Commento biblico dell'espositore (Nicoll)
Atti degli Apostoli 8:9-10
Capitolo 17
SIMON MAGUS E LA CONVERSIONE DI SAMARIA.
Atti degli Apostoli 8:5 ; Atti degli Apostoli 8:9
L'obiettivo della prima parte di questo libro degli Atti è di tracciare lo sviluppo costante e graduale della Chiesa tra gli ebrei, l'evoluzione, senza mai cessare un momento, di quel principio di vera vita cattolica e universale che il Maestro ha impiantato in lei, e che non cessò mai di funzionare finché la piccola compagnia ristretta, prevenuta, illiberale dei Galilei, che originariamente componeva la Chiesa, divenne la Chiesa emancipata di tutte le nazioni.
Questo processo di sviluppo fu portato avanti, come abbiamo già sottolineato, per opera degli ebrei ellenistici, e specialmente dei diaconi che erano così intimamente legati a quella classe. Negli ultimi capitoli abbiamo ripercorso la storia di un diacono, Santo Stefano; siamo ora condotti alla storia di un altro, san Filippo. La sua attività, descritta nell'ottavo capitolo, segue esattamente le stesse linee.
Santo Stefano proclama i principi universali del Vangelo; San Filippo agisce su questi principi, scendendo nella città di Samaria, e lì predicando Cristo. La posizione preminente che i diaconi avevano per il tempo assunto ci viene rivelata da due avvisi. Filippo lascia Gerusalemme e si reca in Samaria, dove il potere del sommo sacerdote e del Sinedrio non si estende, ma si resiste con violenza.
Qui è al sicuro per il momento, finché la violenza della persecuzione non sia passata. Eppure, sebbene Filippo debba lasciare Gerusalemme, gli Apostoli restano nascosti nell'oscurità in cui erano caduti per un po', per il sommo splendore di Santo Stefano: «Erano tutti dispersi tranne gli Apostoli». I diaconi erano obbligati a fuggire, gli Apostoli potevano restare: fatti che mostrano sufficientemente le posizioni relative che le due classi occupavano nella stima pubblica, e illustrano quella legge dell'opera divina che tante volte vediamo manifestarsi nel corso della Chiesa carriera a scacchi, l'ultimo sarà il primo e il primo l'ultimo. Dio, in questa occasione, come sempre, sceglie i propri strumenti, e opera con essi come e come vuole.
I. Questa reticenza e oscurità degli Apostoli può ora sembrarci alquanto strana, come sembra certamente stranissimo come gli Apostoli abbiano potuto restare al sicuro a Gerusalemme quando tutti gli altri dovettero volare. Gli Apostoli, naturalmente, ora ci appaiono i membri più importanti della Gerusalemme, anzi, più lontano, della Chiesa cristiana in tutto il mondo. Ma poi, come abbiamo già osservato, una delle grandi difficoltà nello studio storico è di arrivare al punto di vista giusto, e di mantenerci a quel punto in circostanze molto diverse.
Siamo inclini a ributtarci indietro, o, se l'espressione è consentita, a proiettarci indietro nel passato, e a pensare che gli uomini devono sempre aver attribuito a persone o circostanze particolari la stessa importanza che attribuiamo a noi. Ora vediamo l'intero corso degli eventi e possiamo valutarli non in base a una mera importanza temporanea o pubblicità che possono aver ottenuto, ma in base alla loro influenza reale e permanente.
Guardando la cosa in questa luce, ora possiamo vedere che gli Apostoli erano persone molto più importanti dei diaconi. Ma la domanda è, non come consideriamo gli apostoli ei diaconi, ma come consideravano queste due classi il Sinedrio e gli ebrei di Gerusalemme al tempo di Stefano e Filippo. Non sapevano nulla degli Apostoli in quanto tali. Li conoscevano semplicemente come uomini ignoranti e ignoranti, che erano stati portati una o due volte davanti al Consiglio.
Sapevano di Stefano, e forse anche di Filippo, come colti ebrei greci, alla cui saggezza, eloquenza e potere persuasivo non seppero resistere; e non c'è da meravigliarsi che agli occhi della maggioranza sadducea, che allora governava il senato ebraico, i diaconi fossero particolarmente ricercati e cacciati.
A ciò può aver condotto l'azione degli stessi Apostoli. Qui torniamo a un pensiero che abbiamo già toccato. Siamo inclini a vedere gli Apostoli come se lo Spirito che li guidava distruggesse totalmente la loro personalità umana ei loro sentimenti umani. Siamo inclini a nutrire verso gli Apostoli lo stesso sentimento reverenziale ma fuorviante che i credenti della chiesa primitiva nutrivano verso i profeti, e contro il quale S.
James protestò chiaramente quando disse: "Elijah era un uomo con le stesse passioni con noi stessi". Siamo inclini a pensare a loro come se non ci fosse nulla di debole o umano o sbagliato in loro, e tuttavia c'erano in abbondanza tutte queste qualità nel loro carattere e nel loro comportamento. Gli Apostoli erano più vecchi dei diaconi, ed erano uomini di idee molto più ristrette, di educazione più ristretta. Avevano meno di quella facilità di temperamento, quel potere di adattamento, che l'apprendimento e il viaggio combinati conferiscono sempre.
Potrebbero essere stati anche loro un po' sospettosi del corso precipitoso seguito da Stephen e dai suoi compagni. Le loro menti galileiane non hanno elaborato risultati logici così rapidamente come i loro amici e alleati ellenistici. Erano stati lenti di cuore a credere con il Maestro. Erano lenti di cuore e di mente nell'elaborare principi e nell'afferrare le conclusioni quando insegnati dai Suoi servitori e seguaci. Gli Apostoli, dopo tutto, erano solo uomini, e avevano il loro tesoro in vasi di creta.
La loro ispirazione e la presenza dello Spirito nei loro cuori erano del tutto coerenti con la lentezza intellettuale e con l'incapacità mentale di riconoscere subito le direttive della Divina Provvidenza. Proprio allora era lo stesso che è sempre stato nella storia della Chiesa. La generazione più anziana è sempre alquanto sospettosa nei confronti dei più giovani. È lento ad apprezzare le sue idee, speranze, aspirazioni, ed è forse bene che la generazione più anziana sia sospettosa, perché in tal modo mette in atto un freno che dà tempo alla prudenza, alla previdenza e alla pazienza per entrare in gioco.
Questi possono sembrare motivi molto umani da attribuire agli Apostoli, ma poi perdiamo molto dell'istruzione divina se investiamo gli Apostoli di un'infallibilità superiore anche a quella che i cattolici romani attribuiscono al Papa. Per loro il Papa è infallibile solo quando parla da dottore e maestro universale, posizione che alcuni di loro arrivano ad affermare di non aver mai assunto da quando è stata fondata la Chiesa, sicché secondo loro il Papa non ha mai parlato infallibilmente. Ma presso molti cristiani sinceri gli Apostoli erano infallibili, non solo nell'insegnamento, ma anche nel pensare, nell'agire, nello scrivere sugli argomenti più banali o nel discorrere sugli argomenti più comuni.
II. Rivolgiamo ora la nostra attenzione a Filippo e alla sua opera, e alla sua incidenza sulla storia futura e sullo sviluppo della Chiesa. Qui, prima di andare oltre, può essere bene notare come San Luca abbia acquisito la sua conoscenza degli eventi accaduti a Samaria. Non pretendiamo infatti, come alcuni critici, di indicare tutte le fonti da cui gli scrittori sacri raccolsero le loro informazioni. Chiunque abbia mai tentato di scrivere la storia di qualsiasi tipo deve essere consapevole di quanto spesso sia impossibile per lo scrittore stesso rintracciare le fonti delle sue informazioni dopo un po' di tempo.
Quanto più impossibile allora deve essere per altri rintracciare le fonti originali da cui i sacri o altri scrittori antichi hanno derivato la loro conoscenza, quando sono trascorsi centinaia e persino migliaia di anni. La nostra ignoranza del passato è davvero un terreno molto pericoloso su cui basare il nostro rifiuto di qualsiasi antico documento.
È bene, tuttavia, notare, dove e quando possiamo, le fonti da cui possono essere state ottenute le informazioni, e fortunatamente questo libro degli Atti ci fornisce istruzioni proprio su questo punto. Un quarto di secolo dopo lo stesso Saulo che, senza dubbio, contribuì a far fuggire San Filippo in questa occasione da Gerusalemme, abitò per diversi giorni sotto il suo tetto a Cesarea. Era allora Paolo l'Apostolo delle genti, che portava nella propria persona molti segni e prove della sua devozione alla causa che Filippo aveva proclamato e sostenuto mentre Paolo era ancora persecutore.
La storia dell'incontro ci viene raccontata nel ventunesimo capitolo di questo libro. San Paolo si stava recando a Gerusalemme per fare quella famosa visita che portò al suo arresto e, a lungo andare, alla sua visita a Roma e al processo davanti a Cesare. Stava salendo a Gerusalemme per la strada costiera che portava da Tiro, dove sbarcò, attraverso Cesarea, e di là alla Città Santa. San Luca era con lui e, giunti a Cesarea, entrarono nella casa dell'evangelista Filippo, presso il quale rimasero diversi giorni.
Quali sacre conversazioni deve aver ascoltato san Luca! Come questi due santi, Paolo e Filippo, avrebbero ripercorso i giorni e le scene lontane e passate! Come avrebbero confrontato le esperienze e scambiato idee; e fu lì che san Luca deve aver avuto abbondanti opportunità di apprendere la storia dell'ascesa del cristianesimo in Samaria che qui ci mostra.
Vediamo ora un po' più da vicino le circostanze del caso. Il luogo dove predicò Filippo ha sollevato una domanda. Alcuni hanno sostenuto che fosse la stessa Samaria, la capitale, che Filippo visitò ed evangelizzò. Altri hanno pensato che fosse una città, - una città indefinita del distretto di Samaria, probabilmente Sichar, la città dove nostro Signore aveva ammaestrato la Samaritana. Alcuni hanno sostenuto un punto di vista, altri l'altro, ma la versione riveduta sembrerebbe propendere per l'idea che fosse la capitale che St.
Filippo ha visitato in questa occasione, e non quella città che nostro Signore stesso ha evangelizzato. Ad alcuni può sembrare un'ulteriore difficoltà nel modo di accettare Sichar come la scena del ministero di San Filippo, che l'opera e l'insegnamento di nostro Signore circa cinque anni prima, in quel caso, sembrerebbero completamente svaniti. Filippo scende e predica Cristo a una città che non lo conosceva. Come, qualcuno potrebbe pensare, potrebbe essere stato vero, e come avrebbe potuto un impostore come Simone aver portato tutto il popolo in cattività, se Cristo stesso avesse predicato lì solo pochi anni prima e avesse convertito la massa del popolo alla fede in Lui stesso? Ora io sostengo che fu Samaria, la capitale, e non Sichar, distante alcune miglia, che Filippo evangelizzò, ma non sono costretto ad accettare questo punto di vista da alcuna considerazione su Cristo' proprio ministero e i suoi risultati. Nostro Signore avrebbe potuto insegnare nella stessa città in cui insegnava Filippo, e nel corso di cinque anni l'effetto del suo ministero personale sarebbe potuto svanire del tutto.
Non c'è lezione più chiaramente rafforzata dalla storia del Vangelo di questa: il ministero personale di Cristo fu relativamente infruttuoso. Insegnò alla Samaritana, infatti, e la gente della città si convertì, come si diceva, non tanto per la sua testimonianza quanto per il potere delle stesse parole e dell'influenza di Cristo. Ma allora lo Spirito Santo non era ancora dato, la Chiesa non era ancora fondata, la società divina che Cristo, come Salvatore risorto, doveva stabilire, non era ancora nata; e quindi il lavoro come quello fatto a Samaria era una cosa passeggera, che passava come la nuvola mattutina o la rugiada mattutina, e non lasciava traccia.
Cristo non è venuto per insegnare agli uomini una dottrina divina, quanto per stabilire una società divina, e, finché questa società non è stata costituita, l'opera svolta anche da Cristo stesso era cosa fugace ed evanescente. La fondazione della Chiesa come società era assolutamente necessaria per preservare la dottrina e l'insegnamento di Cristo. L'articolo del credo, "Credo nella Santa Chiesa Cattolica", è stato trascurato, disprezzato e sottovalutato dai protestanti.
Ho sentito anche di esponenti dichiarati del Credo degli Apostoli che, quando sono giunti a questo articolo, l'hanno tralasciato con un preavviso affrettato perché non si adattava ai loro ristretti sistemi. Eppure anche qui la suprema sapienza del piano divino è stata ampiamente confermata, e l'esperienza del Nuovo Testamento ha mostrato che se non ci fosse stata una Chiesa istituita da Cristo, e stabilita con Lui stesso come fondamento, roccia e capolinea -pietra, la sana dottrina e l'insegnamento soprannaturale di Cristo sarebbero presto svaniti.
Mi vengono qui infatti in mente le parole e l'esperienza di uno dei più grandi evangelisti vissuti fin dai tempi apostolici. John Wesley, quando si occupa di un argomento affine, scrisse a uno dei suoi primi predicatori sull'importanza di stabilire società metodiste ovunque i predicatori metodisti trovassero accesso, e procede a sollecitare la necessità di farlo esattamente per gli stessi motivi su cui spiegare il fallimento del ministero personale di nostro Signore, almeno per quanto riguarda i risultati attuali.
Wesley dice al suo corrispondente che ovunque sia stato impartito il solo insegnamento metodista e non siano state fondate anche società metodiste, il lavoro è stato un completo fallimento ed è svanito.
Così è stato con il Maestro, Cristo Gesù. Ha conferito la sua istruzione divina e impartito la sua dottrina divina, ma poiché il tempo per l'effusione dello Spirito e la fondazione della Chiesa non era ancora giunto, il risultato totale del lavoro personale e delle fatiche del Dio incarnato era semplicemente cento e venti, o al massimo cinquecento anime. Non costituisce, quindi, a nostro avviso alcuna difficoltà nel modo di considerare Sichar come la scena dell'insegnamento di Filippo, che Cristo stesso possa aver lavorato lì alcuni anni prima, e tuttavia che non ci fosse traccia delle sue fatiche quando S. .
Filippo è arrivato. Il Maestro stesso avrebbe potuto insegnare in una città, e tuttavia la predicazione dei suoi discepoli alcuni anni dopo sarebbe stata molto necessaria, perché lo Spirito non era ancora stato dato. Il chiaro significato, però, delle parole degli Atti è che fu alla città di Samaria, la capitale, che Filippo si recò: ed è molto probabile che nella capitale sarebbe ricorso un personaggio come Simone, e non a qualsiasi città più piccola, offrendogli il più grande campo per l'esercizio dei suoi peculiari talenti, così come in seguito troveremo, nel corso della sua storia, che ricorse alla capitale del mondo, la stessa Roma, come la scena più efficace per i suoi scopi.
III. S. Filippo, dunque, scese in Samaria e lì predicò Cristo, e in Samaria incontrò i primi di quegli astuti avversari con i quali il Vangelo abbia mai dovuto lottare, uomini che non si opposero direttamente alla verità, ma che corrompevano la sua pura moralità e la sua fede semplice da una mescolanza umana, che ha trasformato le sue dottrine salutari in un veleno mortale. Filippo venne in Samaria e lì trovò i Samaritani trascinati dall'insegnamento e dalle azioni di Simone.
La predicazione del puro vangelo di Gesù Cristo, e l'esercizio del vero potere miracoloso, convertirono i Samaritani, e furono sufficienti per operare la convinzione intellettuale anche nel caso del Mago. Tutti i Samaritani, Simone compreso, credettero e furono battezzati. Questa è l'introduzione sulla scena della storia di Simone Mago, che i primi scrittori della Chiesa, come Egesippo, il padre della storia della Chiesa, che nacque all'epoca di S.
Giovanni, e fiorì verso la metà del secondo secolo, e il suo contemporaneo Giustino Martire, descrivono come il primo di quegli eretici gnostici che fecero così tanto nel secondo e nel terzo secolo per corrompere il Vangelo sia nella fede che nella pratica. Gli scritti del secondo e terzo secolo sono pieni dei successi e delle cattive azioni di quest'uomo Simone, che in effetti sono raccontati da alcuni scrittori con così tanti dettagli da formare un romanzo molto considerevole.
Qui, dunque, troviamo un elemento corroborante della prima datazione della composizione degli Atti degli Apostoli. Se gli Atti fossero stati scritti nel II secolo, ci avrebbe dato qualche traccia della tradizione del II secolo su Simone Mago; ma essendo stato scritto in un periodo molto precoce, al termine della prima prigionia di San Paolo, ci dà semplicemente l'affermazione su Simone Mago come San Paolo.
Luca e san Paolo l'avevano udito dalla bocca di Filippo evangelista. San Luca non ci dice altro, semplicemente perché non aveva più nulla da raccontare su questo prima ai celebri eretici. Quando arriviamo al secondo secolo, la storia di Simone è raccontata con molto più abbellimento. Le linee principali sono, tuttavia, senza dubbio corrette. Tutti gli scrittori cristiani concordano nell'esporre che dopo il rimprovero che, come vedremo, Simon Pietro apostolo fece al mago, egli divenne un risoluto oppositore degli Apostoli, specialmente di S.
Pietro, la cui opera si sforzò di contrastare e sconfiggere ovunque. Con questo fine in vista andò a Roma, come dice Giustino Martire, al tempo di Claudio Cesare, e come dicono altri scrittori, al tempo di Nerone.
Lì ha ingannato con successo la gente per qualche tempo. Abbiamo le prime notizie del suo successo nella città imperiale. Giustino Martire è uno scrittore che si avvicinò all'età apostolica. Scrisse un'Apologia per i cristiani, che possiamo tranquillamente attribuire a un anno intorno al 150 d.C. A quel tempo era un uomo di mezza età, i cui contemporanei più anziani dovevano conoscere bene la storia e le tradizioni del secolo precedente.
In quella prima Apologia Giustino ci fornisce molti particolari sul Cristianesimo e sulla Chiesa primitiva, e ci dice, riguardo a Simone Mago, che il suo insegnamento a Roma ebbe un tale successo nel sviare il popolo romano che eressero una statua in suo onore, tra il due ponti. È un fatto curioso, e anche uno che conferma l'esattezza di Giustino, che nell'anno 1574 fu dissotterrata proprio nel punto indicato da Giustino, l'isola nel Tevere, una statua recante l'iscrizione descritta da Giustino, "Semoni Sanco Deo Fidio.
I critici, infatti, sono ormai abbastanza generalmente d'accordo sul fatto che questa statua fosse quella vista da Giustino, ma che originariamente fosse stata eretta in onore di una divinità sabina, e non dell'arcieretico come supponeva l'Apologeta; sebbene ci siano alcuni che pensare che l'appello di Giustino a una statua posta davanti agli occhi degli uomini, e di cui molti a Roma devono aver saputo tutti i fatti, non potesse essere fatta su tali errate ragioni.
Non è del tutto sicuro costruire teorie o offrire spiegazioni basate sulla nostra ignoranza e opposte alle affermazioni chiare e distinte di uno scrittore come Giustino, contemporaneo degli eventi di cui parla. Sembra infatti una spiegazione plausibile affermare che Giustino Martire abbia scambiato il nome di una divinità sabina per quello di un eretico orientale. Ma potrebbero esserci due statue e due iscrizioni sull'isola, una all'eretico, un'altra all'antico dio sabino.
Scrittori successivi del secondo e terzo secolo migliorarono la storia di Giustino e entrarono in grandi dettagli delle lotte tra Simone e i due apostoli, san Pietro e san Paolo, che terminarono con la morte del mago quando tentò di volare in cielo alla presenza dell'imperatore Nerone. La sua morte, tuttavia, non pose fine alla sua influenza. Il male che fece e insegnò visse molto tempo dopo.
I suoi seguaci continuarono il suo insegnamento e si dimostrarono oppositori attivi della verità, seducendo molti proseliti con l'apparente profondità e sottigliezza delle loro opinioni. Tale è la storia di Simon Magus così come viene raccontata nella storia della Chiesa, ma ora ci occupiamo semplicemente delle affermazioni presentate nel passaggio davanti a noi. Lì Simone appare come un maestro che condusse prigionieri i Samaritani con la sua stregoneria, che usò come base della sua pretesa di essere riconosciuto come "quella potenza di Dio che è chiamata Grande.
"La magia e la stregoneria hanno sempre più o meno prevalso, e prevalgono tuttora, nel mondo orientale, e sono sempre state usate in opposizione al vangelo di Cristo, così come le stesse pratiche, sotto il nome di spiritismo, si sono mostrate ostili al cristianesimo in Europa occidentale e in America.I racconti dei viaggiatori moderni in India e in Oriente, rispetto alle meravigliose esibizioni dei giocolieri indiani, ci ricordano fortemente le gesta di Jannes e Jambres che resistettero a Mosè e illustrano la stregoneria che Simon Magus usò per l'inganno dei Samaritani.
Gli ebrei, infatti, erano ovunque celebrati in questo periodo per la loro abilità negli incantesimi magici-a. fatto ben noto, di cui troviamo evidenza corroborante negli Atti. Bar-Jesus, lo stregone che si sforzò di distogliere dalla fede il proconsole di Cipro, era ebreo. Atti degli Apostoli 13:6 Nel capitolo diciannovesimo troviamo i sette figli di Sceva, il sacerdote ebreo, che esercitano lo stesso mestiere di stregoneria; mentre, come è ben noto dai riferimenti negli scrittori classici, gli ebrei a Roma erano famosi per le stesse pratiche.
Queste affermazioni di scrittori sacri e profani sono state confermate nell'età presente. Negli ultimi dodici o quindici anni c'è stata una meravigliosa scoperta di antichi documenti in Egitto, che sono stati acquistati dal governo austriaco e debitamente trasferiti a Vienna, dove sono stati indagati. Di solito sono chiamati Manoscritti Fayum. Contengono alcuni dei documenti più antichi oggi esistenti, e abbracciano tra loro grandi quantità di scritti magici, con le formule ebraiche usate dagli stregoni ebrei quando operavano i loro pretesi miracoli. Così meravigliosamente la scoperta moderna conferma le affermazioni e i dettagli del Nuovo Testamento!
Non è necessario ora discutere la questione se le conquiste della stregoneria e della magia, antiche o moderne, abbiano una qualche realtà su di esse, o siano un mero sviluppo intelligente di giochi di prestigio, anche se siamo inclini alla visione che ammette una certa quantità della realtà sui prodigi compiuti, altrimenti come possiamo spiegare le azioni dei maghi egiziani, le denunce di stregoneria e stregoneria contenute nella Bibbia, così come in molte dichiarazioni nel Nuovo Testamento? Un'epoca di materialismo secco e freddo, senza vita, fuoco ed entusiasmo, come il secolo scorso, era incline a spiegare tali affermazioni delle Scritture.
Ma ora l'uomo ha imparato a diffidare di più di se stesso e della portata delle sue scoperte. Sappiamo così poco del mondo degli spiriti, e abbiamo visto di recente manifestazioni psicologiche così strane in connessione con l'ipnotismo, che il saggio terrà il suo giudizio in sospeso, e non concluderà frettolosamente, con gli uomini del diciottesimo secolo, che il possesso con diavoli era solo un altro nome per la follia, e che le gesta degli stregoni erano manifestazioni di mera abilità e sottigliezza umane non assistite.
Come è stato con gli ebrei, così è stato con i samaritani. Erano infatti amaramente separati l'uno dall'altro, ma le loro speranze, idee e fede erano fondamentalmente simili. I rapporti tra i samaritani e gli ebrei erano all'epoca in cui trattiamo molto come quelli che esistono tra protestanti e cattolici romani nell'Ulster, professando diverse forme della stessa fede, ma guardandosi l'un l'altro con sentimenti più amari che se molto più ampiamente separati.
Così fu per gli ebrei ei samaritani; ma l'ostilità esistente non mutò la natura e le sue tendenze essenziali, e quindi come i Giudei praticavano la stregoneria, così fece Simone, che era nativo di Samaria; e con la sua stregoneria servì all'attesa messianica che fiorì tra i Samaritani allo stesso modo che tra i Giudei. La donna samaritana lo ha testimoniato nella sua conversazione con nostro Signore, e poiché era una donna di bassa posizione e di carattere peccaminoso, il suo linguaggio dimostra che le sue idee dovevano avere un'ampia diffusione tra il popolo samaritano.
"La donna gli dice: So che viene il Messia, che è chiamato Cristo: quando verrà, ci annuncerà tutte le cose". Simone ha approfittato di questa attesa, e si è dato per essere "quella potenza di Dio che si chiama Grande"; testimoniando con la sua affermazione il desiderio che esisteva in tutto il mondo ebraico per l'apparizione del tanto atteso liberatore, un desiderio che ritroviamo manifestarsi nei molti pretendenti politici sorti nelle regioni del giudaismo più ortodosso, come Giuseppe Flavio mostra ampiamente.
Il mondo, infatti, e specialmente il mondo che era stato colpito dalle idee e dal pensiero ebraici, bramava un insegnamento più profondo e una vita spirituale più profonda di quanto non avesse ancora conosciuto. Aveva sete di Dio, sì, anche del Dio vivente; e quando non poté trovare di meglio, si voltò e si sforzò di placare i desideri dell'anima alle fonti impure che la magia e la stregoneria fornivano.
IV. Filippo l'evangelista venne con il suo insegnamento in una società che riconosceva Simone come sua guida, e i suoi miracoli colpirono subito le menti degli spettatori. Erano miracoli operati, come quelli del Maestro, senza alcuna preparazione segreta, senza l'incenso, gli incantesimi, le formule mormorate che accompagnavano le menzognere meraviglie del mago.
Formavano un contrasto anche in un'altra direzione, -non si chiedeva denaro, non si servivano fini personali o scopi bassi; era manifesto il completo disinteresse dell'evangelista. Anche allora l'insegnamento che accompagnava i miracoli era la loro migliore testimonianza. Era un insegnamento di giustizia, di vita santa, di carità, di umiltà; era chiaramente fuori dal mondo. Era. non come quello di Simone, che dava a lui stesso di essere un grande e trattava solo di se stesso; ma si trattava del "regno di Dio e del nome di Gesù Cristo"; e l'insegnamento ed i miracoli, testimoniandosi l'uno all'altro, entravano nel cuore della gente, conducendoli prigionieri ai piedi della Croce.
È stata spesso una questione dibattuta se i miracoli da soli siano una prova sufficiente della verità di una dottrina, o se la dottrina debba essere confrontata con i miracoli per vedere se il suo carattere è degno della Divinità. L'insegnamento del Nuovo Testamento sembra essere chiaramente questo, che i miracoli, di per sé, non sono una prova sufficiente. Nostro Signore avverte i suoi discepoli che un giorno verranno degli ingannatori operando potenti segni e prodigi, in modo da sviare, se possibile, anche gli stessi eletti; ed esorta i suoi discepoli a stare in guardia contro di loro.
Ma mentre i miracoli da soli non sono una prova sufficiente della verità di una dottrina, sono stati un aiuto molto necessario alle dottrine del Vangelo nell'epoca e nel paese in cui e dove il cristianesimo ha preso la sua origine. Se la stregoneria, la magia e i prodigi di Simone e gli altri falsi maestri contro i quali gli Apostoli dovettero contendere fossero veri o falsi, genuini o semplici trucchi, avrebbero comunque dato ai falsi maestri un grande vantaggio sui predicatori del vangelo. , se questi ultimi non fossero stati armati di un vero potere soprannaturale divino che consentisse loro, secondo l'occasione, di gettare completamente nell'ombra le rappresentazioni magiche.
Le operazioni miracolose degli Apostoli sembrano essere state ristrette nello stesso modo in cui Cristo ha limitato l'azione del suo potere soprannaturale. Gli Apostoli non hanno mai operato miracoli per il sollievo di se stessi o dei loro amici e collaboratori. San Paolo fu detenuto per infermità della carne in Galazia, e quell'infermità lo portò a predicare il Vangelo ai Celti della Galazia. Non poteva, forse non poteva, impiegare il suo.
potere miracoloso per guarire se stesso, proprio come nostro Signore si rifiutò di usare il Suo potere miracoloso per trasformare le pietre in pane. San Paolo dipendeva dall'abilità umana e dall'amore per la sua cura, usando probabilmente a tale scopo le conoscenze mediche e. assistenza di San Luca, che ritroviamo poco dopo in sua compagnia. Un potere miracoloso fu conferito ai primi insegnanti cristiani, non per ostentazione o per gratificazione egoistica, ma semplicemente per amore del regno di Dio e della salvezza dell'uomo.
E come fu con san Paolo così fu con i suoi compagni. Timoteo fu esortato a ricorrere ai rimedi umani per curare la sua debolezza fisica, mentre quando un altro uomo apostolico, Trofimo, si ammalò, rimase indietro. dall'Apostolo a Mileto finché non guarisca. 2 Timoteo 4:20 miracoli erano per i non credenti, non per i credenti, ea questo scopo non possiamo vedere come avrebbero potuto essere fatti senza, nelle circostanze in cui il Vangelo è stato lanciato nel mondo.
La natura dell'uomo era stata così completamente corrotta, l'intera atmosfera morale era stata così permeata di malvagità, l'intero tono morale della società era stato così terribilmente abbassato, che gli Apostoli avrebbero potuto predicare la moralità più pura, la saggezza più divina, e sarebbe sono caduti su orecchie così sorde, e occhi così ciechi, e cuori così bruciati e induriti, che non avrebbe avuto alcun effetto se non avessero posseduto un potere miracoloso che, secondo l'occasione, servì a richiamare l'attenzione sul loro insegnamento.
Ma quando le barriere preliminari furono abbattute e i miracoli ebbero adempiuto il loro scopo, allora la predicazione del regno di Dio e il nome di Gesù Cristo fecero la loro opera. Anche qui si fa avanti un pensiero di cui abbiamo già detto un po'. L'argomento della predicazione di Filippo è descritto nel quinto versetto come Cristo, "Filippo scese nella città di Samaria e annunciò loro il Cristo", e poi nel dodicesimo versetto si espande per noi nel "regno di Dio". e il nome di Gesù Cristo.
Questi due argomenti sono uniti. Il regno di Dio e il nome di Gesù Cristo. Gli Apostoli non insegnavano una forma diluita di cristianesimo. Predicavano il nome di Gesù Cristo e insegnavano anche una società divina che Egli aveva stabilito e che doveva essere il mezzo per completare l'opera di Cristo nel mondo. Nostro Signore Gesù Cristo e i suoi Apostoli riconobbero la grande verità, che una semplice predicazione di una dottrina filosofica o religiosa sarebbe stata di ben poca utilità per riformare il mondo. una Chiesa che dovrebbe essere la colonna e il fondamento della verità, che dovrebbe raccogliere, salvaguardare e insegnare la verità i cui principi sono stati esposti dagli Apostoli.
Per dirla in parole povere, l'evangelista san Filippo deve aver insegnato la dottrina di una Chiesa di Gesù Cristo così come di una dottrina di Gesù Cristo. Se la dottrina di Gesù Cristo fosse stata insegnata senza e separata dalla dottrina di una Chiesa, la dottrina della persona e del carattere di Cristo sarebbe svanita, proprio come svanì la dottrina di Platone o Aristotele o quella di uno qualsiasi dei grandi maestri antichi.
Ma Gesù Cristo era venuto nel mondo per stabilire una società divina, con gradi, gradazioni e disposizioni ordinate; Era venuto per stabilire un regno, e tutti allora sapevano cosa significasse un regno. Per la mente greca, romana o ebraica, un regno significava anche più di quanto non significhi per noi. Significava nelle loro concezioni un dispotismo in cui il re ordinava e faceva proprio quello che voleva. I romani, infatti, aborrivano il nome re, e inventarono invece il termine imperatore, perché per loro la parola re connotava ciò che per noi non connota, il possesso e l'esercizio del potere assoluto.
Eppure, per tutto questo, gli Apostoli predicavano Cristo come Re e la sua società come regno, perché in quella nuova società che Egli aveva chiamato all'esistenza, le grazie, i doni, gli uffici della società sono totalmente dipendenti e interamente sottomessi. solo a Gesù Cristo.
Come sarebbe stata meravigliosamente cambiata la vita, l'attività, il fervore e la potenza della Chiesa se questa verità fosse stata sempre riconosciuta. La Chiesa di Gesù Cristo, per quanto riguarda la sua vita segreta nascosta, è un dispotismo. Dipende solo da Cristo. Non dipende dallo Stato, non dall'uomo, non dalla ricchezza o dalla posizione o da influenze terrene di alcun genere: dipende solo da Cristo. La Chiesa ha spesso dimenticato questo segreto della sua forza.
Ha confidato nel braccio della carne e si è affidato al patrocinio e al potere umani, e poi è cresciuto, forse, in grandezza e importanza per quanto riguarda il mondo; ma, come è cresciuto in una direzione, ha perso nell'altra, e questa è l'unica direzione che merita l'attenzione di una Chiesa. La tentazione di affidarsi solo all'aiuto del mondo ha assalito la Chiesa in vari modi. Assalta i singoli cristiani, assale le congregazioni, assale la Chiesa in generale.
Tutti loro, siano essi individui, congregazioni o chiese, sono portati a immaginare che potere e prosperità consistano nella ricchezza, o nella posizione mondana, o nel numero degli aderenti, dimenticando che solo Cristo è la fonte del potere alla Chiesa o alle singole anime , e che dove Egli manca, non importa quale possa essere l'apparenza esteriore, o l'aumento numerico, o l'influenza politica, là davvero tutta la vera vita è scomparsa.
V. I risultati dell'insegnamento e dell'opera di Filippo in Samaria furono triplici.
(1) I Samaritani credettero a Filippo, e tra i credenti c'era Simone. Ci sono alcune persone che insegnano la fede e nient'altro, e immaginano che se portano gli uomini a esercitare la fede allora l'intera opera del cristianesimo è compiuta. Questo incidente all'inizio della storia della Chiesa fornisce un avvertimento contro un tale insegnamento unilaterale. I Samaritani credettero, e così anche Simone il Mago, che a lungo li aveva ingannati.
La stessa parola è usata qui per la fede esercitata dai Samaritani e da Simone, come troviamo usata per descrivere la fede dei tremila nel giorno di Pentecoste, o del carceriere filippino che accettò l'insegnamento di san Paolo in mezzo a tutti i terrore. del terremoto e del carcere aperto. Erano tutti intellettualmente convinti e tutti avevano accettato la fede cristiana come una grande realtà. La fede intellettuale in Cristo è la base su cui si fonda una vera fede viva che opera mediante l'amore.
Una fede del cuore che non si basa su una fede della testa è molto simile a una superstizione. Certo sappiamo che ci sono persone la cui fede è radicata e feconda che non può affermare il fondamento del proprio credo, ma sono ben consapevoli che così possono affermarlo anche altri, che la loro fede può essere espressa a parole e difesa in discussione. La fede intellettuale nel cristianesimo deve sempre essere considerata come un dono dello Spirito Santo, secondo quella profonda parola dell'Apostolo: "Nessuno può dire, Gesù è il Signore, ma nello Spirito Santo.
Ma la fede intellettuale nella verità e nella realtà della missione di Cristo può esistere in un cuore dove non c'è senso del peccato e del bisogno spirituale, e allora la fede in Cristo non serve a nulla. C'erano brame di giustizia e pace nei seni dei samaritani, ma non c'era nessuno in un solo cuore, almeno, e quel cuore era quindi non benedetto.I risultati dell'opera di san Filippo ci insegnano che la fede non è tutto nella vita cristiana.
(2) Di nuovo, troviamo che un altro risultato fu che i Samaritani furono tutti battezzati, incluso il loro arci-ingannatore Simone. Filippo, quindi, nel corso della sua predicazione di Cristo, deve aver parlato loro della legge del battesimo di Cristo. La predicazione del nome di Gesù Cristo e del regno di Dio deve aver incluso una debita esposizione delle Sue leggi e ordinanze. Non onoriamo Cristo quando trascuriamo qualsiasi parte della Sua rivelazione.
Se Dio ha rivelato qualche dottrina o pratica o sacramento, deve essere della massima importanza. Il semplice fatto della sua rivelazione da parte di Lui lo rende importante, non importa quanto noi, nella nostra saggezza miope, possiamo pensare diversamente. Filippo espose dunque tutto il consiglio di Dio, e di conseguenza furono battezzati tutti i Samaritani, compreso Simone; ma poi di nuovo, come il caso di Simone insegnava che la fede di per sé non serviva a cambiare il cuore, così la disinvoltura di Simone insegna che il battesimo, né da solo né in congiunzione con la fede intellettuale, serve a convertire l'anima ea purificare il carattere.
Dio offre le sue grazie e le sue benedizioni, la fede e il battesimo, ma a meno che non ci sia ricettività, a meno che non ci sia il consenso della volontà, e una sete dell'anima e un desiderio del cuore per le cose spirituali, le grazie e i doni dello Spirito essere offerto invano.
(3) E poi, infine, il risultato finale e duraturo dell'opera di Filippo fu che ci fu grande gioia in quella città. Gioirono perché le loro anime avevano trovato la verità, che sola può soddisfare le voglie del cuore umano e impartire una gioia che non lascia alcun segno, ma è una gioia pura e inesauribile. Le gioie della terra sono sempre miste, e quanto più miste tanto più insoddisfacenti.
La gioia di un'anima cristiana che conosce Cristo e la sua preziosità, che è stata liberata da Cristo dall'inganno, dall'impurità e dal vizio, come avevano questi Samaritani, e che sente e gode della nuova luce gettata sulla vita dalle rivelazioni di Cristo, quella gioia è un superando, incantando l'anima, soddisfacendo l'intelletto, purificando la vita. C'era grande gioia in quella città, e non c'è da meravigliarsi, perché come ha ben cantato il poeta, contrapponendo la "festa sgargiante del mondo" con le sacre consolazioni di Dio elargite alle anime sante, -
"Chi, se non un cristiano, per tutta la vita che la benedizione può prolungare? Chi, durante il triste giorno di lotta del mondo, canta ancora il suo canto mattutino?"
"Tale è il tuo banchetto, carissimo Signore; o dacci la grazia di gettare la nostra sorte con la tua per confidare nella tua parola e mantenere il nostro meglio fino all'ultimo".