Genesi 37:1-36

1 Or Giacobbe dimorò nel paese dove suo padre avea soggiornato, nel paese di Canaan.

2 E questa è la posterità di Giacobbe. Giuseppe, all'età di diciassette anni, pasceva il gregge coi suoi fratelli; e, giovinetto com'era, stava coi figliuoli di Bilha e coi figliuoli di Zilpa, mogli di suo padre. E Giuseppe riferì al loro padre la mala fama che circolava sul loro conto.

3 Or Israele amava Giuseppe più di tutti gli altri suoi figliuoli, perché era il figlio della sua vecchiaia; e gli fece una veste lunga con le maniche.

4 E i suoi fratelli, vedendo che il loro padre l'amava più di tutti gli altri fratelli, l'odiavano, e non gli potevan parlare amichevolmente.

5 Or Giuseppe ebbe un sogno, e lo raccontò ai suoi fratelli; e questi l'odiaron più che mai.

6 Egli disse loro: "Udite, vi prego, il sogno che ho fatto.

7 Noi stavamo legando de' covoni in mezzo ai campi, quand'ecco che il mio covone si levò su e si tenne ritto; ed ecco i covoni vostri farsi d'intorno al mio covone, e inchinarglisi dinanzi".

8 Allora i suoi fratelli gli dissero: "Dovrai tu dunque regnare su noi? o dominarci?" E l'odiarono più che mai a motivo de' suoi sogni e delle sue parole.

9 Egli ebbe ancora un altro sogno, e lo raccontò ai suoi fratelli, dicendo: "Ho avuto un altro sogno! Ed ecco che il sole, la luna e undici stelle mi s'inchinavano dinanzi".

10 Ei lo raccontò a suo padre e ai suoi fratelli; e suo padre lo sgridò, e gli disse: "Che significa questo sogno che hai avuto? Dovremo dunque io e tua madre e i tuoi fratelli venir proprio a inchinarci davanti a te fino a terra?"

11 E i suoi fratelli gli portavano invidia, ma suo padre serbava dentro di sé queste parole.

12 Or i fratelli di Giuseppe erano andati a pascere il gregge del padre a Sichem.

13 E Israele disse a Giuseppe: "I tuoi fratelli non sono forse alla pastura a Sichem? Vieni, che ti manderò da loro". Ed egli rispose: "Eccomi".

14 Israele gli disse: "Va' a vedere se i tuoi fratelli stanno bene, e se tutto va bene col gregge; e torna a dirmelo". Così lo mandò dalla valle di Hebron, e Giuseppe arrivò a Sichem.

15 E un uomo lo trovò che andava errando per i campi e quest'uomo lo interrogò dicendo: "Che cerchi?"

16 Egli rispose: "Cerco i miei fratelli; deh, dimmi dove siano a pascere il gregge".

17 E quell'uomo gli disse: "Son partiti di qui, perché li ho uditi che dicevano: Andiamocene a Dotan". Giuseppe andò quindi in traccia de' suoi fratelli, e li trovò a Dotan.

18 Essi lo scorsero da lontano; e prima ch'egli fosse loro vicino, macchinarono d'ucciderlo.

19 E dissero l'uno all'altro: "Ecco cotesto sognatore che viene!

20 Ora dunque venite, uccidiamolo, e gettiamolo in una di queste cisterne; diremo poi che una mala bestia l'ha divorato, e vedremo che ne sarà de' suoi sogni".

21 Ruben udì questo, e lo liberò dalle loro mani. Disse: "Non gli togliamo la vita".

22 Poi Ruben aggiunse: "Non spargete sangue; gettatelo in quella cisterna ch'è nel deserto, ma non lo olpisca la vostra mano". Diceva così, per liberarlo dalle loro mani e restituirlo a suo padre.

23 Quando Giuseppe fu giunto presso i suoi fratelli, lo spogliarono della sua veste, della veste lunga con le maniche che aveva addosso;

24 lo presero e lo gettarono nella cisterna. Or la cisterna era vuota; non c'era punt'acqua.

25 Poi si misero a sedere per prender cibo; e avendo alzati gli occhi, ecco che videro una carovana d'Ismaeliti, che veniva da Galaad, coi suoi cammelli carichi di aromi, di balsamo e di mirra, che portava in Egitto.

26 E Giuda disse ai suoi fratelli: "Che guadagneremo a uccidere il nostro fratello e a nascondere il suo sangue?

27 Venite, vendiamolo agl'Ismaeliti, e non lo colpisca la nostra mano, poiché è nostro fratello, nostra carne". E i suoi fratelli gli diedero ascolto.

28 E come que' mercanti Madianiti passavano, essi trassero e fecero salire Giuseppe su dalla cisterna, e lo vendettero per venti sicli d'argento a quegl'Ismaeliti. E questi menarono Giuseppe in Egitto.

29 Or Ruben tornò alla cisterna; ed ecco, Giuseppe non era più nella cisterna. Allora egli si stracciò le vesti,

30 tornò dai suoi fratelli, e disse: "Il fanciullo non c'è più; e io, dove andrò io?"

31 Essi presero la veste di Giuseppe, scannarono un becco, e intrisero del sangue la veste.

32 Poi mandarono uno a portare al padre loro la veste lunga con le maniche, e gli fecero dire: "Abbiam trovato questa veste; vedi tu se sia quella del tuo figliuolo, o no".

33 Ed egli la riconobbe e disse: "E' la veste del mio figliuolo; una mala bestia l'ha divorato; per certo, Giuseppe è stato sbranato".

34 E Giacobbe si stracciò le vesti, si mise un cilicio sui fianchi, e fece cordoglio del suo figliuolo per molti giorni.

35 E tutti i suoi figliuoli e tutte le sue figliuole vennero a consolarlo; ma egli rifiutò d'esser consolato, e disse: "Io scenderò, facendo cordoglio, dal mio figliuolo, nel soggiorno de' morti". E suo padre lo pianse.

36 E que' Madianiti lo vendettero in Egitto a Potifar, ufficiale di Faraone, capitano delle guardie.

I SOGNI DI GIUSEPPE

Genesi 37:1

"Sicuramente l'ira dell'uomo ti loderà." - Salmi 76:10

LA migrazione di Israele da Canaan all'Egitto fu un passo di primaria importanza nella storia. Grandi difficoltà lo circondarono e per realizzarlo furono usati mezzi straordinari.

Le fasi preparatorie hanno occupato circa vent'anni, ea questo periodo è dedicato quasi un quarto del Libro della Genesi. Questa migrazione è stata un'idea nuova. Era così poco il risultato di una mancanza accidentale, o di una qualsiasi di quelle calamità impreviste che fanno emigrare le famiglie dal nostro paese, che Dio aveva preavvisato lo stesso Abramo che doveva essere. Ma solo quando diventò materia di esperienza concreta e di storia, Dio fece conoscere l'obiettivo preciso che essa doveva compiere.

Questo lo fa conoscere a Giacobbe mentre passa da Canaan; e mentre, nell'abbandonare la terra conquistata così dolorosamente, il suo cuore sprofonda, è sostenuto dalla certezza: "Non temere di scendere in Egitto; là ti farò diventare una grande nazione".

Il significato del passo, e l'adeguatezza del tempo e del luogo in cui Israele migrò, sono evidenti. Da più di duecento anni Abramo e i suoi discendenti vagavano come pellegrini, e ancora non c'erano segni che la promessa di Dio fosse loro mantenuta. Quella promessa era stata di una terra e di un seme. Grande fecondità era stata promessa alla razza; ma invece c'era stata una notevole e sconcertante aridità, tanto che dopo due secoli una tenda poteva contenere l'intera popolazione maschile.

Al tempo di Giacobbe la popolazione cominciò ad aumentare, ma proprio nella misura in cui questa parte della promessa mostrava segni di compimento l'altra parte appariva precaria. Poiché, in proporzione al loro aumento, la famiglia divenne ostile ai Cananei, e come avrebbero mai potuto superare quel punto critico della loro storia in cui sarebbero stati abbastanza forti da suscitare il sospetto, la gelosia e l'odio delle tribù indigene, e tuttavia non abbastanza forti per difendersi da questa inimicizia? La loro presenza è stata tollerata, così come i nostri connazionali hanno tollerato la presenza dei profughi francesi, per la loro impotenza a fare del male.

Erano posti in una posizione del tutto anomala; una sola famiglia che era rimasta per duecento anni in una terra che potevano solo sembrare per scherzo chiamare loro, abitando come ospiti in mezzo agli indigeni, mantenendo forme peculiari di culto e costumi. Lo scontro con gli abitanti sembrò inevitabile non appena trapelò il loro vero carattere e le loro pretese, e non appena sembrò del tutto probabile che si proponessero davvero di diventare proprietari e padroni della terra.

E, in caso di tale collisione, quale potrebbe essere il risultato, se non quello che è mai seguito dove una ventina di uomini, abbastanza coraggiosi da essere abbattuti dove si trovavano, sono stati esposti a una massa dopo l'altra di barbari feroci e assetati di sangue? Un piccolo numero di uomini ha spesso fatto il suo ingresso in terre dove gli abitanti erano molto più numerosi di loro, ma queste sono state comunemente truppe altamente disciplinate, come nel caso del pugno di Spagnuoli che si impadronì del Messico e del Perù; o sono stati sostenuti da un potere che potrebbe aiutare con vaste risorse, come quando i Romani hanno tenuto questo paese, o quando il ragazzo inglese in India ha lasciato la penna sulla sua scrivania e ha guidato i suoi pochi connazionali risoluti, e ha tenuto testa a innumerevoli milioni .

Si può obiettare che se anche Abraamo con la sua famiglia avesse spazzato via Canaan dagli invasori, ora sarebbe stato possibile per suo nipote fare altrettanto con maggiori mezzi a sua disposizione. Ma, per non dire che ogni uomo non ha il genio innato per il comando e l'impresa militare che aveva Abramo, bisogna tener conto che una forza che è abbastanza sufficiente per una spedizione di predoni o un attacco notturno, è inadeguata alle esigenze di una campagna della durata di diversi anni.

La guerra che Jacob deve aver condotto, se le ostilità fossero state aperte, deve essere stata una guerra di sterminio, e una tale guerra deve aver desolato la casa d'Israele se vittoriosa, e, più probabilmente di gran lunga, l'avrebbe completamente annientata.

È per ovviare a questi pericoli, e per assicurare che Israele cresca senza impedimenti o impedimenti, che la famiglia di Giacobbe viene trasferita in una terra dove protezione e isolamento sarebbero subito assicurati. Nella terra di Gosen, protetti dalle molestie in parte dall'influenza di Giuseppe, ma molto più dai pregiudizi di casta degli egiziani e dal loro odio per tutti gli stranieri, e in particolare per i pastori, godettero di tale prosperità e raggiunsero così rapidamente il grandezza di una nazione che alcuni, dimentichi sia della promessa di Dio che dei vantaggi naturali della posizione di Israele, hanno rifiutato di accreditare i resoconti datici dell'aumento della loro popolazione.

In una terra così ampia, così fertile e così isolata come quella in cui si erano ora stabiliti, avevano tutti i vantaggi per effettuare il passaggio da una famiglia a una nazione. Qui furono preservati da ogni tentazione di mescolarsi con vicini di razza diversa, perdendo così il loro posto speciale come popolo chiamato da Dio a stare da solo. Gli egiziani avrebbero disprezzato i matrimoni che i cananei sollecitavano appassionatamente.

Qui lo stesso disprezzo in cui erano tenuti si rivelò il loro più prezioso baluardo. E se i cristiani hanno un po' della saggezza del serpente, spesso troveranno nel disprezzo o nell'esclusività degli uomini mondani una comoda barriera, che impedisce loro, infatti, di godere di alcuni privilegi, ma allo stesso tempo consente loro, senza molestie, di perseguire la propria strada. Credo che soprattutto i giovani si sentano turbati dalle privazioni che devono subire per salvare i loro scrupoli religiosi; sono esclusi da ciò di cui godono i loro amici e compagni, e percepiscono di non essere così benvoluti come sarebbero se avessero meno desiderio di vivere secondo coscienza e per volontà di Dio.

Si sentono ostracizzati, banditi, disapprovati, posti sotto disabilità; ma tutto questo ha le sue compensazioni: forma per loro una specie di Gosen dove possono adorare e crescere, li circonda un recinto che li tiene lontani da molto che tenta e da molto che indebolisce.

La residenza di Israele in Egitto serviva a un altro scopo importante. Dal contatto con le persone più civilizzate dell'antichità emersero dalla condizione semibarbara in cui vivevano in precedenza. Andare in Egitto semplice. pastori, come dice Giacobbe al faraone in modo un po' lamentoso e dispregiativo; nemmeno in possesso, per quanto ne sappiamo, delle arti fondamentali su cui poggia la civiltà, incapace di registrare per iscritto le rivelazioni fatte da Dio, né di leggerle se registrate; avendo le idee più rudimentali del diritto e della giustizia, e non avendo nulla che le tenesse insieme e dar loro forma anale, salvo l'unica idea che Dio intendeva conferire loro grande distinzione;

A nessuna scuola migliore avrebbero potuto essere inviati i barbari figli di Bilhah e Zitpah; gli spiriti senza legge di Ruben, Simeone e Levi non avrebbero potuto essere soggetti a una disciplina più adeguata. In Egitto, dove la vita umana era sacra, dove la verità era adorata come una divinità, e dove la legge era investita della santità che apparteneva a ciò che si supponeva fosse disceso dal cielo, furono portati sotto influenze simili a quelle che l'antica Roma esercitò su razze conquistate.

Il pioniere inconsapevole di questo grande movimento era un uomo a tutti gli effetti adatto a iniziarlo felicemente. In Giuseppe incontriamo un tipo di carattere raro in ogni razza, e che, sebbene riprodotto occasionalmente nella storia ebraica, non ci saremmo certamente aspettati di incontrare in un periodo così precoce. Perché ciò che colpisce principalmente in Giuseppe è una combinazione di grazia e potere, che è comunemente considerata il risultato peculiare di influenze civilizzatrici, conoscenza della storia, familiarità con razze straniere e dignità ereditaria.

In David troviamo una simile flessibilità e grazia di carattere, e una simile superiorità personale. Troviamo la stessa disposizione brillante e divertente che lo aiuta a interpretare l'uomo in circostanze avverse; ma ci manca l'autocontrollo e la purezza incorruttibile di David Joseph, come ci manca anche qualcosa della sua capacità di difficili affari di stato. In Daniele quest'ultima capacità è abbondantemente presente, e una facilità pari a quella di Giuseppe nel trattare con gli stranieri, e c'è anche una certa grazia o nobiltà nel Visir ebreo; ma Joseph aveva un'eccedenza di potere che gli permetteva di essere allegro e vigile in circostanze dolorose, che Daniel avrebbe certamente sopportato virilmente, ma probabilmente in uno stato d'animo più severo e più passivo.

Giuseppe, infatti, sembrava ereditare e combinare felicemente le più alte qualità dei suoi antenati. Aveva la dignità e la capacità di Abramo, la purezza e il potere di devozione di Isacco, l'intelligenza, la vivacità e la tenacia di Giacobbe. Dalla famiglia di sua madre aveva bellezza, umorismo e gestione personali.

Un giovane di tali capacità non poteva restare a lungo insensibile ai propri poteri o indifferente al proprio destino. In effetti, la condotta del padre e dei fratelli nei suoi confronti doveva averlo reso impacciato, anche se era stato del tutto innocente di introspezione. La forza dell'impressione che ha prodotto sulla sua famiglia può essere misurata dalla circostanza che l'abito principesco datogli da suo padre non ha suscitato il ridicolo dei suoi fratelli, ma la loro invidia e odio.

In questo vestito c'era una manifesta idoneità alla sua persona, e questo li eccitò a un vivo risentimento per la distinzione. Allo stesso modo sentivano che i suoi sogni non erano semplici capricci di una fantasia vivace, ma possedevano una verosimiglianza che dava loro importanza. In breve, l'abito ei sogni erano insopportabilmente esasperanti per i fratelli, perché proclamavano e marcavano in modo definitivo il sentimento di superiorità di Giuseppe che già bruciava vagamente nella loro coscienza.

Ed è meritorio di Giuseppe che questa superiorità sia prima emersa in relazione a un punto di condotta. Era nella statura morale che i figli di Bilhah e Zilpah sentivano di essere troppo grandi per il giovane che portavano con sé come il loro servo. Né siamo obbligati a supporre che Giuseppe fosse un narratore gratuito, o che quando portava la loro cattiva notizia a suo padre fosse mosso da uno spirito pudico, censorio o in qualche modo indegno.

Che sapesse molto bene tenere a freno la lingua nessun uomo ne diede mai prova più adeguata; ma chi capisce che c'è un tempo per tacere vede necessariamente anche che c'è un tempo per parlare. E nessuno può dire quale tortura possa aver sopportato quella giovane anima pura nei pascoli remoti, quando lasciata sola a resistere giorno dopo giorno all'oltraggio di questi uomini rozzi e senza scrupoli. Un fratello maggiore, se vuole, può custodire l'innocenza di un fratello minore più efficacemente di qualsiasi altro parente, ma può anche infliggere una tortura più squisita.

Giuseppe, poi, non poteva non pensare al suo futuro e al suo destino in questa famiglia. Che suo padre facesse di lui un animale domestico piuttosto che di Beniamino, si riferiva alla circostanza che era il figlio maggiore della moglie di sua scelta, di colei che per prima aveva amato e che non aveva rivali mentre era in vita. A un compagno così affascinante come doveva essere sempre stato Giuseppe, Jacob avrebbe naturalmente trasmesso tutte le tradizioni e le speranze della famiglia.

In lui trovò un ascoltatore comprensivo e riconoscente, che lo indusse a narrare senza fine, e la cui immaginazione accrebbe le sue speranze e fece sembrare il futuro più grande e il mondo più vasto. E ciò che Giacobbe aveva da dire non poteva cadere in un terreno più gentile della mente aperta di Giuseppe. Nessun accenno è stato perso, ogni promessa è stata interpretata da qualche attesa aspirazione. E così, come ogni giovane capace, arrivò ad avere i suoi sogni d'argilla.

Questi sogni ad occhi aperti, sebbene derisi da coloro che non possono vedere il Cesare nell'incurante sciocchezza, e sebbene spesso goffi e persino offensivi nella loro espressione, non sono sempre semplici desideri scontenti della vanità giovanile, ma sono spesso brancolanti istintivi verso la posizione che la natura è adatta a riempire. "I nostri desideri", è stato detto, "sono l'intuizione delle nostre capacità"; e certamente dove c'è qualche dono o genio speciale in un uomo, il desiderio della sua giovinezza è predittivo del raggiungimento della virilità.

I capricci, senza dubbio, ci sono, fasi passeggere attraverso le quali ci conduce la crescita naturale, battiti dell'ago quando troppo vicino a qualche potente influenza; tuttavia, in mezzo a tutte le variazioni, la vera direzione sarà distinguibile e alla fine sarà dominante. Ed è una grande arte scoprire a cosa siamo adatti, in modo che possiamo sistemarci al nostro lavoro, o aspettare pazientemente il nostro posto, senza sforzarci con invidia di derubare ogni altro uomo della sua corona e perdere così la nostra.

È un'arte che ci fa risparmiare molte preoccupazioni, delusioni e perdite di tempo, per capire presto nella vita cosa possiamo realizzare e cosa esattamente intendiamo essere; "riconoscere nei nostri doni o stadi personali, nelle circostanze e complicazioni della nostra vita, nei nostri rapporti con gli altri o con il mondo, la volontà di Dio che ci insegna ciò che siamo e per ciò che dobbiamo vivere". Quante volte la vita se ne va prima che il suo possessore veda l'uso a cui può farne e smetta di battere l'aria! Quanto della vita è uno sforzo sconsiderato ma appassionato di ciò che non può mai essere raggiunto, o una vana imitazione di persone che hanno talenti e opportunità del tutto diversi da noi, e che quindi sono destinate a un lavoro completamente diverso dal nostro.

Era perché i sogni di Joseph incarnavano la sua ambizione da sveglio che erano importanti. I sogni diventano significativi quando sono l'essenza concentrata del flusso principale dei pensieri della veglia e mostrano pittorescamente la tendenza del personaggio. "In sogno", dice Elihu, "in una visione notturna, quando un sonno profondo cade sugli uomini, in assopimenti sul letto; allora Egli apre le orecchie degli uomini e sigilla le loro istruzioni, affinché possa allontanare l'uomo dal suo scopo.

"Questo è precisamente l'uso dei sogni: le nostre tendenze, sfrenate dalla ragione e dai fatti, corrono verso i risultati; gli scopi che gli affari e le altre buone influenze della giornata hanno trattenuto si manifestano nei nostri sogni, e vediamo il carattere non ostacolata dai controlli sociali, e per così dire non modificata dalle restrizioni, dagli sforzi e dalle considerazioni esterne delle nostre ore coscienti.La nostra vanità, il nostro orgoglio, la nostra malizia, la nostra impurità, il nostro inganno, ogni nostra passione malvagia, ha libero gioco, e ci mostra il suo risultato finito, e in una forma così vivida e vera sebbene caricaturale che siamo sorpresi e ritirati dal nostro scopo.

Il pensiero malvagio che abbiamo sofferto per insinuarsi nel nostro cuore sembra nei nostri sogni diventare un atto, e ci svegliamo con orrore e grazie a Dio possiamo ancora trattenerci. Così la povera donna, che nella più totale miseria cominciava a trovare il suo bambino come un peso, sognò di averlo annegato, e si svegliò con orrore al suono immaginario del trampolino per stringersi al petto il suo piccolo con il fremito di un affetto riconoscente che non ha mai più ceduto.

Così che mentre nessun uomo è così sciocco da aspettarsi istruzioni da ogni sogno più che da ogni pensiero che visita la sua mente da sveglio, tuttavia chiunque abbia accumulato una certa conoscenza di se stesso è consapevole di averne attinto gran parte da le sue ore inconsce. Come il naturalista conoscerebbe solo una piccola parte del regno animale studiando le creature che si mostrano alla luce del giorno, così ci sono talpe e pipistrelli dello spirito che si esibiscono più liberamente nell'oscurità; e ci sono giungle e luoghi desolati nel personaggio che, se li guardi solo alla luce del sole, possono sembrare sicuri e adorabili, ma che di notte si mostrano come la caduta di tutte le bestie ripugnanti e selvagge.

Con la semplicità di una mente innocente, e con la naturale propensione dei membri di una famiglia a raccontare al mattino i sogni che hanno fatto, Joseph racconta agli altri ciò che a se stesso sembra interessante, se non molto suggestivo. Forse pensava molto poco al suo sogno finché non vide quanta importanza vi attribuissero i suoi fratelli. Forse ci potrebbe essere distinguibile nel suo tono e nel suo aspetto un misto di arroganza giovanile.

E nella sua relazione con il secondo sogno, era percepibile almeno una fiducia che sarebbe stato realizzato, cosa che era particolarmente intollerabile per i suoi fratelli, e per suo padre sembrava un sintomo pericoloso che richiedeva un rimprovero. Eppure «suo padre osservò il detto»; come un genitore ha talvolta occasione di controllare suo figlio, e tuttavia, avendolo fatto, sente che ciò non pone fine alla questione; che il suo ragazzo e lui si trovano in sfere alquanto diverse, così che mentre era certamente giustificato nel punire questa o quella manifestazione del suo carattere, c'è ancora qualcosa dietro che non capisce del tutto, e per la quale forse la punizione potrebbe non essere esattamente il premio adeguato.

Cadiamo nell'errore di Giacobbe quando rifiutiamo di riconoscere come genuina e ispirata da Dio qualsiasi esperienza religiosa che noi stessi non abbiamo attraversato e che appare in una veste non solo sconosciuta, ma in alcuni particolari discutibile. Fino alla misura della nostra esperienza religiosa, riconosciamo come genuina e simpatizziamo con l'esperienza parallela degli altri; ma quando si elevano sopra di noi e ci superano, cominciamo a parlarne come visionari, entusiasti, sognatori.

Ci accontentiamo di indicare ancora e ancora le macchie nel loro modo e ci rifiutiamo di leggere il futuro attraverso le idee che aggiungono alla nostra conoscenza. Ma il futuro risiede necessariamente, non nel raggiungimento definitivo e finito, ma nei germi indefiniti, nebulosi e onirici che hanno ancora una crescita in loro. Il futuro non è con Jacob, il rimproveratore, ma con il sognatore e, forse, un po' offensivo Joseph.

Fu certamente un elemento nuovo che Giuseppe introdusse nell'esperienza del popolo di Dio. Vide, in verità oscuramente, ma con sufficiente chiarezza da renderlo pensieroso, che l'uomo che Goal sceglie e fa una benedizione agli altri è così avanzato al di sopra dei suoi simili che si appoggiano a lui e gli rendono omaggio come se fosse nel posto di Dio a loro. Vide che i suoi poteri superiori dovevano essere usati per i suoi fratelli e che l'alto destino che in qualche modo sentiva essere suo doveva essere vinto svolgendo un servizio così essenziale che la sua famiglia si sarebbe inchinata davanti a lui e si sarebbe data nelle sue mani.

Lo vide, come lo vede ogni uomo il cui amore va di pari passo con il suo talento, e finora ha anticipato la dignità di Colui che, nel più profondo sacrificio di sé, ha assunto una posizione e ha affermato affermazioni che hanno fatto infuriare i suoi fratelli e hanno reso persino i suoi credenti madre meraviglia. Giuseppe sapeva che il benessere della sua famiglia non dipendeva dalla bontà di Esaù di Ruben, tanto meno dalla fanatica ferocia di Simeone e di Levi, non dalla servile pazienza di Issacar, né dalla forza naturale e dalla dignità di Giuda, ma con alcune qualità più profonde che, se lui stesso non possedeva ancora, almeno apprezzava e aspirava.

Qualunque cosa Giuseppe pensasse del percorso attraverso il quale doveva raggiungere l'alta dignità che i suoi sogni prefiguravano, avrebbe presto imparato che il percorso non era né facile né breve. Ciascuno pensa che, almeno per se stesso, si intraprenderà un cammino eccezionale, e che senza difficoltà e umiliazioni erediterà il regno. Ma non può essere così. E come il primo passo che un ragazzo fa verso il raggiungimento della sua posizione spesso lo mette nei guai e lo copre di confusione, e lo fa anche se alla fine scopre che era l'unica strada per la quale avrebbe potuto raggiungere il suo obiettivo; così, quello che fu veramente il primo passo verso l'alto destino di Giuseppe, senza dubbio gli sembrò più calamitoso e fatale.

Lo fece certamente ai suoi fratelli, che pensavano di mettere effettivamente e per sempre fine alle pretese di Giuseppe. "Ecco, viene questo sognatore; vieni dunque ora e uccidiamolo, e vedremo che ne sarà dei suoi sogni". Tuttavia, furono così lontani dal loro scopo da Ruben da metterlo in una fossa, con l'intenzione di lasciarlo morire, e senza dubbio si ritenevano indulgenti nel farlo.

Meno violenta è la morte inflitta, meno omicidio sembra esserci in essa; così che colui che uccide lentamente il corpo ferendo solo gli affetti spesso non si considera affatto un assassino, perché non colpisce con spargimento di sangue, e può ingannare se stesso nell'idea che è l'opera dello stesso spirito della sua vittima che sta facendo il danno.

La cisterna in cui i fratelli di Giuseppe lo gettarono a quanto pare era uno di quegli enormi serbatoi scavati dai pastori in Oriente, affinché potessero avere una scorta d'acqua per le loro greggi alla fine della stagione secca, quando le acque correnti vengono a mancare. Essendo così stretti all'imboccatura da poter essere coperti da un'unica pietra, si allargano gradualmente e formano un grande vano sotterraneo; e la facilità che in tal modo offrono per la reclusione dei prigionieri fu fin dall'inizio troppo ovvia per non essere comunemente sfruttata.

In tale luogo Giuseppe fu lasciato morire sotto terra, sprofondando nel fango, la sua carne strisciante al tocco di creature viscide invisibili, nelle tenebre, solo: cioè in una specie di reclusione che doma i più temerari e pazzi. gli spiriti più equilibrati, che scuote i nervi dei più calmi e ha talvolta lasciato il vuoto dell'idiozia nelle intese maschili. Alcune grida selvagge che risuonano dolorosamente intorno alla sua prigione gli mostrano che non ha bisogno di aspettarsi aiuto dall'esterno; alcune percosse selvagge e disperate intorno alle pareti di roccia a scaffalature gli mostrano che non c'è possibilità di fuga; si copre la faccia, o si getta sul pavimento della sua prigione per fuggire dentro di sé, ma solo per trovare vano anche questo, e per rialzarsi e rinnovare gli sforzi che sa essere infruttuosi.

Ecco, allora, cosa è venuto fuori dai suoi bei sogni. Con vergogna ora ricorda la fiducia raggiante con cui li aveva raccontati; con amarezza pensa alla luminosa vita sopra di lui, da cui questi pochi piedi lo tagliano così assolutamente fuori, e alla rapida conclusione che è stata posta a tutte le sue speranze.

In tali vasche vengono gettati soprattutto i giovani: ritrovandosi improvvisamente abbandonati dal vivace scenario e dal sole splendente in cui hanno vissuto, giù in tombe spaziose dove sembrano lasciati morire a proprio piacimento. Avevano concepito un modo di essere utili al mondo; avevano trovato uno scopo o una speranza; avevano, come Giuseppe, individuato il loro posto e si stavano dirigendo verso di esso. quando all'improvviso sembrano essere buttati fuori e vengono lasciati imparare che il mondo può benissimo fare a meno di loro, che il sole e la luna e le undici stelle non cadono dal loro corso né fanno lamento per la loro triste condizione.

Gli obiettivi elevati e gli scopi lodevoli non sono così facilmente realizzati come si immaginavano. La facoltà e il desiderio in loro di essere di servizio non sono riconosciuti. Gli uomini non fanno loro spazio, e Dio sembra disattendere le speranze che ha suscitato in loro. Il piccolo tentativo di vivere che hanno fatto sembra aver solo messo nei guai se stessi e gli altri. Cominciano a pensare che sia un errore il loro essere nel mondo; maledicono il giorno della loro nascita.

Altri si stanno godendo questa vita e sembrano farne qualcosa, avendo trovato un lavoro adatto e che li sviluppa; ma, da parte loro, non possono adattarsi in nessun momento alla vita e sono esclusi dal movimento in avanti del mondo. Vengono respinti ancora e ancora, finché non temono di non vedere la realizzazione di nessun sogno luminoso che li abbia mai visitati, e che non debbano mai, proprio mai, vivere la vita che è in loro vivere , oppure trovano luce e spazio per maturare quei germi della ricca natura umana che sentono dentro di sé.

Tutto questo è sulla via del raggiungimento. Questo o quell'assegno, questa lunga sepoltura per anni, non ti viene addosso solo perché l'arresto e l'impedimento sono stati utili ad altri, ma perché il tuo avanzamento passa attraverso queste esperienze. I giovani naturalmente sentono fortemente che la vita è tutta davanti a loro, che questa vita è, in primo luogo, la loro preoccupazione e che Dio deve essere dimostrato sufficiente per questa vita, capace di portarli al loro ideale.

E la prima lezione che devono imparare è che la semplice fiducia ed energia giovanile non sono le qualità che superano il mondo. Devono imparare che l'umiltà, e l'ambizione che cerca grandi cose, ma non per noi stessi, sono le qualità davvero indispensabili. Ma gli uomini diventano umili quando gli viene detto di diventarlo o sapendo che dovrebbero esserlo? Dio deve renderci umili per l'esperienza concreta che incontriamo nella nostra vita ordinaria.

Giuseppe, senza dubbio, sapeva molto bene, quello che il suo vecchio nonno doveva avergli detto spesso, che un uomo deve morire prima di cominciare a vivere. Ma cosa poteva fare un giovane ambizioso e felice di tutto questo, finché non fosse stato gettato nella fossa e lasciato lì? come veramente passando attraverso l'amarezza della morte come Isacco era passato attraverso di essa, e come acutamente sentendo il dolore della separazione dalla luce della vita. Allora, senza dubbio, pensò a Isacco, e al Dio di Isacco, finché tra lui e le impenetrabili mura della prigione sembravano interporsi le braccia eterne, e attraverso l'oscurità della sua solitudine simile alla morte il volto del Dio di Giacobbe sembrava risplendere su lui, e giunse a sentire ciò che dobbiamo, per una qualche estremità, far sentire a tutti, che non era nella vita di questo mondo, ma in Dio che viveva, che nulla poteva accadergli che Dio non voleva,

La spietata barbarie con cui i fratelli di Giuseppe si sedettero a mangiare e a bere le stesse prelibatezze che aveva portato loro da suo padre, mentre lo lasciavano, come pensavano, a morire di fame, è stata considerata da tutte le generazioni successive come l'apice del duro -indifferenza di cuore. Amos, incapace di descrivere l'incoscienza della sua generazione, ricade su questo incidente e grida guai a quelli "che bevono vino in coppe e si ungono con l'unguento principale, ma non sono addolorati per l'afflizione di Giuseppe. .

"Riflettiamo, se non riproduciamo sostanzialmente, il loro peccato quando siamo pieni di animosità contro coloro che introducono un qualche tipo di vita, sforzo o adorazione più elevato di quello che noi stessi desideriamo o per cui siamo adatti, e che, quindi, , riflette vergogna sulla nostra incapacità, e quando vorremmo, senza usare la violenza, sbarazzarci di tali persone.Ci sono spesso progetti messi in piedi da uomini migliori di noi, contro i quali in qualche modo il nostro spirito si solleva, ma che, abbiamo considerato, al massimo dovremmo dire con il prudente Gamaliele: Guardiamoci dal far nulla per impedirlo, vediamo se forse non è da Dio.

A volte ci sono nelle famiglie individui che non ricevono l'incoraggiamento al bene che ci si potrebbe aspettare in una famiglia cristiana, ma sono piuttosto disapprovati e ostacolati dagli altri membri di essa, perché sembrano inaugurare uno stile di religione più alto di quello la famiglia è abituata, e riflette dalla propria condotta, una condanna di ciò che è stato finora attuale.

Questo trattamento, chi di noi non ha esteso a Colui che in tutta la sua esperienza somiglia così tanto a Giuseppe? Finché Cristo è per noi semplicemente, per così dire, l'animale domestico della famiglia, l'Essere innocente, innocente, amorevole su cui possiamo accumulare graziosi epiteti e in cui troviamo gioco per i nostri migliori affetti, a cui è più facile mostrarci affettuosi e ben disposti che ai fratelli che si mescolano a noi in tutte le nostre occupazioni; finché Egli rimane per noi come un bambino le cui esigenze è un rilassamento da soddisfare, immaginiamo che gli stiamo dando i nostri cuori e che Lui, se c'è, ha il nostro amore.

Ma quando ci dichiara i suoi sogni e afferma di essere nostro Signore, al quale dobbiamo inchinarci con il più assoluto omaggio, che ha il diritto di governare e ha i mezzi per regnare su di noi, che farà fare la sua volontà da noi e non la nostra proprio, allora l'amore che immaginavamo sembra trasformarsi in qualcosa di simile all'avversione. I suoi scopi vorremmo credere che siano le oziose fantasie di un sognatore a cui Lui stesso non si aspetta che prestiamo molta attenzione.

E se non ci risentiamo per l'assoluto abbandono di noi stessi a Lui che Egli richiede, se l'inchinarsi dei nostri più pieni covoni e della nostra più luminosa gloria a Lui è troppo poco compreso da noi per essere risentito; se pensiamo che tali sogni non si avverino, e che Egli non significhi molto chiedendo il nostro omaggio, e quindi non ci risentiamo della richiesta; tuttavia forse possiamo ricordare con vergogna come ci siamo "unti con l'unguento principale", mentre siamo rimasti svogliatamente godendo di alcuni di quei lussi che il nostro Fratello ci ha portato dalla casa del Padre, e tuttavia abbiamo lasciato che se stesso e la sua causa fossero sepolti alla vista- goduto del buon nome di cristiano, delle piacevoli raffinatezze sociali di una terra cristiana, anche della pace della coscienza che produce la conoscenza del Dio del cristiano,

Ci sono anche Reubens instabili, che qualcosa allontana sempre, e che si tolgono sempre di mezzo quando c'è più bisogno; che, come lui, sono dall'altra parte della collina quando la causa di Cristo viene tradita; che considerano ancora la loro attività privata ciò che deve essere fatto, e l'opera di Dio ciò che può essere fatta, lavoro per se stessi necessario, e l'opera di Dio solo volontaria e in secondo luogo. E ci sono anche quelli che, anche se sarebbero onestamente scioccati di essere accusati di aver ucciso la causa di Cristo, possono ancora lasciarla perire.

Continua dopo la pubblicità