Commento biblico dell'espositore (Nicoll)
Atti degli Apostoli 21:39,40
Capitolo 17
UN PRIGIONIERO IN LEGAMI.
Atti degli Apostoli 21:2 ; Atti degli Apostoli 21:17 ; Atti degli Apostoli 21:33 ; Atti degli Apostoli 21:39 ; Atti degli Apostoli 22:22 ; Atti degli Apostoli 22:30 ; Atti degli Apostoli 24:1 ; Atti degli Apostoli 26:1
IL titolo che abbiamo dato a questo capitolo, "Un prigioniero in schiavitù", esprime l'idea centrale degli ultimi otto capitoli degli Atti. Erano ormai trascorsi vent'anni e più dalla conversione di san Paolo sulla via di Damasco. Questi vent'anni sono stati tempi di incessante e intensa attività. Ora veniamo a circa cinque anni in cui le fatiche esterne, i tumulti e le cure della vita attiva, devono essere accantonate, e S.
Paolo è stato chiamato a stare in disparte e ad imparare la lezione che l'esperienza quotidiana insegna a tutti, come facilmente il mondo può andare avanti senza di noi, come facilmente i disegni di Dio si realizzano senza il nostro misero aiuto. I vari brani che abbiamo posto all'inizio di questo capitolo coprono sei capitoli degli Atti, dal ventunesimo al ventiseiesimo. Può sembrare che gran parte del testo sia compresa nei limiti di uno dei nostri Capitoli, ma bisogna ricordare che gran parte dello spazio così compreso è occupato dalla narrazione di S.
La conversione di Paolo, che per due volte si prospetta lungamente, prima alla moltitudine dalle scale della torre di Antonia, e poi in sua difesa che pronunciò davanti ad Agrippa e Berenice e Festo, oppure con i discorsi da lui pronunciati davanti al riunito il Sinedrio e davanti al governatore Felice, in cui si sofferma su punti precedentemente e sufficientemente discussi. Abbiamo già considerato a lungo il racconto della conversione dell'Apostolo, e notato le direzioni particolari in cui S.
Le versioni successive di Paolo a Gerusalemme ea Cesarea gettano luce sul resoconto indipendente di san Luca. Ai capitoli precedenti di questo libro rimanderemo quindi il lettore che desidera discutere della conversione di san Paolo e di molti degli altri argomenti che introduce. Cerchiamo ora però, prima di tutto, di raccogliere in un unico racconto connesso il racconto dei viaggi, delle sofferenze e delle prigioni di san Paolo dal momento in cui lasciò Mileto dopo il suo famoso discorso fino a quando salpò per Roma dal porto di Cesarea, prigioniero destinato al tribunale di Nerone.
Questa narrazione abbraccerà almeno dall'estate del 58 dC, quando fu arrestato a Gerusalemme, fino all'autunno del 60, quando salpò per Roma. Questa storia connessa ci permetterà di vedere la stretta unione delle varie parti della narrazione che ora ci è nascosta a causa della divisione in capitoli, e ci permetterà di fissare più facilmente i punti principali che si prestano agli scopi di un espositore.
I. San Paolo dopo essersi separato dalla Chiesa di Efeso, si imbarcò sulla sua nave, e quindi costeggiò per tre giorni la costa occidentale dell'Asia Minore, navigando in uno scenario della descrizione più incantevole, specialmente in quella tarda primavera o all'inizio dell'estate al quale era poi arrivato l'anno. Era circa il primo maggio, e tutta la natura stava esplodendo in nuova vita, quando anche i cuori più duri e meno ricettivi alle influenze esterne si sentono come se stessero rivivendo una parte della loro giovinezza.
E anche san Paolo, rapito nella contemplazione delle cose invisibili, deve essersi sentito commosso dalla bellezza delle scene che attraversava, sebbene san Luca non ci dica altro che il denso susseguirsi degli eventi. Tre giorni dopo aver lasciato Mileto, la sacra compagnia raggiunse Patara, cittadina all'angolo sud-occidentale dell'Asia Minore, dove la costa comincia a girare verso est. Qui S.
Paolo trovò una nave mercantile diretta a Tiro e in Palestina, e quindi con tutta fretta vi trasferì se stesso e il suo gruppo. Sembra che la nave fosse in procinto di salpare, cosa che si addiceva tanto meglio a San Paolo, ansioso com'era di raggiungere Gerusalemme in tempo per la Pentecoste. Il viaggio diretto da Patara a Tiro è di circa trecentocinquanta miglia, tre giorni di navigazione in circostanze favorevoli per le navi mercantili degli antichi, e le circostanze erano favorevoli.
Il nord-ovest è ancora oggi il vento prevalente nel Mediterraneo orientale durante la tarda primavera e l'inizio dell'estate, e il nord-ovest sarebbe il vento più favorevole per un antico commerciante che dipende quasi interamente da un'immensa randa per la sua forza motrice. Con un tale vento i mercantili di quell'epoca potevano percorrere da cento a centocinquanta miglia al giorno, e quindi percorrerebbero la distanza tra Patara e Tiro in tre giorni, il tempo che abbiamo specificato.
Quando la nave arrivò a Tiro, St. Paul cercò la locale congregazione cristiana. La nave era stata noleggiata per portare a Tiro un carico probabilmente di grano o vino, in quanto Tiro era una città puramente commerciale, e il territorio che naturalmente le apparteneva non era assolutamente in grado di completarla con i necessari provvedimenti, come abbiamo già notato in occasione della morte di Erode Agrippa. Trascorse dunque una settimana a scaricare il carico, durante la quale S.
Paolo si dedicò all'istruzione della Chiesa cristiana locale. Dopo una settimana di intima comunione con questo eminente servo di Dio, i cristiani di Tiro, come gli anziani di Efeso e di Mileto, con le loro mogli e i loro figli, lo accompagnarono fino alla riva, dove si raccomandarono l'un l'altro in preghiera alla cura e alla benedizione di Dio. Da Tiro salpò per Tolemaide, distante trenta miglia.
Là trovò di nuovo un'altra congregazione cristiana, con la quale soggiornò un giorno, e poi lasciata la nave proseguì per la grande strada costiera verso Cesarea, una città che già conosceva bene, e nella quale sarebbe tornato presto come prigioniero nelle obbligazioni. A Cesarea doveva esserci ora una congregazione cristiana molto considerevole. A Cesarea visse e servì stabilmente Filippo Evangelista.
Vi risiedevano anche le sue figlie, eminenti come maestre, ed esercitando nelle loro funzioni predicatrici o profetiche una grande influenza tra la popolazione femminile molto mista della capitale politica della Palestina. San Paolo e San Luca dimorarono alcuni giorni a Cesarea nella casa di Filippo Evangelista. Non desiderava arrivare a Gerusalemme prima della festa di Pentecoste e, a causa dei venti favorevoli di cui era stato favorito, doveva avere una settimana o più per restare a Cesarea.
Qui Agabus appare di nuovo sulla scena. Quattordici anni prima aveva predetto la carestia che portò San Paolo a visitare Gerusalemme quando portava l'elemosina della Chiesa di Antiochena per assistere i poveri fratelli di Gerusalemme, e ora predice l'imminente prigionia dell'Apostolo. La prospettiva commosse così tanto la Chiesa che i fratelli pregarono San Paolo di cambiare idea e di non entrare nella Città Santa.
Ma la sua decisione era presa, e nulla lo avrebbe dissuaso dal celebrare la Festa come aveva sempre proposto; Salì dunque a Gerusalemme, alloggiando presso Mnason, «un discepolo precoce», come dice la Revised Version, uno che quindi fece risalire le sue convinzioni cristiane probabilmente alla celebre Pentecoste di un quarto di secolo prima, quando lo Spirito Santo si manifestò per la prima volta Il suo potere soprannaturale nel convertire moltitudini di anime umane.
Il giorno dopo andò a trovare Giacomo, il Vescovo di Gerusalemme, che lo accolse calorosamente, ne capì la posizione, lo avvertì delle voci che erano circolate laboriosamente e falsamente circa la sua opposizione alla Legge di Mosè, anche nel caso di nato ebrei, e gli diede alcuni prudenti consigli sulla sua condotta. San Giacomo raccomandava a San Paolo di unirsi a certi nazirei cristiani e di eseguire i riti ebraici consueti in tali casi.
Un nazireo, come abbiamo già detto, quando prese il voto nazireo per un tempo limitato dopo che gli era stata concessa una speciale liberazione, si lasciò crescere i capelli finché non poté tagliarli nel tempio e farli bruciare nel fuoco di i sacrifici offerti per lui. Questi sacrifici erano molto costosi, come si vedrà subito da un riferimento a Numeri 6:13 , dove sono prescritti per intero, ed era sempre considerato un segno di pietà patriottica quando uno straniero che veniva a Gerusalemme si offriva a sostenere le spese necessarie per gli ebrei più poveri, e così ha completato le cerimonie legate al voto nazireo.
S. Giacomo consigliò a S. Paolo di seguire questa linea, di unirsi ai membri della Chiesa cristiana locale che non potevano sostenere le spese consuete, di pagare le loro spese, unirsi a loro nei sacrifici, e così proclamare pubblicamente a coloro il quale gli si oppose che, sebbene differisse da loro per quanto riguarda i pagani, tenendosi in quella materia con lo stesso san Giacomo e con gli apostoli, ma per quanto riguardava i giudei, sia a Gerusalemme che in tutto il mondo, era totalmente travisato quando gli uomini affermarono che insegnò agli ebrei a rifiutare la Legge di Mosè.
San Paolo fu guidato dal consiglio di Giacomo e procedette a completare il cerimoniale prescritto per i Nazirei. Questa fu la svolta del suo destino. Gerusalemme era allora affollata di stranieri da ogni parte del mondo. Efeso e la provincia dell'Asia, in quanto grande centro commerciale, e quindi grande località di villeggiatura ebraica, fornivano un contingente molto numeroso. A costoro, dunque, Paolo era ben noto come un appassionato maestro cristiano, verso il quale le sinagoghe di Efeso provavano la più amara ostilità.
Avevano spesso complottato contro di lui a Efeso, come lo stesso san Paolo disse agli anziani nel suo discorso a Mileto, ma fino a quel momento non erano riusciti a raggiungere il loro scopo. Ora, tuttavia, sembravano aver intravisto la loro occasione. Pensavano di avere un grido popolare e un'accusa legale in base alla quale avrebbe potuto essere condannato a morte secondo le forme della legge. Questi ebrei di Efeso lo avevano visto in città in compagnia di Trofimo, un cristiano incirconciso appartenente alla loro stessa città, uno quindi la cui presenza all'interno del tempio era un reato capitale, anche secondo il diritto romano.
Perciò gridarono che aveva contaminato il luogo santo introducendovi un greco incirconciso; e così sollevò la plebe a prendere l'Apostolo, trascinarlo fuori dai sacri recinti e ucciderlo. Durante la celebrazione delle feste le sentinelle romane, stazionate sulla vicina torre di Antonia che sovrastava i cortili del Tempio, osservavano da vicino le folle radunate, preoccupate di una sommossa.
Non appena dunque si manifestarono i primi sintomi di un'epidemia, fu dato l'allarme, il capitano in capo Lisia si affrettò sul posto, e San Paolo fu per il momento salvato. Su richiesta dell'Apostolo, che veniva condotto su nel castello, gli fu permesso di rivolgersi alla moltitudine dalle scale. Ascoltarono il racconto della sua conversione molto silenziosamente finché non venne a raccontare la visione che Dio gli aveva concesso nel Tempio circa vent'anni prima, avvertendolo di lasciare Gerusalemme, quando alle parole "Vai via, perché io ti manderò lontano quindi ai Gentili", tutta la loro rabbia repressa, il premio e la gelosia nazionale esplosero di nuovo.
San Paolo si era rivolto a loro in lingua ebraica, che il capo capitano non capiva, e la folla probabilmente espresse la loro rabbia e passione nella stessa lingua. Il capo capitano ordinò che San Paolo fosse esaminato con la fustigazione per sapere perché erano così oltraggiosi contro di lui. Più fortunato, però, in questa occasione che a Filippi, reclamò il suo privilegio di cittadino romano e scampò al supplizio.
Il capitano era ancora all'oscuro del delitto del prigioniero, e perciò fu condotto il giorno dopo davanti al sinedrio, quando San Paolo con un felice colpo causò una tale divisione tra i sadducei e i farisei che il capitano fu nuovamente obbligato a intervenire e salvare il prigioniero dalle fazioni contendenti. Il giorno dopo, però, i Giudei formarono una congiura per uccidere l'Apostolo, che il nipote scoprì e rivelò a S. Paolo ea Claudio Lisia, che quella stessa notte lo mandò a Cesarea.
Tutti questi eventi, dal suo colloquio con Giacomo al suo arrivo sotto scorta a Cesarea, non possono essere durati al massimo otto giorni, eppure la loro storia si estende dalla metà del capitolo ventunesimo alla fine del ventunesimo. -terzo, mentre il resoconto del duro lavoro di dodici mesi di predicazione, scrittura, organizzazione è abbracciato nei primi sei versetti del ventesimo capitolo, mostrando quanto fosse molto diverso il racconto delle cose di San Luca, a seconda che fosse presente o assente quando sono state trattate.
Dall'inizio del capitolo ventiquattresimo alla fine del ventiseiesimo viene ripreso il racconto delle prove di san Paolo, prima davanti a Felice, poi davanti a Festo, suo successore nella procura della Palestina. Riassumiamo solo il corso di. eventi e distinguerli. San Paolo fu inviato da Claudio Lisia a Felice, accompagnato da una lettera in cui cerca di costruire la migliore costruzione sulle proprie azioni, presentandosi come particolarmente preoccupato per San Paolo.
Paolo perché cittadino romano, motivo per cui infatti si descrive come colui che lo ha salvato dalle grinfie della folla. Dopo cinque giorni, San Paolo fu allevato davanti a Felice e accusato dai Giudei di tre gravi delitti agli occhi del diritto romano amministrato in Palestina. In primo luogo, fu un promotore di sedizioni tra gli ebrei; secondo, un capobanda di una nuova setta, i Nazareni, sconosciuta alla legge ebraica; e terzo, un profanatore del Tempio, contrario alla legge che gli stessi Romani avevano sancito.
Su tutti questi punti Paolo contestava le indagini e chiedeva prove, chiedendo dove fossero gli ebrei dell'Asia che lo avevano accusato di aver profanato il Tempio. I giudei pensavano senza dubbio che Paolo fosse un ebreo comune, che sarebbe stato ceduto al loro clamore dal procuratore, e non sapeva nulla della sua cittadinanza romana. La loro mancanza di testimoni ha portato al loro fallimento, ma non ha portato alla liberazione di San Paolo.
Fu affidato alla custodia di un centurione e ai suoi amici fu concessa la libertà di accesso. In questo stato San Paolo continuò per due anni interi, dalla metà dell'estate del 58 allo stesso periodo del 60 dC, quando Felice fu sostituito da Festo. Durante questi due anni Felice conversò spesso con S. Paolo. Felix era un uomo completamente cattivo. Esercitò, come disse di lui uno storico dell'epoca, "il potere di un re con la mente di uno schiavo.
"Era tirannico, licenzioso e corrotto, e sperava di essere corrotto da S. Paolo, quando lo avrebbe messo in libertà. In questo periodo della sua vita S. Paolo venne due volte in contatto con la casa erodiana, che da allora in poi scompare. dalla storia sacra Felice circa il periodo dell'arresto di S. Paolo attirò Drusilla, pronipote di Erode il Grande, dal marito per mezzo, come molti pensano, di Simone Mago.
Drusilla era molto giovane e molto bella e, come tutte le donne erodiane, molto malvagia. Felice era un aperto adultero, quindi, e non c'è da meravigliarsi che quando Paolo ragionava davanti alla coppia colpevole riguardo alla giustizia, alla temperanza e al giudizio a venire, la coscienza li avrebbe colpiti e Felice avrebbe tremato. San Paolo ebbe un'altra opportunità di testimoniare davanti a questa famiglia malvagia e macchiata di sangue.
Festo succedette a Felice come procuratore della Palestina verso il giugno del 60 d.C.. Entro il mese successivo Agrippa II, figlio di Erode Agrippa che era morto a Cesarea della terribile morte di cui parla il dodicesimo capitolo, venne a Cesarea per rendere omaggio al nuovo governatore. Agrippa era sovrano del regno di Calcide, un distretto a nord della Palestina e intorno alla catena del Libano. Era accompagnato da sua sorella Bernice, che in seguito divenne l'amante di Tito, il conquistatore di Gerusalemme nell'ultimo grande assedio.
Festo aveva già ascoltato il caso di San Paolo e aveva accolto il suo appello a Cesare. Desiderava, tuttavia, che il suo caso fosse indagato davanti a due esperti ebrei, Agrippa e Bernice, che potessero spiegare la propria ignoranza sulle accuse mossegli dagli ebrei, consentendogli di scrivere un rapporto più soddisfacente per la guida dell'imperatore. Condusse dunque davanti a loro san Paolo, e diede al grande campione cristiano un'altra opportunità di testimoniare per il suo Maestro davanti a una famiglia che ormai da più di sessant'anni era stata più o meno mischiata, ma mai per propria benedizione, con storia.
Dopo un periodo di due anni e tre mesi di detenzione, variato da diverse apparizioni pubbliche, San Paolo fu inviato a Roma per sostenere il suo processo e difendersi davanti all'imperatore Nerone, il cui nome è diventato sinonimo di vizio, brutalità e volontà propria.
II. Abbiamo ora fornito un quadro connesso della storia di San Paolo che si estende su un periodo di più di due anni. Tralasciamo le sue difese formali, che sono già state segnalate, e prendiamo per la nostra meditazione alcuni punti che sono peculiari della narrazione.
Abbiamo nella storia del viaggio, dell'arresto e della prigionia di San Paolo, molte circostanze che illustrano i metodi di azione di Dio nel mondo, oppure i suoi rapporti con la vita spirituale. Prendiamo alcuni casi. In primo luogo, quindi, rivolgiamo l'attenzione al progresso costante ma tranquillo della fede cristiana, come rivelato in questi capitoli. San Paolo sbarcò a Tiro, e da Tiro proseguì per una trentina di miglia a sud fino a Tolemaide.
Queste sono entrambe città che finora non sono mai emerse nella nostra narrazione come luoghi di attività cristiana. San Paolo e San Pietro e Barnaba e gli altri capi attivi della Chiesa devono essere passati spesso per queste città, e ovunque andassero si sforzavano di far conoscere la novella del Vangelo. Ma non sentiamo nulla negli Atti, e la tradizione non ci dice nulla di quando o da chi fu fondata la Chiesa cristiana in queste località.
Abbiamo anche scorci dell'antica organizzazione della Chiesa, ma solo scorci; non abbiamo una dichiarazione completa, perché San Luca stava scrivendo per un uomo che viveva in mezzo a essa, e poteva supplire alle lacune lasciate dal suo informatore. I presbiteri sono menzionati a Mileto, e il profeta Agabo era apparso ad Antiochia anni prima, e ora appare di nuovo a Cesarea, dove appaiono Filippo l'evangelista e le sue figlie profetesse.
I profeti e le profezie non sono confinati alla Palestina e ad Antiochia, sebbene gli Atti non ci dicano nulla di loro come esistenti altrove. La Lettera a Corinto ci mostra che i profeti occupavano un posto molto importante in quella comunità cristiana. Profetizzare era infatti principalmente predicare a Corinto; ma non escludeva la predizione, e che secondo l'antico metodo giudaico, sia con l'azione che con la parola, per Agabo prese S.
La cintura di Paolo, e legandosi le mani ei piedi, dichiarò che lo Spirito Santo gli aveva detto: "Così i Giudei di Gerusalemme legheranno l'uomo che possiede questa cintura e lo consegneranno nelle mani dei Gentili". Ma quanto poco sappiamo dei dettagli della crescita della Chiesa, salvo nei luoghi più importanti! Come ignoriamo completamente, per esempio, i metodi con cui il Vangelo si diffuse a Tiro, Tolemaide e Puteoli! Qui troviamo negli Atti il compimento delle parole di nostro Signore riportate in Marco 4:26 : "Così è il regno di Dio, come se un uomo gettasse il seme sulla terra; e il seme germogliasse e crescesse, egli sa non come.
Fu con l'ultimo e più grande tempio di Dio come fu con il primo. Furono poste le sue fondamenta e furono costruite le sue mura, non con suono di scure e di martello, ma nella penitenza delle anime umiliate, nella santa testimonianza di spiriti santificati, nelle vite serie di uomini santi nascosti al mondo beffardo, conosciuti solo dall'Onnipotente.
Di nuovo, notiamo il consiglio dato da Giacomo e il corso effettivamente adottato da S.. Paolo quando arrivò a Gerusalemme. Ha l'apparenza del compromesso della verità, eppure ha semplicemente l'apparenza, non la realtà del compromesso. Era in effetti un consiglio saggio e sano, e come insegna lezioni utili per la nostra guida nella vita. Abbiamo già esposto la concezione di san Paolo dei riti e delle cerimonie ebraiche.
Non erano niente al mondo in un modo o nell'altro, visto dal punto di vista divino. La loro presenza non giovava all'opera di salvezza dell'uomo; la loro assenza non lo ha sminuito. L'Apostolo vi prendeva dunque parte abbastanza liberamente, come quando a Filippi celebrò la pasqua ei giorni degli azzimi, considerandoli semplici riti nazionali. Aveva avuto successo nel più alto grado nel convertire a questa visione anche i membri più elevati e severi della Chiesa di Gerusalemme.
S. Giacomo, nel consigliare a S. Paolo come comportarsi in questa occasione, quando tali pregiudizi erano stati suscitati contro di lui, mostra chiaramente che era giunto al punto di vista di S. Paolo. Dice a San Paolo che la moltitudine o il corpo della Chiesa Giudeo-Cristiana a Gerusalemme era stata eccitata contro di lui, perché era stata informata che insegnava agli Ebrei della Dispersione ad abbandonare Mosè, la stessa cosa che San Paolo non ha fatto .
San Giacomo capì, tuttavia, l'opinione di san Paolo secondo cui Mosè e la legge levitica potevano essere cose buone per gli ebrei, ma non avevano alcuna relazione con i gentili e non dovevano essere imposte loro. San Giacomo aveva insegnato questo punto di vista dieci anni prima al Concilio Apostolico. Le sue opinioni e il suo insegnamento si erano diffusi verso il basso, e la maggior parte della Chiesa di Gerusalemme ora aveva lo stesso punto di vista per quanto riguarda i Gentili, ma era più forte che mai e patriottica come sempre per quanto riguardava gli Ebrei, e l'obbligo dei Giudei Legge su di loro e sui loro figli.
San Paolo aveva sostenuto la sua tesi riguardo alla libertà dei Gentili. E ora venne un momento in cui doveva a sua volta mostrare considerazione e cura per i pregiudizi ebraici, e mettere in pratica il proprio principio che la circoncisione non era nulla e l'incirconcisione non era nulla. Le concessioni, infatti, non dovevano essere tutte da una parte, e San Paolo doveva ora fare una concessione. Le congregazioni giudeo-cristiane di Gerusalemme erano molto eccitate e S.
Paolo con una certa condotta, perfettamente innocente e innocua, poteva pacificare i loro eccitati sentimenti patriottici e dimostrare loro che era ancora un vero, un genuino ebreo e non un rinnegato. Era solo una piccola cosa che St. James consigliava e che il sentimento pubblico richiedeva. Non doveva far altro che unirsi a un gruppo di nazirei e pagare le loro spese, e così Paolo si sarebbe messo in rapporto con la Chiesa madre della cristianità.
San Paolo ha agito con saggezza, carità e in uno spirito cristiano quando ha acconsentito a fare come consigliava San Giacomo. San Paolo fu sempre eminentemente prudente. Ci sono alcuni uomini religiosi che sembrano pensare che consigliare una condotta saggia o prudente sia lo stesso che consigliare una condotta malvagia o senza principi. Sembrano considerare il successo in ogni corso come una chiara prova del peccato e il fallimento come una prova di onestà e di vero principio.
La concessione, tuttavia, non è la stessa cosa di un compromesso indegno. È nostro dovere nella vita vedere e rendere il nostro corso di condotta il più fruttuoso e di successo possibile. La concessione su piccoli punti ha un potere meraviglioso nell'appianare il percorso dell'azione e nel raggiungere il vero successo. Molti uomini onesti rovinano una buona causa semplicemente perché non sanno distinguere, come faceva S. Paolo, le cose necessarie ed essenziali da quelle accidentali e futili.
L'ostinazione caparbia, per usare una frase molto casalinga ma molto espressiva, che in effetti è spesso solo orgoglio travestito, è un grande nemico della pace e dell'armonia delle società e delle chiese. San Paolo ha mostrato qui una grande audacia. Non aveva paura di essere travisato, quel fantasma che spaventa tanti cacciatori di popolarità dal corso che è vero e giusto. Con quanta facilità i suoi feroci avversari, gli uomini che erano andati a Corinto e in Galazia per opporsi a lui, avrebbero travisato la sua azione nell'unirsi ai Nazirei! Erano gli uomini estremi della Chiesa di Gerusalemme.
Erano gli uomini per i quali le decisioni del Concilio Apostolico non avevano peso, e che sostenevano ancora come un tempo che se un uomo non fosse circonciso non poteva essere salvato. Con quanta facilità, dico, questi uomini potrebbero inviare i loro emissari, i quali dovrebbero proclamare che il loro avversario Paolo aveva concesso tutte le loro richieste e stava osservando la legge a Gerusalemme. San Paolo non ebbe paura di questo travisamento, ma audacemente prese la via che gli parve giusta, vera e caritatevole, nonostante le malevole lingue dei suoi avversari.
L'Apostolo delle genti ci ha lasciato un esempio che molti ancora richiedono. Quanto un uomo è trattenuto dall'adottare una condotta caritatevole e tendente alla pace e all'edificazione, solo perché ha paura di ciò che gli avversari possono dire, o di come possono distorcere e travisare la sua azione. San Paolo non era posseduto da nessuna di questa viltà morale che fiorisce specialmente tra i cosiddetti capi di partito, uomini che, invece di guidare, sono sempre guidati e governati dalle opinioni dei loro seguaci. San Paolo ha semplicemente determinato nella sua coscienza ciò che era giusto, e poi ha agito senza paura la sua determinazione.
Alcuni forse sosterrebbero che il risultato della sua azione mostrava che aveva torto e che aveva indegnamente compromesso la causa della libertà cristiana. Pensano che se non avesse acconsentito a comparire come nazireo nel Tempio non ci sarebbe stata alcuna sommossa, il suo arresto sarebbe stato evitato e il corso della storia avrebbe potuto essere molto diverso. Ma qui ci uniremmo problema sul posto. I risultati della sua azione confermarono la sua saggezza cristiana.
Il grande corpo della Chiesa di Gerusalemme era convinto della sua sincerità e realizzava la sua posizione. Ha mantenuto la sua influenza su di loro, che era stata gravemente messa in pericolo in precedenza, e quindi ha contribuito al corso dello sviluppo che era in corso. Dieci anni prima i sostenitori della libertà dei Gentili non erano che un piccolo corpo. Ora la stragrande maggioranza della chiesa locale a Gerusalemme si atteneva a questa idea, mentre si aggrappava ancora all'obbligo imposto agli ebrei di osservare la legge.
San Paolo fece del suo meglio per mantenere la sua amicizia e alleanza con la Chiesa di Gerusalemme. Per rimettersi in sesto con loro si recò fino a Gerusalemme, quando in Occidente si aprivano per lui nuovi campi e splendide prospettive. A questo scopo si sottopose a diversi giorni di moderazione e di presenza al Tempio, ei risultati confermarono la sua determinazione. La Chiesa di Gerusalemme continuò lo stesso corso di sviluppo ordinato, e quando, dieci anni dopo, Gerusalemme fu minacciata di distruzione, solo le congregazioni cristiane si elevarono al di sopra dello stretto patriottismo bigotto che legava gli ebrei alla Città Santa.
Solo i cristiani si resero conto che il giorno della Legge mosaica era finalmente passato e, ritirandosi nella vicina città di Pella, sfuggirono alla distruzione che attendeva i fanatici seguaci della Legge e del Tempio.
A questa obiezione si può dare anche un'altra risposta. Non fu la sua azione nei confronti dei nazirei che provocò la sommossa e l'arresto e la conseguente prigionia. Era l'ostilità degli ebrei dell'Asia; e lo avrebbero assalito ogni volta e ovunque lo avessero incontrato. Anche studiando la materia, anche in vista dei risultati, dovremmo trarre la conclusione opposta. Dio stesso ha approvato il suo corso.
Una visione divina gli fu concessa nel corpo di guardia di Antonia, dopo aver sperimentato due volte la violenza giudaica, e gli diede l'approvazione del Cielo: "La notte che seguì il Signore stette presso di lui, e disse: Stai di buon animo; poiché come hai testimoniato di me a Gerusalemme, così devi rendere testimonianza anche a Roma». La sua azione coraggiosa e allo stesso tempo caritatevole fu confermata dai suoi risultati sulla Chiesa di Gerusalemme, dalla sanzione di Cristo stesso e, infine, dai suoi benedetti risultati sullo sviluppo della Chiesa in generale nel guidare S.
Paolo a Roma, dandogli un ambito più ampio e influente per i suoi sforzi, e dandogli tempo di scrivere epistole come quelle a Efeso, Filippi e Colosse, che sono state così istruttive e utili per la Chiesa di tutti i tempi.
Un altro punto che ha esercitato la mente degli uomini si trova nell'atteggiamento e nelle parole di san Paolo quando è stato portato davanti al Sinedrio il giorno dopo il suo arresto. La storia è raccontata nei versi di apertura del ventitreesimo capitolo. Citiamoli, poiché presentano vividamente la difficoltà: "E Paolo, guardando fisso il consiglio, disse: Fratelli, ho vissuto davanti a Dio in tutta buona coscienza fino ad oggi.
E il sommo sacerdote Anania ordinò a quelli che gli stavano accanto di colpirlo alla bocca. Allora Paolo gli disse: Dio ti colpirà, muro imbiancato; e ti siedi per giudicarmi secondo la legge e comandarmi di essere percosso contro la legge? E quelli che erano presenti dicevano: Insulti tu il sommo sacerdote di Dio? E Paolo disse: Non so, fratelli, che fosse sommo sacerdote, poiché sta scritto: Non dire male di un capo del tuo popolo».
Si presentano qui due difficoltà.
(a) C'è il linguaggio di san Paolo, che certamente sembra carente nella mansuetudine cristiana, e non esattamente modellato sull'esempio di Cristo, il quale, quando fu oltraggiato, non oltraggiato più, e nel Discorso della Montagna stabilì una legge di sofferenza alla quale san Paolo qui non si conforma. Ma questa è solo una difficoltà per coloro che hanno formato una stima sovrumana di san Paolo contro la quale abbiamo più volte protestato, e contro la quale questo stesso libro degli Atti sembra avere una cura speciale nell'avvertire i suoi lettori.
Se le persone renderanno l'Apostolo senza peccato e perfetto come nostro Signore, saranno ovviamente sorpresi dal suo linguaggio in questa occasione. Ma se lo considerano nella luce in cui lo ritrae san Luca, come un uomo delle stesse passioni e infermità con se stessi, allora non proveranno alcuna difficoltà nel fatto che il carattere naturale di san Paolo si sia risvegliato al comando brutale e illegale colpire sulla bocca un prigioniero indifeso perché aveva fatto una dichiarazione che un membro della corte non gradiva.
Questo passaggio mi sembra non una difficoltà, ma un passaggio divinamente guidato che testimonia l'influenza ispiratrice dello Spirito Santo, e inserito per castigare la nostra fantasia errante, che esalterebbe l'Apostolo ad una posizione pari a quella che spetta di diritto al suo Divin Maestro solo.
(b) Poi c'è una seconda difficoltà. Alcuni hanno pensato che san Paolo avesse mentito in questo passo e che, difendendosi dall'accusa di insolenza antiscritturale nei confronti del sommo sacerdote, si fosse limitato a fingere di ignorare la propria persona, dicendo: "Non vorrei, fratelli, che egli era sommo sacerdote». I commentatori più anziani escogitarono varie spiegazioni di questo passaggio. Il Dr. John Lightfoot, nel suo "Horae Hebraicae", trattando questo verso, li riassume tutti come segue.
O san Paolo vuol dire che non riconobbe Anania come sommo sacerdote perché non ricopriva legittimamente l'ufficio, oppure perché Cristo era ormai l'unico sommo sacerdote; oppure perché c'erano stati così tanti e così frequenti cambiamenti che di fatto non sapeva chi fosse il vero sommo sacerdote. Nessuna di queste è una spiegazione soddisfacente. Il signor Lewin offre quella che mi sembra la spiegazione più naturale, considerando tutte le circostanze.
Anania fu nominato sommo sacerdote verso il 47, rimase in carica fino al 59 e fu ucciso all'inizio della grande guerra giudaica. Fu un personaggio tutto storico, e il suo sommo sacerdozio ci è garantito dalla testimonianza di Giuseppe Flavio, che ci racconta le sue varie fortune e la sua tragica morte. Ma San Paolo probabilmente non lo vide mai una volta, poiché era assente da Gerusalemme, tranne che per una breve visita, per tutto il tempo mentre godeva dell'ufficio supremo.
Ora il Sinedrio era composto da settantuno giudici, sedevano in una grande sala con davanti una folla di scribi e allievi, e il sommo sacerdote, come abbiamo già detto, non era necessariamente presidente o presidente. San Paolo era molto miope, e l'oftalmia di cui soffriva continuamente era probabilmente molto intensificata dal trattamento violento che aveva subito il giorno prima.
Potrebbe esserci qualcosa di più naturale del fatto che un uomo miope non riconosca in una tale folla la persona in particolare che aveva pronunciato questo comando molto breve, ma molto tirannico: "Colpiscilo sulla bocca"? Sicuramente un esame imparziale della vita di San Paolo mostra che egli è sempre stato almeno un uomo di sorprendente coraggio, e quindi uno che non sarebbe mai sceso a coprire le sue stesse parole affrettate anche con l'ombra di una menzogna!
Di nuovo, la prontezza e la prontezza di San Paolo nel cogliere ogni opportunità di fuga hanno per noi un insegnamento importante. In quattro diverse occasioni in questa crisi ha mostrato questa caratteristica. Annotiamoli per la nostra guida. Quando fu salvato dal capo capitano e fu condotto nel castello, il capitano ordinò che fosse esaminato mediante flagellazione per suscitare la vera causa della sommossa; Ns.
Paolo si avvalse allora del suo privilegio di cittadino romano per sfuggire a quel supplizio. Quando si presentò davanti al concilio, percepì che era ancora in atto l'antica divisione tra farisei e sadducei, che aveva conosciuto molto tempo prima quando ne era stato coinvolto. Si avvalse abilmente di quella circostanza per suscitare dissensi tra i suoi avversari. Capì il principio essenziale che stava alla base del suo insegnamento, e cioè la dottrina della Resurrezione e l'affermazione della realtà del mondo spirituale.
Senza quella dottrina il cristianesimo e l'insegnamento cristiano erano del tutto privi di significato, e in quella dottrina farisei e cristiani erano uniti. Lasciando cadere la linea di difesa che stava per offrire, che probabilmente avrebbe proceduto a mostrare quanto fedele alla coscienza e alla luce divina fosse stato il suo corso di vita, gridò: "Sono un fariseo, un figlio di farisei: toccando il speranza e risurrezione dei morti sono chiamato in causa.
Grozio, antico e dotto commentatore, trattando Atti degli Apostoli 23:6 , ha ben riassunto i princìpi sui quali san Paolo agì in questa occasione con le seguenti parole: «S. A Paolo non mancava l'umana prudenza, servendosi della quale per il servizio del vangelo mescolò la sapienza del serpente con la mansuetudine della colomba, e così utilizzò i dissensi dei suoi nemici». tatto in funzione.
Dopo la riunione del Sinedrio e il suo riscatto al di fuori di esso, si organizzò un complotto per assassinarlo, di cui fu informato dal nipote. D'altronde san Paolo non si lasciò sfuggire le cose, confidando nella sola sollecitudine divina. Sapeva bene che Dio esigeva dagli uomini di fede che fossero collaboratori di Dio e gli prestassero la loro collaborazione. Conosceva anche l'orrore che le autorità romane avevano della sommossa e di tutte le misure illegali; mandò dunque il nipote al capitano in capo, e con la sua prontezza di risorse si salvò da un pericolo imminente.
Lo stesso tratto caratteristico lo ritroviamo infine a Cesarea. La sua esperienza di dominio romano gli insegnò l'ansia dei nuovi governatori di compiacere le persone tra le quali venivano. Sapeva che Festo sarebbe stato ansioso di gratificare le autorità ebraiche in ogni modo possibile. Erano molto desiderosi di far trasferire l'Apostolo da Cesarea a Gerusalemme, sicuri che in un modo o nell'altro avrebbero potuto lì disporre di lui.
Conoscendo quindi la posizione pericolosa in cui si trovava, la prontezza e il tatto di San Paolo tornarono in suo aiuto. Conosceva bene il diritto romano. Sapeva che come cittadino romano gli restava una risorsa per la quale in una breve frase poteva trasferirsi fuori dalla giurisdizione del Sinedrio e della Procura egualmente, e di questo si avvalse nel momento critico, pronunciando le parole magiche.
Caesarem Appello ("Mi appello a Cesare"). San Paolo ha lasciato in tutti questi casi un sano esempio di cui la Chiesa ha urgentemente bisogno negli anni successivi. Non aveva alcun desiderio morboso per la sofferenza o la morte. Nessun uomo ha mai vissuto in una più stretta comunione con il suo Dio, o in una più ferma disponibilità a partire e stare con Cristo. Ma sapeva che era suo dovere rimanere al suo posto finché il Capitano della sua salvezza non avesse dato un chiaro avviso di ritiro, e quel chiaro avviso fu dato solo quando ogni via di fuga fu tagliata.
San Paolo usò quindi la sua conoscenza e il suo tatto per accertare la volontà del Maestro e scoprire se era suo desiderio che il suo fedele servitore si allontanasse o si fermasse, ancora per un po' per l'adempimento dei suoi doveri terreni. Ho detto che questo è stato un esempio necessario per la Chiesa nelle epoche successive. La questione della fuga nella persecuzione divenne molto pratica non appena l'Impero Romano assunse un atteggiamento decisamente ostile alla Chiesa.
Il partito più estremo e fanatico non solo si rifiutò di prendere qualsiasi misura per garantire la loro sicurezza o sfuggire alla morte, ma piuttosto si precipitò su di esso e rimproverò quelli come traditori e rinnegati che ci provavano. modo per evitare la sofferenza. Fin dai tempi più antichi, dai giorni dello stesso Ignazio di Antiochia, vediamo manifestarsi questa tendenza morbosa; mentre la Chiesa, nella persona di alcuni dei suoi più grandi capi, uomini come Policarpo e Cipriano, che si ritirarono dal pericolo imminente finché le autorità romane non li scoprirono, mostrò che S.
L'insegnamento e l'esempio più saggio di Paolo non furono gettati via. Il quietismo era un punto di vista che due secoli fa ha suscitato grande scalpore sia in Inghilterra che in Francia, e sembra incarnato in una certa misura in certe forme moderne di pensiero. Insegnava che i credenti dovrebbero giacere piuttosto passivi nelle mani di Dio e non fare alcuno sforzo per se stessi. Il quietismo non avrebbe mai trovato un seguace nella mente vigorosa di San Paolo, che si dimostrò attraverso tutte quelle prove e vicissitudini di più di due anni sempre pronto con qualche nuovo espediente per incontrare l'odio dei suoi nemici.
III. Notiamo infine nel racconto della prigionia di san Paolo i suoi colloqui e la sua testimonianza davanti ai membri della casa di Erode. San Pietro ha avuto esperienza del padre di Erode Agrippa, e ora San Paolo entra in contatto con i figli, Agrippa, Drusilla e Bernice. E così avvenne. Il procuratore Felice, come abbiamo già spiegato, era un uomo molto cattivo, e aveva sedotto Drusilla dal marito.
Senza dubbio le raccontò del prigioniero ebreo che giaceva prigioniero nella città in cui viveva. Gli Erodi erano una razza intelligente, e sapevano tutto delle speranze ebraiche e delle aspettative messianiche, e sembra che siano sempre stati ossessionati da una certa curiosità riguardo alla nuova setta dei Nazareni. Un Erode desiderava da molto tempo vedere Gesù Cristo e si rallegrò quando Pilato soddisfece il suo desiderio.
Drusilla, senza dubbio, era ugualmente curiosa e persuase facilmente il marito a soddisfare il suo desiderio. Leggiamo quindi in Atti degli Apostoli 24:24 : "Ma dopo alcuni giorni Felice venne con Drusilla, sua moglie, che era ebrea, e mandò a chiamare Paolo, e lo udì riguardo alla fede in Cristo Gesù".
Nessuno dei due ha calcolato il tipo di uomo con cui avevano a che fare. San Paolo conosceva tutte le circostanze del caso. Ha adattato il suo discorso a ciò. Ha fatto un potente appello alla coscienza della coppia colpevole. Ragionò sulla giustizia, sulla temperanza e sul giudizio futuro, e Felice tremò sotto le sue parole pesanti. Le sue convinzioni furono risvegliate. Ha vissuto una stagione transitoria di penitenza, come ha toccato un altro membro colpevole della casa erodiana che temeva Giovanni e ha fatto molte cose volentieri per ottenere la sua approvazione.
Ma l'abitudine al peccato aveva afferrato Felix troppo saldamente. Ha temporeggiato con la sua coscienza. Rimandò il giorno della salvezza quando stava sorgendo per lui, e le sue parole: "Va' per questa volta, e quando avrò tempo opportuno ti chiamerò a me", divennero il linguaggio tipico di tutte quelle anime per quale procrastinazione, mancanza di decisione, scherzando con sentimenti spirituali, sono stati i presagi e le cause della rovina eterna.
Ma Felice e Drusilla non furono gli unici membri della casa erodiana con cui Paolo venne in contatto. Felice e Drusilla lasciarono la Palestina quando erano trascorsi due anni di prigionia di San Paolo. Festo, un altro procuratore, lo seguì e iniziò il suo corso come tutti i governanti romani della Palestina iniziarono il loro. I Giudei, quando Festo visitò Gerusalemme, lo pregarono di consegnare il prigioniero che giaceva legato a Cesarea al giudizio del loro Sinedrio.
Festo, onnipotente come era di solito un governatore romano, non osò trattare così un cittadino romano senza il proprio consenso, e quando tale consenso fu chiesto Paolo rifiutò immediatamente, conoscendo bene le intenzioni dei Giudei, e si appellò a Cesare. Un governatore romano, tuttavia, non manderebbe un prigioniero al giudizio dell'imperatore senza dichiarare il crimine a lui imputato. Proprio in quel momento comparve sulla scena Erode Agrippa, re di Calcide e del distretto di Iturea, insieme alla sorella Berenice.
Era ebreo, e quindi conosceva bene le accuse mosse contro l'Apostolo, e poteva informare il procuratore quale relazione doveva inviare all'imperatore. Festo quindi portò Paolo davanti a loro, e gli diede un'altra opportunità di esporre la fede di Gesù Cristo e la legge dell'amore e della purezza che quella fede implicava a una famiglia che mai trattava quella legge con profondo disprezzo.
San Paolo si è avvalso di questa opportunità. Rivolse tutto il suo discorso al re, e quel discorso era tipico di quelli che rivolgeva al pubblico ebraico. Era come il sermone pronunciato agli ebrei nella sinagoga di Antiochia in Pisidia in un aspetto importante. Entrambi i discorsi si sono raccolti intorno alla risurrezione di Gesù Cristo come idea centrale. S. Paolo cominciò con quella dottrina il suo discorso davanti ad Agrippa, e con la stessa terminò.
La speranza di Israele, verso la quale tendeva il loro continuo culto, era la risurrezione dei morti. Questa era l'idea iniziale di St. Paul. La stessa nota stava sotto il racconto della sua stessa conversione, e poi tornò alla sua affermazione originale che il Cristo risorto era la speranza di Israele e del mondo insegnata da Mosè e proclamata dai profeti. Ma fu tutto vano per quanto riguarda Agrippa e Bernice.
Gli Erode erano magnifici, intelligenti, belli. Ma erano della terra, della terra. Agrippa disse infatti a Paolo: "Con poca persuasione tu vorresti farmi cristiano". Ma non erano anime come la sua a cui era destinato il messaggio evangelico. Gli Erode ignoravano il peso del peccato o l'ardente anelito delle anime desiderose di santità e di Dio. Erano soddisfatti dell'attuale scena transitoria e si divertivano a fondo.
Il padre di Agrippa, quando giaceva morente a Cesarea, si consolava con la riflessione che, sebbene la sua carriera fosse stata prematuramente interrotta, tuttavia aveva comunque vissuto una vita splendida. E come era stato il genitore, tali erano i figli. Il re Agrippa e sua sorella Bernice erano veri tipi di ascoltatori pietrosi, con i quali "la cura del mondo e l'inganno delle ricchezze soffocano la parola.
E nel suo caso soffocarono così efficacemente la parola, anche quando insegnata da san Paolo, che l'unico risultato su Agrippa, come riferisce san Luca, fu questo: "Agrippa disse a Festo: Quest'uomo potrebbe essere stato messo a libertà, se non si fosse appellato a Cesare».