Divine blessing, apart from miracle (Salmi 37:16).
2. The oil stayed. When the vessels were full, the widow said to her son, "Bring me yet a vessel." There was not, however, a vessel more. Then the oil stayed. Had there been more vessels, it would have flowed on. The sole limit of the supply was the limit of their capacity to receive. We are not straitened in God; we are straitened only in ourselves.
3. The oil sold. The news being brought to Elisha, he ordered the grateful woman—poor no more—to sell the oil, and pay her debt, and live, she and her children, of the rest. The debt was not repudiated; it was paid. God would put the stamp of his approval on honesty. The whole incident teaches us the lesson of trusting God in every time of need. When have the righteous been forsaken, or their seed seen begging bread (Salmi 37:25)? If we can trust in God for temporal supplies, much more may we for our spiritual supplies (Filippesi 4:19).—J.O.
The lady of Shunem: 1. A son given.
The scene of this exquisite story is the town of Shunem, on the slope of Little Hermon, one of the eminences looking down on the rich and extensive plain of Jezreel.
I. RECEIVING A PROPHET IN THE NAME OF A PROPHET. In this town dwelt a wealthy lady, wife of a man who had large possessions in land—the Boaz of that district. The first part of the story is a beautiful instance of the consecrated use of wealth.
1. Elisha observed. Shunem lay in Elisha's route in passing to and fro, probably on Iris visits to the schools of the prophets. The lady of Shunem did not at first know him, but his appearance, as he passed and repassed, attracted her attention. She saw, from the gravity, benevolence, and distinction of his aspect, that he was "a holy man of God." She felt an interest in him, first as a wayfarer, then as a man of piety. It is well when even our outward deportment is such that others are compelled to take knowledge of us that we have been with Jesus (Atti degli Apostoli 4:13).
2. Elisha welcomed. The immediate impulse of the pious lady was to show hospitality to the traveler.
(1) This illustrates her own piety. It was because she feared God that she was moved to show this kindness to his servant. Piety often lingers in rural districts when wickedness is rampant in the cities. One marked manifestation of piety is reverence for, and hospitable treatment of, God's saints (Matteo 10:40; Matteo 25:34). Elisha was received "in the name of a prophet" (Matteo 10:41).
(2) It illustrates also her natural benevolence of heart. Had this lady not been naturally of a benevolent disposition, accustomed to act hospitably and generously, she would not so readily have thought of constraining Elisha "to eat bread." St. Paul notes it as the mark of a godly woman, "if she have lodged strangers" (1 Timoteo 5:10).
3. Elisa a customary guest. When once Elisha had found his way to this good lady's house, it would be alike a pleasure to him and a satisfaction to his hostess "to turn in thither" every time he passed through Shunem. The more the Shunammite saw of the prophet, the more she reverenced and desired to serve him. With the inventiveness of a mind that "deviseth liberal things" (Isaia 32:8), it soon occurred to her to make permanent arrangements for his comfortable reception.
Her husband, to whom she proposed her plans, entered heartily into them. Unlike the churlish Nabal (1 Samuele 25:1.), he was willing to give of his wealth for a prophet's entertainment. A chamber, accordingly, was fitted up on the wall for Elisha's private use, and there he abode, and could feel at home, whenever he passed that way. How beautiful the large and unstinted generosity, the wise forethought, the warm consideration for another's comfort, displayed in this incident! This wise and unselfish use of wealth is the true secret of obtaining enjoyment out of it.
II. A PROPHET'S REWARD. We are called to notice:
1. The prophet's gratitude. It was not with hope of reward that the Shunammite had done her acts of kindness, but Elisha was none the less anxious to show his sense of her generosity by doing her some service in return. He bade Gehazi his servant call her, and say to her, "Thou hast been careful for us with all this care; what is to be done for thee?" A grateful spirit well becomes a servant of God (2 Timoteo 1:16).
There is none whose gratitude we should so much desire to have as that of "righteous men." They may not, like Elisha, have interest with kings and courts, but they have interest with Heaven. God rewards for their sake. Their prayers and intercessions are worth more than silver and gold.
2. The Shunammite's humility.
(1) Elisha's first proposal was, "Wouldst thou be spoken for to the king, or to the captain of the host?" His influence at court, since the victory over the Moabites, was probably very great. It is not clear what exactly he supposed the king could do for her that the Shunammite was likely to desire; for it could not be thought, least of all by Elisha, that life in Samaria, and a position in Jehoram's court, even though attended by wealth and honor, was an advantageous exchange for her present rural felicity.
A case did arise, however, later on, in which it was of benefit to her to "be spoken for to the king" (2 Re 8:1). To many minds such a proposal as Elisha's would have had supreme attractions. To be "presented at court" is, in many circles of fashion, the acme of ambition—to gain titles, honors, royal recognitions, the summum bonum of existence.
(2) It was different with this Shunammite. Her wise and beautiful and unambitious answer was," I dwell among mine own people." She had no desire to exchange her simple country life at Shunem, surrounded by those who knew and loved her, for any grander station king or captain could give her. In this she judged rightly. The elements of happiness are probably found in their greatest perfection in such a quiet country existence, with the means of doing good to others, as this lady enjoyed.
They are emphatically not to be found in the sphere of court-favor and court-patronage—too often the sphere of sycophancy, intrigue, faction, backstairs influence, miserable jealousies and spites, which reduce life to the emptiest, vainest show.
3. The prophet's reward. What, then, was to be done for the Shunammite?
(1) Gehazi, with the shrewdness of a man of the world, struck on the right idea. "Verily she hath no child, and her husband is old." Perhaps he had ere this heard the lady lament her want of offspring. It was the one cross of her otherwise contented and happy life. Her husband, like Elkanah, might console her with the words," Am not I better to thee than ten sons?" but her warm, motherly heart, overflowing as it was with kindness to others, yearned for a child of her own on whom to lavish its riches.
Without this boon, however she might feel the duty of resignation, existence remained incomplete. It is rare but that some cross, if it be but one, is mingled with our blessings, if only to teach us that existence here is not the be-all and end-all.
(2) Elisha saw at once the propriety of Gehazi's suggestion, and confident in the Divine readiness to give effect to his word, he called the Shunammite, and announced to her the joyful fact that, with the revolving months, she should embrace a son. The intimation astounded her, as well it might. It so entirely transcended her hopes and expectations, that she could hardly believe in its realization.
"Nay thou man of God," she said, "do not lie unto thine handmaid;" as if she was afraid he was trifling with her, trying some experiment upon her feelings, or otherwise deluding her. Her words were not really those of unbelief, but of faith asking for greater assurance. When her mind had time to take in the full extent of Elisha's promise, inexpressible joy would chase the last trace of doubt from her soul.
(3) The event happened as predicted, and a son was born. We learn that those who show kindness to God's people shall not go without their reward (Matteo 10:41, Matteo 10:42). The reward may not come in the form they anticipate, but it will come in the way that is best for them, and will generally be above all that they ask or think (Efesini 3:20).
God's power, "which calleth those things which be not as though they were" (Romani 4:17), will do marvels for us, if only we have faith to receive his promise.—J.O.
The lady of Shunem: 2. The son taken and restored.
A lapse of several years occurs in the story, during which time the child had grown, till he was able to go out to his father to the harvest-field.
I. THE UNEXPECTED STROKE.
1. A boyhood of promise. Everything combined to invest this Shunammite's son with interest, and to make him the idol of his parents' heart. He was an only son, the son of his father's old age, a child of promise—almost of miracle. He would be the joy and delight of his home, a constant wonder, an unceasing study. He was his father's, not less than his mother's, favorite, as seen by the way in which the child runs out to him in the field.
Great hopes would be built on him, and it might be thought that these could hardly fail to be realized. From the manner in which he had been given, God might seem pledged to preserve him from the ordinary dangers of childhood. He lived—so it might be fancied—a charmed life, and could not fall a victim to disease and trouble as other children did. Alas! the contrary was soon to be shown.
2. The child smitten. The manner of the playful child's seizure is simply and naturally told. The boy is sporting among the reapers, when suddenly he exclaims, "My head, my head!" The father is by his side, and orders him to be carried home to his mother. He thinks, apparently, only of some passing illness. The heat has proved too much for him. The mother's instinct more surely divines the fatal character of the stroke.
She does not even lay him on his bed, but, taking him on her knees, holds him there in an agony of terror and affection, boding the worst. How great a mother's love! The father is sought in the hour of play; the mother's knee is the place in sickness. At noon the child dies.
3. The child dead.
(1) It is not an unexampled thing for children to be taken away as suddenly and pathetically as this Shunammite's son was. Many a parent's bleeding heart can tell of similar wounds. The suffering and death of little children is one of the "dark things" of Providence. Often it is the brightest and most promising that is taken, and the removal is sometimes as sharp, startling, and unlooked-for as in the case here described. Yesterday, nay, at morn, the mother had her child by her, happy, winsome, full of mirth and frolic; at noon he is snatched from her embrace forever.
(2) The special mystery in the case of this Shunammite's son is that he was a child of promise. Had not God given her this son—given him without her seeking—and how could he now, without manifest injustice, snatch him away from her again in this ruthless manner? Was there not, in this way of dealing, a breaking of promise with her, something arbitrary, capricious, unfair? So to her wild, whirling thoughts, it may have seemed.
God's ways are, in truth, often very mysterious. Yet in the present instance may not the very fondness of these doting parents for their child help to explain something of the darkness of God's dealing with them? God never binds himself to an unconditional continuance of our blessings. There was danger, just because this child was held so dear, of the parents' centering all in it—forgetting, in their feeling of the security of their possession, that the gift still hung on the will of the Giver. To recall them to a sense of their dependence, or, if this is rejected, then, as in Abraham's ease, to perfect the faith of this Shunammite through trial, the gift is for the time withdrawn.
(3) The child is dead, and with almost unnatural composure, the stricken mother rises from her seat, bears the child's body aloft to the prophet's chamber, lays it on the bed, and goes out, locking the door behind her. She tells neither servants, husband, nor any one else, of what has happened. Her husband was still in the field, and she must have put off any inquiries he made with evasive answers. A great mystery hung over this unlooked-for bereavement, and as only the prophet can solve that mystery, to the prophet she will go.
II. THE JOURNEY TO CARMEL.
1. On the way.
(1) The lady sends to her husband for an ass, and a young man to accompany her, that she may "run" to the prophet, and come again. She gives no explanation, for in her heart she no doubt cherished hope that her mission would not be in vain. She clung to the promise of God (cf. Ebrei 11:17). In the hour of trouble, nothing lightens the gloom like a promise to hold by.
(2) The husband's surprised question, "Wherefore wilt thou go to him to-day? it is neither new moon, nor sabbath," shows that it was Elisha's custom to hold religious assemblies on the sabbath days, to which the godly in Israel resorted. This is an interesting side light on the practice of the time. Weekly assemblies were not provided for in the Law, but where love to God is in the heart, it needs no law to bring believers together (Malachia 3:16).
(3) The journey was made in haste. "Slacken not the riding." Such errands brooked no delay. When one is earnest in pressing for a blessing, no obstacles will be allowed to stand in the way. Neither in service of God, in seeking blessing from God, nor in pursuit of holiness, should we be tempted to "slacken" our endeavors (Filippesi 3:13, Filippesi 3:14).
2. Meeting Gehazi. From afar, from his dwelling on Carmel, Elisha saw the hard riding of the lady whom he recognized as the Shunammite. With an instant presentiment that something was wrong—though nothing had been revealed to him (2 Re 4:27)—he bade Gehazi hasten, and inquire concerning herself, her husband, and her child, if it were "peace.
" To him, however, she was in no wise minded to open up her heart. She but curtly replied, as she had before done to her husband (2 Re 4:23), "It is peace." With all her deep affliction, she had not surrendered faith. She felt that God was trying her, but though "faith and form" were sundered in the night of fear, she had courage to believe that it would yet be "well.
" Her comfort was not in the well-being of her child with God, but in the hope that he would be restored to her. With the new light the gospel has given, Christians can say of their dear lost children, "It is well," though they have no hope of beholding them again on earth.
3. At Elisha's feet.
(1) Arrived in the prophet's presence, the bereaved mother cast herself in mute grief and supplication at his feet. With singular inappreciation of the delicacy of the situation, Gehazi approached to thrust her away. But Elisha perceived how deeply her soul was "vexed" within her, though as yet he could not divine the cause. There is a silence which is often more eloquent than speech.
God does not need our words to tell him what we want; he can read even the "groanings that cannot be uttered" (Romani 8:26). This mourner took her trouble to the right place.
(2) By-and-by she found words, which in form were words of expostulation, "Did I desire a son of my lord? did I not say, Do not deceive me?" In reality she was recalling to the prophet that it was his own word which had promised her this child. She was telling him in effect that the child was dead, and supplicating his help to prevent his original promise being completely cancelled.
God is pleased that we should plead his promises with him. He bids us "put him in remembrance" (Isaia 43:26); like Job, "fill our mouth with arguments" (Giobbe 23:4). He will honor his own word, for "his gifts and calling are without repentance" (Romani 11:29).
III. THE CHILD RESTORED.
1. Gehazi's failure. Anxious to lose no time in doing what he was confident it was the will of God should be done, Elisha directed his servant, who could go much more quickly than himself, to speed forward, and lay his staff upon the face of the child. He was neither to allow time to be wasted, nor his thoughts to be distracted, by saluting any one on the way.
("The King's business required haste;" 1 Samuele 21:8; cf. Luca 10:4.) Gehazi did as he was commanded, but "there was neither voice nor hearing." The staff did not work the wonder—was never intended to do so; it was only a symbol of the prophetic authority under sanction of which the deed was to be wrought. There have been many speculations as to the cause of Gehazi's failure, some supposing that Elisha had stepped beyond his province in presuming to delegate this power to another; others, that the failure was a designed rebuke to Gehazi; others, that this was a new trial of the Shunammite's faith.
But surely the simplest explanation is also the most probable. Gehazi was sent in good faith, but the deed was not one to be wrought by marc, but by the concurrence of faith and prayer. Elisha's prayers accompanied his messenger, but the defects in Gehazi's own spiritual nature proved too serious for the work he had to do. God would not act through such an instrument. Even when Elisha came upon the scene, it was not without difficulty that he accomplished the miracle. His foresight in this was limited, even as in the matter of the child's death the fact was "hid" from him.
2. Elisha's success. The Shunammite had refused to leave Elisha, and now, as they journeyed onward, Gehazi met them, announcing, "The child is not awaked." Elisha himself now took in hand the task in which Gehazi had failed.
(1) He went into the room where the child was, shut the door "upon them twain," and prayed. The prophet and the dead are alone together, but God is there too. Elisha attacked the problem from its spiritual side. His first object was to get his own soul into a spiritual frame, and to secure God's approval of his efforts. He believed, like his master Elijah, in the virtue of "effectual fervent prayer" (Giacomo 5:16).
Such preparations are necessary if we would accomplish the greater miracle of raising the spiritually dead. Prayer attains its highest power when "secret" (Matteo 6:6).
(2) Divinely directed in answer to his prayer, Elisha now stretched himself upon the body of the child, placing his mouth on his mouth, his eyes on his eyes, his hands on his hands, etc. (cf. 1 Re 18:21), and a first stage in restoration was accomplished—"the flesh of the child waxed warm." We can give no explanation whatever of the rationale of this procedure, which yet in some way unknown may have made Elisha a co-agent in the work of restoration.
If life was not absolutely extinct—a supposition countenanced by the fact that decomposition does not seem, even at the distance of many hours, to have set in (Bahr)—some reason might be seen for it.
(3) Elisha now arose, walked for a time to and fro, perhaps to increase animal heat, more probably in an energetic bracing of mind and spirit to overcome remaining obstacles to the power of faith, then renewed his former position of contact with the child. Life gradually reasserted its power; the child sneezed once, again, seven times; then opened his eyes, and was restored to his parent.
The lessons from this concluding part of the story are:
(1) Prayer conjoined with appropriate action does not fail of its reward.
(2) The duty of perseverance.
(3) Some spiritual tasks are more difficult than others (Marco 9:29).
(4) In the case of the Shunammite, the victory of faith.
(5) The ease with which Christ wrought his miracles as compared with these laborious exertions of Elisha—a proof of the superior greatness of his power.—J.O.
The deadly pottage.
Two other remarkable, though more briefly related, works of Elisha are narrated in the closing verses of this chapter. Both have to do with "the sons of the prophets" at Gilgal; both relate to a time of famine; and one is an Old Testament anticipation of a signal miracle of Christ. The first is the healing of the deadly pottage.
I. THE PROPHETIC COLLEGE. We are transported to Gilgal, and gain a glimpse into the interior of the prophetic school.
1. Religious instruction. Elisha is there, and "the sons of the prophets" are "sitting before him," receiving his instructions. There is dearth of temporal provision, but none of spiritual. The usual exercises of instruction and devotion go on, as if plenty reigned.
2. Religious fellowship. The famine has not sufficed to break up the little community, but has drawn the members of it—as trial should always do—closer together. They have a common table. They "dwell together in unity" (Salmi 133:1). Elisha, like a good captain, shares the hardships of his army. God's people are sometimes brought into difficulty enough, but the effect should only be to strengthen the bonds of brotherly love.
3. Religious order. There are orderly arrangements. Elisha is not only preceptor, but director of the temporal affairs of the community. All obey him, as all appeal to him when trouble arises. The invisible Head of the community is Jehovah. On him they rely with confidence, when every other source of help fails.
II. DEATH IN THE POT. The great pot is set on to seethe pottage in, and one goes out to gather herbs to eke out the scanty supply.
1. The poisonous gourd. Attracted by some wild creepers, the messenger gathers there from a lapful of gourds, which he mistakes for gourds of a similar appearance that are edible. The plants he had gathered were in reality poisonous. He brought them home, and they were shred into the pottage. We may learn two lessons.
(1) The danger of being deceived by appearances. Things often are not what they seem. The most plausible errors are those which bear a superficial resemblance to great truths. We need to have our "senses exercised to discern both good and evil" (Ebrei 5:14). To the true vine there correspond many wild vines; to the gourds that nourish and satisfy, many fair but poisonous imitations.
(2) The best intentions may lead to sad mistakes. The important point to be noticed here is that our intentions, however good, cannot prevent things from acting according to their real nature. The person who gathered the gourds thought them innocuous, but they produced their poisonous effects all the same. "Sincerity' does not exonerate us from the consequences of our actions; at least it cannot prevent these consequences following.
Poisonous principles are as harmful in their influence when promulgated in ignorance, as when diffused with the fullest knowledge of their deadly character. "They knew it not" does not suffice to alter the nature of facts.
2. The timely discovery. The pottage was no sooner tasted than the peculiar flavor and felt effects discovered to those eating it that there was something, amiss. The cry was raised, "O thou man of God, there is death in the pot!"
(1) One poisonous ingredient had destroyed the value of much wholesome food. It did not require that all the elements in the pottage should be unwholesome; it was enough that this one was. Through it the whole mixture was rendered deadly. It is not uncommon to defend a system by pointing to the numerous truths, which it contains. But one vital error blended with these truths may give the whole a fatal quality. The gospel itself may be adulterated with specious lies, which destroy its power for good.
(2) It is well when there is timely discovery of evil. It is better when, as here, those who have made the discovery resolve to partake no more of the poisoned dish. "They could not eat thereof." But many, in moral things, who know, who at least have been warned, that there is "death in the pot," go on eating of it. There is death in the intoxicating pot, yet many will not refrain.
III. THE POTTAGE HEALED. Elisha had within himself a monition what to do. He said, "Bring meal." The meal was brought, and cast into the pottage, and the evil was at once cured. There seems no reason for using the meal except that it was customary to accompany these prophetic miracles with an outward symbolical act; and the meal, as a symbol of what was wholesome and nutritious in food, was as appropriate a medium as any to be used.
We get this idea—that the unwholesome is to be displaced by the wholesome. If the bane is to be destroyed, we must use as antidote that which is of opposite character. As a work of God's power, the miracle was a pledge to the prophets of God's ability and readiness to help them in every time of need. The simplest means can be made effectual if God blesses it.—J.O.
The twenty barley loaves.
This miracle foreshadows Christ's acts of multiplying the loaves (Matteo 14:15; Matteo 15:32, etc.).
I. THE GIFT OF LOAVES. In a time of great need in the little society, there came a man from Baal-shalisha, bringing with him twenty barley loaves and a quantity of fresh corn. This welcome gift was:
1. Prompted by a religious motive. It was "bread of the firstfruits." The religious dues were ordinarily paid to priests and Levites, but in the state of religion in Israel, this good man thought that he kept the spirit of the Law best by bringing his loaves and corn to Elisha and his pupils. The act is proof
(1) of his genuine piety;
(2) of his religious good sense;
(3) of his habitual conscientiousness in discharge of duty.
He did not conceive that "dearth in the land" freed him from the obligation of the firstfruits. Would that every Christian had as high and conscientious a standard in religious giving! We may suppose that the man was further moved in part by a benevolent desire to be of service to Elisha and the prophets. In that case he would be no loser by his kindness.
2. Providentially timed to meet a pressing necessity. Prom the point of view of Elisha and his friends, the visit of the man of Baal-shalisha was a signal interposition of Providence for their relief. Their supplies were exhausted, and they had been praying and hoping for a door of help to be opened to them. Just then this anonymous donor from Baal-shalisha comes in with his bread.
It was as direct a case of Divine provision as when the ravens brought bread and flesh to Elijah at the brook Cherith (1 Re 17:6). God's ways of providing for his people are endless in their variety Many instances are on record of help sent m just as wonderful a way to those in need as this passage exhibits.
II. THE MIRACULOUS INCREASE. Precious as these twenty barley loaves were, they formed, after all, but scant provision for a hundred hungry men. The prophet had, however, warrant from God to convert them into the sufficiency required.
1. "Thus saith the Lord." "Give unto the people" said Elisha, "that they may eat," When Gehazi objected that there was not enough for all the company, the prophet repeated his command, adding, "For thus saith the Lord, They shall eat, and shall leave thereof." A "thus saith the Lord" suffices to overcome all objections. What can it not accomplish? It made the worlds at first; it gave the Israelites manna in the wilderness; it brought water from the rock; it had but a little before multiplied the widow's oil. If we have this warrant for anything we are told to do, we need not hesitate to attempt it.
2. The people fed. Accordingly, when the bread was served out, it was found to be sufficient for all. It is curiously supposed by some that the miracle was not in the multiplication of the bread, but in causing the portions received to satisfy hunger. The analogy of the other miracles by multiplication, not in the Gospels alone, but in these very histories (1 Re 17:12-11; 2 Re 4:1), is against this. We see in the provision made
(1) a blending of providence and miracle. An appreciable quantity of the bread provided was furnished by the man of Baal-shalisha; God made this sufficient by a direct act of power. Another illustration of the variety of the Divine methods. The one thing certain is that those who trust him will be provided for (Salmi 34:9, Salmi 34:10). We do well to see in it also
(2) an image of the true, God-given, spiritual bread, which God brings to us in our spiritual need, and by which he satisfies our spiritual hunger (Giovanni 6:26).—J.O.