Giudici 19:1-30

1 Or in quel tempo non v'era re in Israele; ed avvenne che un Levita, il quale dimorava nella parte più remota della contrada montuosa di Efraim, si prese per concubina una donna di Bethlehem di Giuda.

2 Questa sua concubina gli fu infedele, e lo lasciò per andarsene a casa di suo padre a Bethlehem di iuda, ove stette per lo spazio di quattro mesi.

3 E suo marito si levò e andò da lei per parlare al suo cuore e ricondurla seco. Egli avea preso con se il suo servo e due asini. Essa lo menò in casa di suo padre; e come il padre della giovane lo vide, gli si fece incontro festosamente.

4 Il suo suocero, il padre della giovane, lo trattenne, ed egli rimase con lui tre giorni; e mangiarono e bevvero e pernottarono quivi.

5 Il quarto giorno si levarono di buon'ora, e il Levita si disponeva a partire; e il padre della giovane disse al suo genero: "Prendi un boccon di pane per fortificarti il cuore; poi ve ne andrete".

6 E si posero ambedue a sedere e mangiarono e bevvero assieme. Poi il padre della giovane disse al marito: "Ti prego, acconsenti a passar qui la notte, e il cuor tuo si rallegri".

7 Ma quell'uomo si alzò per andarsene; nondimeno, per le istanze del suocero, pernottò quivi di nuovo.

8 Il quinto giorno egli si levò di buon'ora per andarsene; e il padre della giovane gli disse: "Ti prego, fortìficati il cuore, e aspettate finché declini il giorno". E si misero a mangiare assieme.

9 E quando quell'uomo si levò per andarsene con la sua concubina e col suo servo, il suocero, il padre della giovane, gli disse: "Ecco, il giorno volge ora a sera; ti prego, trattienti qui questa notte; vedi, il giorno sta per finire; pernotta qui, e il cuor tuo si rallegri; e domani vi metterete di buon'ora in cammino e te ne andrai a casa".

10 Ma il marito non volle passar quivi la notte; si levò, partì, e giunse dirimpetto a Jebus, che è erusalemme, coi suoi due asini sellati e con la sua concubina.

11 Quando furono vicini a Jebus, il giorno era molto calato; e il servo disse al suo padrone: "Vieni, ti prego, e dirigiamo il cammino verso questa città de' Gebusei, e pernottiamo quivi".

12 Il padrone gli rispose: "No, non dirigeremo il cammino verso una città di stranieri i cui abitanti non sono figliuoli d'Israele, ma andremo fino a Ghibea".

13 E disse ancora al suo servo: "Andiamo, cerchiamo d'arrivare a uno di que' luoghi, e pernotteremo a hibea o a Rama".

14 Così passarono oltre, e continuarono il viaggio; e il sole tramontò loro com'eran presso a Ghibea, che appartiene a Beniamino. E volsero il cammino in quella direzione, per andare a pernottare a Ghibea.

15 Il Levita entrò e si fermò sulla piazza della città; ma nessuno li accolse in casa per passar la notte.

16 Quand'ecco un vecchio, che tornava la sera dai campi, dal suo lavoro; era un uomo della contrada montuosa d'Efraim, che abitava come forestiero in Ghibea, la gente del luogo essendo Beniaminita.

17 Alzati gli occhi, vide quel viandante sulla piazza della città. E il vecchio gli disse: "Dove vai, e donde vieni?"

18 E quello gli rispose: "Siam partiti da Bethlehem di Giuda, e andiamo nella parte più remota della contrada montuosa d'Efraim. Io sono di là, ed ero andato a Bethlehem di Giuda; ora mi reco alla casa dell'Eterno, e non v'è alcuno che m'accolga in casa sua.

19 Eppure abbiamo della paglia e del foraggio per i nostri asini, e anche del pane e del vino per me, per la tua serva e per il garzone che è coi tuoi servi; a noi non manca nulla".

20 Il vecchio gli disse: "La pace sia teco! Io m'incarico d'ogni tuo bisogno; ma non devi passar la notte sulla piazza".

21 Così lo menò in casa sua, e diè del foraggio agli asini; i viandanti si lavarono i piedi, e mangiarono e bevvero.

22 Mentre stavano rallegrandosi, ecco gli uomini della città, gente perversa, circondare la casa, picchiare alla porta, e dire al vecchio, padron di casa: "Mena fuori quell'uomo ch'è entrato in casa tua ché lo vogliam conoscere!"

23 Ma il padron di casa, uscito fuori disse loro: "No, fratelli miei, vi prego, non fate una mala azione; iacché quest'uomo e venuto in casa mia, non commettete questa infamia!

24 Ecco qua la mia figliuola ch'è vergine, e la concubina di quell'uomo; io ve le menerò fuori, e voi servitevene, e fatene quel che vi pare; ma non commettete contro quell'uomo una simile infamia!"

25 Ma quegli uomini non vollero dargli ascolto. Allora l'uomo prese la sua concubina e la menò fuori a loro; ed essi la conobbero, e abusarono di lei tutta la notte fino al mattino, poi, allo spuntar dell'alba, la lasciaron andare.

26 E quella donna, sul far del giorno, venne a cadere alla porta di casa dell'uomo presso il quale stava il suo marito, e quivi rimase finché fu giorno chiaro.

27 Il suo marito, la mattina, si levò, aprì la porta di casa e uscì per continuare il suo viaggio, quand'ecco la donna, la sua concubina, giacer distesa alla porta di casa, con le mani sulla soglia.

28 Egli le disse: "Lèvati, andiamocene!" Ma non ebbe risposta. Allora il marito la caricò sull'asino, e partì per tornare alla sua dimora.

29 E come fu giunto a casa, si munì d'un coltello, prese la sua concubina e la divise, membro per membro, in dodici pezzi, che mandò per tutto il territorio d'Israele.

30 Di guisa che chiunque vide ciò, disse: "Una cosa simile non è mai accaduta né s'è mai vista, da quando i figliuoli d'Israele salirono dal paese d'Egitto, fino al dì d'oggi! Prendete il fatto a cuore, consigliatevi e parlate".

Giudici 20:1 ; Giudici 21:1

DALLA GIUSTIZIA ALLA VENDETTA SELVAGGIA

Giudici 19:1 ; Giudici 20:1 ; Giudici 21:1

QUESTI ultimi capitoli descrivono uno scoppio generale e veemente di indignazione morale in tutto Israele, registrato per vari motivi. Una cosa vile viene fatta in una delle città di Beniamino e il fatto viene pubblicato in tutte le tribù. Gli autori di ciò sono difesi dal loro clan e su di loro viene inflitta una punizione spaventosa, non senza sofferenza per l'intero popolo. Come gli incidenti narrati nei capitoli immediatamente precedenti, questi devono essere avvenuti in una fase iniziale del periodo dei giudici, e offrono un'altra illustrazione del pericolo di un governo imperfetto, della necessità di una vigorosa amministrazione della giustizia sulla terra.

Il delitto e la vendetta vulcanica appartengono a un'epoca in cui "non c'era "re in Israele" e, nonostante gli occasionali appelli all'oracolo, "ognuno faceva ciò che era giusto ai propri occhi". In questo abbiamo un indizio sullo scopo della storia.

Il delitto di Ghibea qui segnalato si collega a quello di Sodoma e rappresenta una fase di immoralità che, indigena di Canaan, mescolava la sua corrente putrida con la vita ebraica. Ci sono tracce della stessa orribile impurità in Giuda di Roboamo e Asa; e nella storia del regno di Giosia siamo inorriditi nel leggere di "case di sodomiti che erano nella casa del Signore, dove le donne tessevano tendaggi per Asherah.

" Con una luce storica così fosca sull'argomento possiamo facilmente comprendere la rinascita di questa lezione ammonitrice dal passato di Israele e la pienezza dei dettagli con cui sono registrati gli incidenti. Un crimine originariamente quello delle disgrazie di Ghibea divenne praticamente il peccato di un'intera tribù, e la guerra che ne seguì mette in chiara luce lo zelo per la purezza domestica che fu caratteristica di ogni rinascita religiosa e, infine, della vita del popolo ebraico.

Ci si può chiedere come, mentre la poligamia era praticata tra gli israeliti, il peccato di Ghibea potesse suscitare tale indignazione e risvegliare la vendetta segnale delle tribù unite. La risposta è da ricercarsi in parte nel singolare e spaventoso stratagemma che usò il marito indignato nel rendere noto l'atto. Gli orribili simboli dell'oltraggio raccontavano la storia in un modo adatto a smuovere il sangue dell'intero paese.

Ovunque la cosa orribile era resa vivida e si accendeva un senso di estrema atrocità mentre i membri separati venivano portati di città in città. È facile vedere che la femminilità deve essere stata suscitata dalla più ardente indignazione, e la virilità doveva seguirla. Quale donna poteva essere al sicuro a Ghibea, dove si facevano cose del genere? E Ghibea sarebbe rimasto impunito? Se è così, ogni città ebraica potrebbe diventare il covo di miscredenti.

Inoltre c'è il fatto che la donna così brutalmente assassinata, sebbene fosse una concubina, era la concubina di un levita. La misura di sacralità di cui erano investiti i Leviti dava a questo delitto, abbastanza spaventoso sotto ogni aspetto, il colore del sacrilegio. Quanto era degenerato il popolo di Ghibea quando un servitore dell'altare poteva essere trattato con tale ignominia e spinto a un così straordinario appello per la giustizia? Non ci sarebbe stata alcuna benedizione per le tribù se avessero lasciato impuniti gli autori oi condonatori di questa cosa.

Ogni levita in tutto il paese deve aver raccolto il grido. Da Betel e da altri santuari l'appello alla vendetta si sarebbe diffuso ed echeggiato finché la nazione non fosse stata risvegliata. Così, almeno in parte, si può spiegare la veemenza del sentimento che univa l'intera forza combattente delle tribù.

Rimarrà ancora il dubbio se ci potesse essere tanta purezza di vita o rispetto per la purezza da sostenere l'indignazione pubblica. Qualcuno potrebbe dire: Non c'è qui una ragione sufficiente per mettere in dubbio la veridicità della narrazione? Prima, tuttavia, si ricordi che spesso, laddove la morale è lontana dal raggiungere il livello della pura vita monogamica, le distinzioni tra giusto e sbagliato sono nettamente tracciate.

La conoscenza delle fasi della vita moderna che sono più dolorose per la mente sensibilmente pura rivela un codice fisso che nessuno può violare senza attirare su di sé la riprovazione, forse più veemente che in un grado sociale superiore visita la violazione di una legge superiore. È il fatto che il concubinato ha il suo riconoscimento non scritto e le sue consuetudini protettive. C'è matrimonio che è solo un nome; c'è il concubinato che dà alla donna più diritti di chi è sposato.

Contro l'immoralità ei gravi mali della convivenza va posta questa legge non scritta. E argomentando dal sentimento popolare nelle nostre grandi città arriviamo alla conclusione che nell'antico Israele, dove prevaleva il concubinato, c'era un sentimento ampio e vivo circa i diritti delle concubine e la necessità di sostenerli. Molte donne devono essere state in questa relazione, al di sotto di quelle che potevano considerarsi legalmente sposate, e tanto più che la concubina occupasse un posto inferiore a quello della legittima moglie se l'opinione popolare ne assumesse la causa e chiedesse la punizione di coloro che lo facevano. lei sbaglia.

E qui siamo condotti a un punto che richiede un'affermazione chiara e un riconoscimento. Si è supposto troppo facilmente che la poligamia sia sempre il risultato del declino morale e indichi un basso stato di purezza domestica. Potrebbe, in verità, essere un rude passo di progresso. È stato sufficientemente notato che in quei paesi in cui il nome della madre, non del padre, è disceso ai figli la ragione può essere trovata nella impudicizia universale o quasi universale? In Egitto un tempo la legge dava alle donne, specialmente alle madri, diritti peculiari; ma per questo motivo elogiare la civiltà egizia e mantenere il suo trattamento delle donne come esempio fino al XIX secolo è un'impresa straordinaria.

Gli israeliti, per quanto lassisti, erano senza dubbio in anticipo rispetto alla società di Tebe. Presso i Cananei la degradazione morale delle donne, qualunque ne fosse stata la libertà, era così terribile che l'ebreo con le sue due o tre mogli e concubine ma con una moralità altrimenti severa, doveva aver rappresentato un nuovo e più santo ordine sociale oltre che una nuova e più santa religione. Non è dunque incredibile, ma appare semplicemente secondo gli istinti ei costumi propri del popolo ebraico, che il peccato di Ghibea provochi un'indignazione schiacciante.

Non c'è pretesa di purezza, né rabbia ipocrita. La sensazione è sana e reale. Forse in nessun'altra questione di ordine morale ci sarebbe stata un'esasperazione così intensa e unanime. Un punto di giustizia o di fede non avrebbe così mosso le tribù. Appare l'io migliore di Israele, che afferma la sua pretesa e il suo potere. E i miscredenti di Ghibeah che rappresentano il sé inferiore, in verità uno spirito immondo, sono detestati e denunciati da ogni parte.

Il tempo era quello del sentimento fresco, non deformato da quei costumi che sotto forma di civiltà e raffinatezza poi corrompono la nazione. E possiamo vedere l'uso profetico o esortativo della narrazione per un'epoca successiva in cui azioni vili come quelle di Ghibea furono sanzionate dalla corte e protette anche dai capi religiosi. Sarebbe sperato dallo storico sacro che questo racconto della feroce indignazione delle tribù potesse risvegliare lo stesso sentimento morale.

Vorrebbe scuotere un popolo negligente e i suoi sacerdoti con l'esibizione di questa tumultuosa vendetta. Né si può dire che sia cessata la necessità dell'impressionante lezione. Nel cuore delle nostre grandi città si sentono mormorare al calar della notte vizi vili come quelli di Ghibea, la vita abbandonata si nasconde e si infesta, creando una cancrena sociale.

Riconoscete, dunque, in questi Capitoli una verità per sempre arditamente tirata fuori, la grande verità circa la riforma morale e la purezza nazionale. La legge non curerà i mali morali; un libro di legge il più puro e il più nobile non salverà. Coloro che per impulso dello Spirito raccolsero le varie tradizioni della vita di Israele sapevano bene che da una coscienza viva negli uomini tutto dipendeva, e almeno indicano l'ulteriore verità che molti di noi non hanno afferrato, che le prime e rozze opere di coscienza, producendo risultati tempestosi e terribili, sono una tappa necessaria dello sviluppo.

Come ci deve essere energia prima che possa esserci energia nobile, così ci deve essere vigore morale, può essere rude, violento, ignorante, un ruscello che scorre fuori dalle colline barbariche, spazzando con la più spaventosa veemenza, prima che possa esserci una vita spirituale paziente, calmo e santo. La legge è un prodotto, non una causa; non è il codice che creiamo che ci perserverà, ma la coscienza data da Dio che informa il codice e lo precede sempre come una colonna di fuoco, a volte con un lampo vivido.

Anche la legge cristiana non può salvare un popolo se è solo una serie di ingiunzioni. Nulla farà se non la mente di Cristo in ogni uomo e donna che continuamente ispira e dirige la vita. Il riformatore che pensa che uno statuto o un regolamento porrà fine a un peccato oa una cattiva abitudine è in un triste errore. Di' che il decreto per cui si contende è stato emanato; ma sono state ravvivate le coscienze di coloro contro i quali è fatto? In caso contrario, la legge esprime semplicemente uno stato d'animo popolare e la vita dell'intera comunità non sarà permanentemente innalzata di tono.

La chiesa trova qui una perpetua missione di influenza. La sua dottrina non è che metà del suo messaggio. Dalla dottrina come da fonte eterna deve uscire il calore morale vivificante in ogni campo, e lo Spirito è sempre con lei per rendere il mondo come un fuoco. Il suo dovere è vasto come la giustizia, grande come il destino dell'uomo; non è mai finita, perché ogni generazione arriva in una nuova ora con nuovi bisogni. La chiesa, dicono alcuni, sta finendo i suoi lavori; è destinato a essere uno degli stampi rotti della vita.

Ma la chiesa che è l'istruttrice della coscienza e accende la fiamma della giustizia ha una missione nei secoli. Siamo ancora lontani da quel giorno del Signore in cui tutto il popolo sarà profeta; e fino ad allora come potrà vivere il mondo senza la chiesa? Sarebbe un corpo senza anima.

La coscienza l'oracolo della vita, la coscienza mal funzionante anziché tenuta in catene di mero dominio senza spontaneità e ispirazione, energia morale diffusa, personale e acuta, per quanto rozza: ecco una delle note dello scrittore sacro; e un'altra nota, non meno distinta, è l'affermazione dell'intolleranza morale. A questo profetico annalista non è venuto in mente che la sopportazione del male abbia alcun potere curativo.

È un ebreo, pieno di indignazione contro il vile e il falso, ed esige dal suo popolo un calore di forza morale. A corte e perfino nel tempio si fanno cose turpi; c'è un'indifferenza depravata alla purezza, un'idea vaga (molto simile all'idea dei nostri giorni), che tutti i lati della vita dovrebbero avere libero gioco e che i pagani avevano molto da insegnare a Israele. L'intera narrazione davanti a noi è intrisa di una giusta protesta contro il male, una santa supplica per l'intolleranza al peccato.

Gli uomini rifiuteranno l'istruzione e persisteranno nel farsi tutt'uno con la bestialità e l'oltraggio? Allora il giudizio deve trattarli sul terreno che hanno scelto di occupare, e finché non si pentono la coscienza della razza deve ripudiarli insieme al loro peccato. Insieme a una coscienza acutamente ardente si accompagna questa necessità di intolleranza morale. La carità è buona, ma non sempre in atto; e la stessa fratellanza richiede a volte un giudizio forte e intransigente del malfattore.

In quale altro modo, tra gli uomini dalla volontà debole e dal cuore vacillante, la giustizia può rivendicare e imporsi come realtà eterna della vita? La compassione è forte solo quando è legata a dichiarazioni incrollabili; la misericordia è divina solo quando trasforma un fronte di posta in cattiveria e lancia fulmini contro l'orgoglioso torto. Qualsiasi altro tipo di carità non è che una nuova offesa: il peccatore che perdona il peccato.

Ora il popolo di Ghibea non era tutto vile. I miserabili il cui crimine richiedeva il giudizio non erano che la plebaglia della città. E possiamo vedere che le tribù, quando si radunavano indignate, erano rese serie dal pensiero che i giusti potessero essere puniti con i malvagi. Ci viene detto che salirono al santuario e chiesero consiglio al Signore se dovevano attaccare la città condannata. C'era un'intera adunata di combattenti, il loro sangue in calore febbrile, eppure non sarebbero avanzati senza un oracolo. Era un appello alla giustizia celeste e richiede di essere notato come una caratteristica sorprendente di tutta la terribile serie di eventi. Per un'ora c'è silenzio nel campo finché una voce più alta non parlerà.

Ma qual è il problema? L'oracolo decreta un attacco immediato a Ghibea di fronte a tutti Beniamino, che ha mostrato il temperamento del paganesimo rifiutandosi di consegnare i criminali. Ancora una volta c'è una prova di battaglia che termina con la sconfitta delle tribù alleate. I trionfi sbagliati; il popolo deve ritornare umiliato e piangente alla Sacra Presenza e sedere digiuno e sconsolato davanti al Signore.

Non senza la sofferenza dell'intera comunità è un grande male da epurare da una terra. È facile giustiziare un assassino, imprigionare un criminale. Ma lo spirito dell'assassino, del criminale, è largamente diffuso, e questo va scacciato. Nella grande lotta morale, anno dopo anno, i migliori hanno non solo gli apertamente vili, ma tutti coloro che sono contaminati, tutti coloro che sono deboli nell'anima, disordinati nell'abitudine, segretamente simpatici con i vili, schierati contro di loro.

C'è un sacrificio del bene prima che il male sia vinto. Nella sofferenza vicaria molti devono pagare la pena di crimini non propri prima che la malvagità di vasta portata possa essere vista nella sua potenza demoniaca e colpita come il crudele nemico del popolo.

Quando si assalta qualche vile usanza si ode la risata sardonica di coloro che vi trovano il loro profitto e il loro piacere. Sentono il loro potere. Conoscono l'ampia simpatia per loro diffusa segretamente attraverso la terra. Ancora una volta il debole tentativo del bene viene respinto. Con il cuore triste, con mezzi impoveriti, coloro che hanno guidato la crociata si ritirano sconcertati e stanchi. Il loro metodo è stato poco intelligente? Molto probabilmente risiede la causa del suo fallimento.

O, forse, è stato, sebbene nominalmente ispirato da un oracolo, fin troppo umano, debole per orgoglio umano. Solo quando avranno guadagnato con una nuova e più profonda devozione alla gloria di Dio, con più umiltà e fede, una visione più chiara del campo di battaglia e un migliore ordinamento della guerra, la sconfitta non si trasformerà in vittoria. E non sia che l'assalto ai mali morali dei nostri giorni, in cui moltitudini si professano impegnate, in cui anche molti hanno speso sostanza e vita, fallisca finché non ci sia una vera umiliazione degli eserciti di Dio davanti a Lui, una nuova consacrazione a fini più alti e più spirituali? La virtù umana deve sempre essere gelosa di se stessa, il riformatore può facilmente diventare fariseo.

La marea cambiò e venne un altro pericolo, quello che attende le eruzioni del sentimento popolare. Una folla in preda all'ira è difficile da controllare, e le tribù che un tempo avevano provato la vendetta non cessarono finché Beniamino non fu quasi sterminato. Il massacro si estese non solo ai combattenti, ma a donne e bambini. I seicento che sono fuggiti al forte roccioso di Rimmon appaiono come gli unici sopravvissuti del clan.

La giustizia ha oltrepassato il suo segno e per un male ne ha fatto un altro. Coloro che avevano usato più ferocemente la spada guardarono il risultato con orrore e stupore, perché in Israele mancava una tribù. Né questa fu la fine del massacro. Poi per amore di Beniamino fu estratta la spada e gli uomini di Iabes di Galaad furono massacrati. Va notato che l'oracolo non è responsabile di questo orribile processo del male.

Il popolo giunse di propria iniziativa alla decisione che annientò Iabes di Galaad. Ma gli diedero un colore pio; religione e crudeltà andavano insieme, sacrifici a Geova e questo spaventoso scoppio di demonismo. È uno dei capitoli oscuri della storia umana. Per amore di un giuramento e di un'idea la morte è stata trattata senza pietà. Nessuna voce suggeriva che il popolo di Jabesh potesse essere stato più cauto degli altri, non meno fedele alla legge di Dio. Gli altri erano decisi a dare l'impressione di aver avuto ragione nel quasi annientare Benjamin; e la città che non si era unita all'opera di distruzione doveva essere punita.

L'avvertimento qui trasmesso è estremamente acuto. È che gli uomini, resi dubbiosi dall'esito delle loro azioni se hanno fatto saggiamente, possono correre alla risoluzione per giustificarsi e possono farlo anche a spese della giustizia; che una nazione possa passare dalla retta via alla sbagliata e poi, sprofondata in una straordinaria bassezza e malignità, possa volgersi contorcendosi e condannandosi per aggiungere crudeltà a crudeltà nel tentativo di placare i rimproveri della coscienza.

È che gli uomini nel fervore della passione che ha avuto inizio con il risentimento contro il male possono colpire coloro che non hanno partecipato ai loro errori così come coloro che meritano veramente la riprovazione. Ci troviamo, nazioni e individui, in costante pericolo di terribili estremi, una sorta di follia che ci affretta quando il sangue è riscaldato da una forte emozione. Tentando ciecamente di fare il bene, facciamo il male e, ancora una volta, dopo aver fatto il male, ci sforziamo ciecamente di porvi rimedio facendo di più.

In tempi di oscurità morale e di condizioni sociali caotiche, quando gli uomini sono guidati da pochi princìpi rozzi, si fanno cose che poi si spaventano, e tuttavia possono diventare un esempio per futuri focolai. Durante la furia della loro Rivoluzione, il popolo francese, con alcune parole d'ordine del vero anello come libertà, fratellanza, girava di qua e di là, ora in preda al terrore, ora ansimando dopo che si vedeva confusamente giustizia o speranza, ed era sempre di sangue in sangue.

Comprendiamo la congiuntura nell'antico Israele e realizziamo l'eccitazione e la rabbia di un popolo geloso di sé, quando leggiamo i racconti moderni di crescente ferocia in cui gli uomini appaiono ora perseguitare la folla che grida vendetta, poi rabbrividendo sul patibolo.

Nella vita privata la storia ha un'applicazione contro metodi selvaggi e violenti di auto-rivendicazione. Molti uomini, spinti da una giusta rabbia contro chi gli ha fatto del male, vedono con orrore dopo che è stato colpito un colpo tagliente che ha spezzato una vita e ha gettato nella polvere un fratello sanguinante. Una cosa sbagliata è stata fatta forse più in fretta che per viltà di proposito, e la punizione, frettolosa, sconsiderata, lascia la questione morale dieci volte più confusa. Quando tutto è calcolato, troviamo impossibile dire dove sia il giusto, dove lo sbagliato.

Passando all'ultimo espediente adottato dai capi d'Israele per rettificare il loro errore - lo stupro delle donne a Shiloh - vediamo solo quanto pietoso un passo abbagliante morale porti coloro che vi cadono: altro insegnamento morale non ce n'è. Potremmo dapprima essere disposti a dire che c'era una straordinaria mancanza di riverenza per l'ordine e gli impegni religiosi quando gli uomini di Beniamino furono invitati a fare una festa sacra in occasione di prendere ciò che le altre tribù avevano solennemente giurato di non dare.

Ma la festa di Shiloh deve essere stata molto più un'allegra festa che un'assemblea sacra. Bisogna riconoscere che molti raduni anche in onore di Geova erano principalmente, come quelli del culto cananeo, per ilarità e banchetti. Probabilmente non c'era una grande incongruenza tra l'occasione e la trama.

Ma le scene cambiano certamente nel corso di questa narrazione con straordinaria rapidità. L'indignazione feroce è seguita dalla pietà, il pianto per la sconfitta con le lacrime per una vittoria troppo completa. Orribili spargimenti di sangue devastano le città e in un mese si danza nella pianura di Sciloh, a meno di dieci miglia dal campo di battaglia. Caotiche infatti sono la morale e la storia; ma è il disordine della vita sociale nelle sue prime fasi, con la veemenza e la tenerezza, la ferocia e il riso della giovinezza di una nazione.

E, da sempre, il Libro dei Giudici porta il marchio di veridicità come una serie di documenti perché queste stesse caratteristiche devono essere viste: questo tumulto, questa veemenza indisciplinata nel sentire e nell'agire. Se ci raccontassimo qui di decorosi progressi solenni a lenta marcia, ogni esercito che avanza con qualche stereotipata invocazione del Signore degli eserciti, ogni capo un uomo di pietà convenzionale sostenuto da un sacerdozio irreprensibile e sacrifici ordinati, non avremmo avuto prove della verità . Le tradizioni qui conservate, chiunque le abbia raccolte, sono singolarmente prive di quel colore idilliaco che uno scrittore fantasioso si sarebbe sforzato di dare.

Alla fine, di conseguenza, il libro che stiamo leggendo è un vero pezzo di storia, dimostrandosi al di sopra di ogni tipo di sospetto una vera testimonianza di un popolo scelto e guidato a un destino più grande di qualsiasi altra razza umana abbia conosciuto. Un popolo che capisce la sua chiamata e risponde con entusiasmo in ogni momento? Anzi. Il verme è nel cuore d'Israele come di ogni altra nazione, Il carnale attrae, e le grida maligne sovrastano la voce quieta divina; l'aria di Canaan si respira in ogni pagina, e dobbiamo ricordare che stiamo osservando le turbolente acque superiori della nazione e della fede.

Ma l'opera di Dio è chiara; i pensieri divini che credevamo che Israele avesse fiducia per il mondo sono veramente con lui fin dall'inizio, sebbene oscurati dagli altari di Baal e di Astoret. La Parola e il Patto di Geova sono fatti vitali del soprannaturale che circonda quel povero gregge ebreo che lotta e che sbaglia. La teocrazia è un fatto divino in un senso più ampio di quanto sia mai stato attaccato alla parola.

Anche l'ispirazione non è un sogno, perché la storia è carica di indizi dell'ordine spirituale. La luce della fine non realizzata lampeggia sulla lancia e sull'altare, e nel frequente rombo della tempesta si sente la voce dell'Eterno che dichiara giustizia e verità. Nessuna storia per lodare una dinastia o magnificare una nazione conquistatrice o sostenere un sacerdozio. Nulla di così fedele, così fedele al cielo e alla natura umana potrebbe essere fatto da quel motivo. Abbiamo qui un capitolo imperituro nel Libro di Dio.

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