XXXVI.

Questo salmo consiste di tre strofe ben definite di lunghezza quasi uguale. La prima ritrae l'uomo malvagio che ha raggiunto il grado più basso di empietà. La seconda esalta la bontà e la giustizia di Dio. La terza, che è, in un certo senso, un'applicazione pratica delle altre, esprime, sotto forma di preghiera, la giusta scelta da fare tra le due tendenze, la pia e l'empia. L'improvviso passaggio alla fine della prima strofa ha portato alcuni critici a pronunciare il salmo composito.

Ma che altro può fare il cuore, che non sprofonderebbe sotto il senso opprimente del peccato accumulato e della miseria della terra, ma volgersi improvvisamente e fiducioso al pensiero di una bontà e verità infinite e durature. L'unica risorsa della fede che non mancherà è di appellarsi dalla terra al cielo, e vedere, in alto su tutta la volubilità e la falsità degli uomini, la fedeltà di Dio: forte sopra ogni cosa l'insolenza e la tirannia dei malvagi La sua eterna giustizia: grande profondo e sicuro, quando tutti gli altri appoggi sembrano venir meno, il suo vasto e immutabile amore.

Coloro che intendono per "casa di Dio", in Salmi 36:8 , il Tempio, rifiutano la paternità davidica. Ma inteso del mondo in generale, o, meglio, della dimora celeste del Divino, non serve come indicazione di data, e non c'è nient'altro nel poema per stabilire quando fu scritto. Il parallelismo è vario.

Titolo. — Per “servo del Signore”, applicato a Davide, vedi Salmi 18 (titolo).

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