Numeri 11:1-35
1 Or il popolo fece giungere empi mormorii agli orecchi dell'Eterno; e come l'Eterno li udì, la sua ira si accese, il fuoco dell'Eterno divampò fra loro e divorò l'estremità del campo.
2 E il popolo gridò a Mosè; Mosè pregò l'Eterno, e il fuoco si spense.
3 E a quel luogo fu posto nome Taberah, perché il fuoco dell'Eterno avea divampato fra loro.
4 E l'accozzaglia di gente raccogliticcia ch'era tra il popolo, fu presa da concupiscenza; e anche i figliuoli d'Israele ricominciarono a piagnucolare e a dire: "Chi ci darà da mangiare della carne?
5 Ci ricordiamo de' pesci che mangiavamo in Egitto per nulla, de' cocomeri, de' poponi, de' porri, delle cipolle e degli agli.
6 E ora l'anima nostra e inaridita; non c'è più nulla! gli occhi nostri non vedono altro che questa manna".
7 Or la manna era simile al seme di coriandolo e avea l'aspetto del bdellio.
8 Il popolo andava attorno a raccoglierla; poi la riduceva in farina con le macine o la pestava nel mortaio, la faceva cuocere in pentole o ne faceva delle focacce, e aveva il sapore d'una focaccia con l'olio.
9 Quando la rugiada cadeva sul campo, la notte, vi cadeva anche la manna.
10 E Mosè udì il popolo che piagnucolava, in tutte le famiglie, ognuno all'ingresso della propria tenda; 'ira dell'Eterno si accese gravemente, e la cosa dispiacque anche a Mosè.
11 E Mosè disse all'Eterno: "Perché hai trattato così male il tuo servo? perché non ho io trovato grazia agli occhi tuoi, che tu m'abbia messo addosso il carico di tutto questo popolo?
12 L'ho forse concepito io tutto questo popolo? o l'ho forse dato alla luce io, che tu mi dica: Portalo sul tuo seno, come il balio porta il bimbo lattante, fino al paese che tu hai promesso con giuramento ai suoi padri?
13 Donde avrei io della carne da dare a tutto questo popolo? Poiché piagnucola dietro a me, dicendo: Dacci da mangiar della carne!
14 Io non posso, da me solo, portare tutto questo popolo; è un peso troppo grave per me.
15 E se mi vuoi trattare così, uccidimi, ti prego; uccidimi, se ho trovato grazia agli occhi tuoi; e ch'io non vegga la mia sventura!"
16 E l'Eterno disse a Mosè: "Radunami settanta uomini degli anziani d'Israele, conosciuti da te come anziani del popolo e come aventi autorità sovr'esso; conducili alla tenda di convegno, e vi si presentino con te.
17 Io scenderò e parlerò quivi teco; prenderò dello spirito che è su te e lo metterò su loro, perché portino con te il carico del popolo, e tu non lo porti più da solo.
18 E dirai al popolo: Santificatevi per domani, e mangerete della carne, poiché avete pianto agli orecchi dell'Eterno, dicendo: Chi ci farà mangiar della carne? Stavamo pur bene in Egitto! Ebbene, l'Eterno vi darà della carne, e voi ne mangerete.
19 E ne mangerete, non per un giorno, non per due giorni, non per cinque giorni, non per dieci giorni, non per venti giorni, ma per un mese intero,
20 finché vi esca per le narici e vi faccia nausea poiché avete rigettato l'Eterno che è in mezzo a voi, e avete pianto davanti a lui, dicendo: Perché mai siamo usciti dall'Egitto?"
21 E Mosè disse: "Questo popolo, in mezzo al quale mi trovo, novera seicentomila adulti, e tu hai detto: Io darò loro della carne, e ne mangeranno per un mese intero!
22 Si scanneranno per loro greggi ed armenti in modo che n'abbiano abbastanza? o si radunerà per loro utto il pesce del mare in modo che n'abbiano abbastanza?"
23 E l'Eterno rispose a Mosè: "La mano dell'Eterno è forse raccorciata? Ora vedrai se la parola che t'ho detta s'adempia o no".
24 Mosè dunque uscì e riferì al popolo le parole dell'Eterno; e radunò settanta uomini degli anziani del popolo, e li pose intorno alla tenda.
25 E l'Eterno scese nella nuvola e gli parlò; prese dello spirito ch'era su lui, e lo mise sui settanta anziani; avvenne che quando lo spirito si fu posato su loro, quelli profetizzarono, ma non continuarono.
26 Intanto, due uomini, l'uno chiamato Eldad e l'altro Medad, erano rimasti nel campo, e lo spirito si posò su loro; erano fra gl'iscritti, ma non erano usciti per andare alla tenda; e profetizzarono nel campo.
27 Un giovine corse a riferire la cosa a Mosè, e disse: "Eldad e Medad profetizzano nel campo".
28 Allora Giosuè, figliuolo di Nun, servo di Mosè dalla sua giovinezza, prese a dire: "Mosè, signor mio, non glielo permettere!"
29 Ma Mosè gli rispose: "Sei tu geloso per me? Oh! fossero pur tutti profeti nel popolo dell'Eterno, e volesse l'Eterno metter su loro lo spirito suo!"
30 E Mosè si ritirò nel campo, insieme con gli anziani d'Israele.
31 E un vento si levò, per ordine dell'Eterno, e portò delle quaglie dalla parte del mare, e le fe' cadere presso il campo, sulla distesa di circa una giornata di cammino da un lato e una giornata di cammino dall'altro intorno al campo, e a un'altezza di circa due cubiti sulla superficie del suolo.
32 E il popolo si levò, e tutto quel giorno e tutta la notte e tutto il giorno seguente raccolse le quaglie. Chi ne raccolse meno n'ebbe dieci omer; e se le distesero tutt'intorno al campo.
33 Ne avevano ancora la carne fra i denti e non l'aveano peranco masticata, quando l'ira dell'Eterno s'accese contro il popolo, e l'Eterno percosse il popolo con una gravissima piaga.
34 E a quel luogo fu dato il nome di Kibroth-Hattaava, perché vi si seppellì la gente ch'era stata presa dalla concupiscenza.
35 Da Kibroth-Hattaava il popolo partì per Hatseroth, e a Hatseroth si fermò.
LA FATICA DEL VIAGGIO NEL DESERTO
LA STORIA ha accompagnato la marcia d'Israele, ma a breve distanza dal monte di Dio fino a un punto segnato per un accampamento dall'arca dell'alleanza, e già si deve parlare di lamentele, e del rapido giudizio di coloro che si lamentavano. Gli Israeliti hanno fatto una riserva nel loro patto con Dio, che sebbene l'obbedienza e la fiducia siano solennemente promesse, tuttavia sarà concesso di mormorare contro la Sua provvidenza. Avranno Dio per loro protettore, lo adoreranno; ma lascia che renda la loro vita liscia. Si è dovuto sopportare molto che non avevano previsto; e brontolano e parlano male.
Generalmente gli uomini non si rendono conto che il loro mormorio è contro Dio. Non hanno intenzione di accusare la Sua provvidenza. Si lamentano di altri uomini, che vengono sulla loro strada; di incidenti, cosiddetti, di cui nessuno sembra essere responsabile; di regolamenti, abbastanza ben intenzionati, che a un certo punto si rivelano vessatori; l'ottusità e la disattenzione di chi si impegna ma non esegue. E sembra esserci una grande differenza tra il dispiacere per gli agenti umani le cui follie e fallimenti ci provocano, e il malcontento per la nostra sorte e le sue prove.
Allo stesso tempo, va tenuto presente che, mentre ci asteniamo accuratamente dal criticare la Provvidenza, può esserci, alla base delle nostre lamentele, una tacita opinione che il mondo non sia ben fatto né ben ordinato. In una certa misura le persone che ci irritano sono responsabili dei loro errori; ma proprio tra coloro che sono inclini a sbagliare è stata nominata la nostra disciplina. Cingerli è tanto una rivolta contro il Creatore quanto lamentarsi del caldo dell'estate o del freddo dell'inverno.
Con la nostra conoscenza di ciò che è il mondo, di ciò che sono i nostri simili, dovrebbe andare la percezione che Dio governa ovunque e si oppone a noi quando ci risentiamo per ciò che, nel Suo mondo, dobbiamo fare o soffrire. È anche contro coloro che falliscono nel dovere. Eppure non sta a noi essere arrabbiati. Il nostro debito non sarà trattenuto. Anche quando soffriamo di più, è ancora offerto, ancora dato. Mentre ci sforziamo di rimediare ai mali che sentiamo, deve essere senza pensarci che l'ordine stabilito dal Gran Re ci fallisca in qualsiasi momento.
La punizione di coloro che si lamentavano è detta rapida e terribile. "Il fuoco del Signore ardeva in mezzo a loro e divorava all'estremità dell'accampamento". Questo giudizio rientra in un principio assunto in tutto il libro, che il disastro deve colpire i trasgressori e, al contrario, che la morte per pestilenza, terremoto o fulmine è invariabilmente il risultato del peccato. Per gli israeliti questa era una delle convinzioni che mantenevano il senso del dovere morale e del pericolo di offendere Dio.
Più e più volte nel deserto, dove i temporali erano comuni e le piaghe si diffondevano rapidamente, l'impressione era fortemente confermata che l'Altissimo osservasse tutto ciò che veniva fatto contro la sua volontà. Il viaggio a Canaan portò così una nuova esperienza di Dio a coloro che erano stati abituati alle condizioni di clima egualitario e alla relativa salute di cui godevano in Egitto. L'educazione morale del popolo promossa dal risveglio della coscienza riguardo a tutto ciò che accadde a Israele.
Dal disastro di Taberah il racconto passa a un'altra fase di denuncia in cui è stato coinvolto l'intero campo. L'insoddisfazione iniziò tra la "moltitudine mista" - quella folla in qualche modo senza legge di egiziani di bassa casta e gente del Delta e del deserto che si attaccava all'ospite. Tra loro in primo luogo, poiché non avevano assolutamente alcun interesse per la speranza di Israele, sarebbe sorta naturalmente una disposizione a litigare con le loro circostanze.
Ma lo spirito di insoddisfazione crebbe rapidamente e il peso della nuova denuncia era: "Non abbiamo altro che questa manna a cui pensare". La parte del deserto in cui erano ora penetrati i viaggiatori era ancora più sterile di Madian. Finora il cibo era stato alquanto variato da frutta occasionale e dall'abbondante latte di vacche e capre. Ma il pascolo per il bestiame era scarso nel deserto di Paran, e non c'erano alberi di alcun tipo. L'appetito non ha trovato nulla di rinfrescante. La loro anima era seccata.
Era credenza comune ai tempi di nostro Signore che la manna, caduta dal cielo, vero cibo degli angeli, fosse stata così soddisfacente, così deliziosa, che nessun popolo avrebbe potuto essere più favorito di coloro che ne mangiavano. Quando Cristo parlò della carne che dura per la vita eterna, il pensiero dei Suoi uditori si volse immediatamente alla manna come dono speciale di Dio ai loro padri, e concepirono un'aspettativa che Gesù avrebbe dato loro quel pane del cielo, e così avrebbe dimostrato lui stesso degno della loro fede. Ma Egli rispose: "Mosè non ti ha dato quel pane dal cielo, ma il Padre mio ti dà il vero pane dal cielo. Io sono il Pane della Vita".
Nel corso del tempo la manna era stata, per così dire, glorificata. Sembrò alle generazioni successive una delle cose più meravigliose e impressionanti registrate nell'intera storia della loro nazione, questa disposizione fatta per l'ospite errante. C'era l'acqua dalla roccia e c'era la manna. Che benevola Provvidenza aveva vegliato sulle tribù! Come era stato generoso Dio con la gente ai vecchi tempi! Desideravano un segno dello stesso tipo. Goderlo avrebbe restaurato la loro fede e li avrebbe rimessi nell'alta posizione che era stata negata per secoli.
Ma queste nozioni non sono confermate dalla storia come l'abbiamo nel passaggio in oggetto. Nulla si dice del cibo degli angeli, che è un'espressione poetica che un salmista usava nel suo fervore. Qui leggiamo, quanto alla venuta della manna, che quando la rugiada cadeva sul campo di notte, la manna cadeva su di esso, o con esso. E così lungi dall'essere soddisfatta la gente, si lamentavano che invece del pesce e delle cipolle, dei cetrioli e dei meloni d'Egitto, non avevano altro che manna da mangiare.
Il suo sapore è descritto come quello dell'olio fresco. In Esodo si dice che somigliasse a ostie mescolate con miele. Non era il privilegio degli israeliti nel deserto, ma la loro necessità di vivere di questo cibo un po' stucchevole. In nessun senso può essere chiamato ideale. Tuttavia, lamentandosi, erano in grave colpa, tradendo la folle aspettativa che sulla via della libertà non avrebbero avuto privazioni.
E il loro malcontento con la manna divenne presto allarmante per Mosè. Una sorta di isteria si diffuse nel campo. Non solo le donne, ma gli uomini alle porte delle loro tende piangevano la loro dura sorte. Ci fu una tempesta di lacrime e pianti.
Dio, per la sua provvidenza, determinando per gli uomini, realizzando i suoi propri disegni per il loro bene, non permette loro di restare nell'ambito del consueto e del mero conforto. Qualcosa viene portato nella loro vita che agita l'anima. Con una nuova speranza iniziano un'impresa il cui corso e la cui fine non possono prevedere. Il convenzionale, il piacevole, la pace e l'abbondanza dell'Egitto, non possono più essere goduti se l'anima deve avere la sua.
Per mezzo di Mosè Geova convocò gli israeliti dal paese dell'abbondanza per adempiere un'alta missione e quando risposero, fu una prova che c'era in loro abbastanza spirito per un destino insolito. Ma per riuscirci dovevano essere snervati e rafforzati dalla prova. La loro prova era quella mortificazione della carne e del desiderio sensuale che devono essere subiti se si vogliono realizzare le speranze attraverso le quali la mente prende coscienza della volontà di Dio.
Nella nostra storia personale Dio, raggiungendoci con la sua parola, illuminandoci sui veri fini del nostro essere, ci chiama ad iniziare un cammino che non ha capolinea terrena e non promette ricompensa terrena. Possiamo essere abbastanza sicuri di non aver ancora risposto alla Sua chiamata se non c'è nulla del deserto nella nostra vita, nessuna fatica, nessuna avventura, nessuna rinuncia a ciò che è buono in senso temporale per ciò che è buono in senso spirituale .
L'essenza stessa del disegno di Dio riguardo all'uomo è che egli abbandoni l'inferiore e cerchi il più alto, che rinneghi a se stesso ciò che secondo la concezione popolare è la sua vita, per cercare una meta remota ed elevata. Ci sarà un dovere che richiede fede, che richiede speranza e coraggio. Nel farlo avrà prove ricorrenti del suo spirito, necessità di autodisciplina, dure difficoltà di scelta e di azione. Ognuno di questi deve affrontare.
Ciò che è sbagliato in molte vite è che non hanno alcuna tensione in loro come un viaggio nel deserto verso una Canaan celeste, la realizzazione della vita spirituale. L'avventura, quando viene intrapresa, è spesso per procurarsi pesci, meloni e cetrioli via via in maggiore abbondanza e di tipo migliore. Molti vivono appena adesso, non perché sono sulla via della libertà spirituale e dell'alto destino della vita in Dio, ma perché credono di essere sulla via di una migliore posizione sociale, della ricchezza o dell'onore.
Ma prendi la vita che ha iniziato la sua alta impresa nell'urgenza di una vocazione divina, e quella vita troverà durezze, privazioni, pericoli, di sua propria. Non ci è dato di essere assolutamente certi nella decisione e nello sforzo. Nel deserto, anche quando viene fornita la manna e la colonna di nuvola sembra indicare la via, il popolo di Dio corre il pericolo di dubitare se ha agito con saggezza, se non si è preso troppo su di sé o non ha messo troppo sul Signore.
Gli Israeliti avrebbero potuto dire: Abbiamo obbedito a Dio: perché, dunque, il sole dovrebbe colpirci con un calore ardente, e le tempeste di polvere si abbattono sulla nostra marcia, e la notte scende con un freddo così amaro? Fatiche interminabili, nel viaggiare, nel prendersi cura del bestiame e nei lavori domestici, nel piantare le tende e nel percuoterle, nel raccogliere il combustibile, nel cercare cibo in lungo e in largo per il campo, nell'aiutare i bambini, nel trasportare i malati e gli anziani, fatica che non cessò fino a quando fino a tarda notte e doveva essere ripreso con la mattina presto - tali, senza dubbio, erano le cose che rendevano la vita nel deserto fastidiosa.
E sebbene molti abbiano ora un peso più leggero, tuttavia la nostra vita sociale, aggiungendo nuove difficoltà ad ogni miglioramento, le nostre faccende domestiche, la continua lotta necessaria nel lavoro e negli affari, forniscono non poche cause di irritazione e di amarezza. Dio non rimuove i fastidi di mezzo nemmeno dai Suoi devoti servitori. Ricordiamo come Paolo era irritato e gravato mentre portava il pensiero del mondo in un nuovo giorno. Ricordiamo quale peso gravavano sul cuore di Cristo le infermità ei tradimenti degli uomini.
Ringraziamo Dio se a volte sentiamo attraverso il deserto una brezza dalle colline della celeste Canaan, e di tanto in tanto ne scorgiamo scorci lontani. Tuttavia, la manna può sembrare piatta e insipida; la strada può sembrare lunga; il sole può bruciare. Tentati dallo scoraggiamento, abbiamo bisogno di nuovo di assicurarci che è fedele Dio che ci ha dato la sua promessa. E sebbene sembriamo essere condotti non verso la frontiera celeste, ma spesso da parte attraverso strette contaminazioni in qualche regione più arida e lugubre di quella che abbiamo ancora attraversato, il dubbio non fa per noi. Egli conosce la via che prendiamo; quando ci avrà messo alla prova, usciremo dove Egli ha stabilito.
Dal popolo ci rivolgiamo a Mosè e allo sforzo che ha dovuto sopportare come capo. In parte era dovuto al suo senso dell'ira di Dio contro Israele. In una certa misura era responsabile di coloro che guidava, poiché nulla di ciò che aveva fatto era all'infuori della sua volontà. Certamente l'impresa gli era imposta come un dovere; eppure lo intraprese liberamente. Poiché gli Israeliti erano, con quella moltitudine mista tra loro, un elemento abbastanza pericoloso, Mosè aveva personalmente accettato la guida di loro.
E ora il mormorio, il desiderio, il pianto infantile cadono su di lui. Sente di dover stare tra il popolo e Geova. Il comportamento della moltitudine lo infastidisce all'anima; tuttavia deve prendere la loro parte e, se possibile, scongiurare la loro condanna.
La posizione è quella in cui si trova spesso un leader di uomini. Vengono fatte cose che lo offendono personalmente, ma non può volgersi contro i ribelli e gli increduli, perché, se lo facesse, la causa sarebbe persa. Il giudizio divino dei trasgressori ricade su di lui tanto più perché essi stessi ne sono ignari. Il fardello che tale persona deve sostenere indica direttamente il peccato di Cristo.
Ferito all'anima dalle iniquità degli uomini, dovette interporre tra loro e il colpo della legge il giudizio di Dio. E non si può dire che Mosè sia un tipo di Cristo? Il parallelo può essere tracciato; tuttavia l'imperfetta mediazione di Mosè è stata molto lontana dalla perfetta mediazione di nostro Signore. La narrazione qui riflette quella conoscenza parziale del carattere divino che ha reso la mediazione di Mosè umana e sbagliata per tutta la sua grandezza.
Per prima cosa Mosè ha esagerato la propria responsabilità. Egli chiese a Dio: "Perché hai supplicato male il tuo servo? Perché poni su di me il fardello di tutto questo popolo? Sono io loro padre? Devo portare tutta la moltitudine come un padre porta in seno il suo bambino? " Queste sono parole ignoranti, parole sciocche. Mosè è responsabile, ma non fino a quel punto. È giusto che sia addolorato quando gli israeliti fanno il male, ma non è giusto che incarichi Dio di imporre su di lui il dovere di custodirli e portarli come bambini. Parla sconsideratamente con le labbra.
La responsabilità di chi si sforza di guidare gli altri ha i suoi limiti; e l'ambito del dovere è delimitato in due modi: da un lato dalla responsabilità degli uomini per se stessi, dall'altro dalla responsabilità di Dio per loro, dalla cura di Dio per loro. Mosè dovrebbe vedere che nessuna legge o ordinanza lo rende responsabile dei lamenti infantili di coloro che sanno che non dovrebbero lamentarsi, che dovrebbero essere virili e perseverare con cuore coraggioso.
Se le persone che possono andare da sole vogliono essere trasportate, nessuno è responsabile di trasportarle. È colpa loro se vengono lasciati indietro. Se coloro che sanno pensare e scoprono il dovere per se stessi, desiderano costantemente che glielo si addita, bramano l'incoraggiamento quotidiano nel compiere il proprio dovere, e si lamentano perché non sono sufficientemente considerati, il capo, come Mosè, non è responsabile. Ogni uomo deve portare il proprio fardello, cioè deve sopportare il fardello del dovere, del pensiero, dello sforzo, per quanto è possibile.
Poi, d'altra parte, la potenza di Dio è al di sotto di tutto, la sua cura si estende su tutto. Mosè non dovrebbe dubitare per un momento della consapevolezza di Geova del Suo popolo. Gli uomini che ricoprono cariche nella società o nella Chiesa non devono mai pensare che il loro sforzo sia commisurato a quello di Dio. Sarebbe davvero orgoglioso colui che disse: "La cura di tutte queste anime spetta a me: se devono essere salvate, devo salvarle; se periscono, sarò responsabile del loro sangue.
"Parlando per ignoranza e in fretta, Mosè arrivò quasi a tanto; ma il suo errore non si deve ripetere. Il compito della Chiesa e del mondo è di Dio; ed Egli non manca mai di fare per tutti e per ciascuno ciò che è giusto. Il maestro degli uomini, capo degli affari, con piena simpatia e amore infaticabile, faccia tutto ciò che può, ma non si scagli mai sulla responsabilità degli uomini per la propria vita, né si assuma la parte della Provvidenza.
Mosè fece un errore e ne passò un altro. Era nel complesso un uomo di rara pazienza e mansuetudine; tuttavia in questa occasione parlò a Geova in termini di audace risentimento. Il suo grido era quello di sbarazzarsi dell'intera impresa: "Se mi tratti così, uccidimi, ti prego, fuori mano, e fammi non vedere la mia miseria". Sembrava che avesse questo lavoro da fare e nessun altro, apparentemente immaginando che se non fosse stato competente per questo, non avrebbe potuto essere di alcuna utilità al mondo.
Ma anche se avesse fallito come leader, più alto in carica, avrebbe potuto essere abbastanza adatto per un posto secondario, sotto Giosuè o qualche altro che Dio potesse ispirare: questo non riuscì a vedere. E sebbene fosse legato al benessere di Israele, così che se la spedizione non avesse avuto successo, non aveva voglia di vivere, ed era finora sinceramente patriottico, tuttavia a quale fine poteva servire la sua morte? Il desiderio di morire mostra un orgoglio ferito.
Meglio vivere e tornare a essere pastore. Nessun uomo deve disprezzare la propria vita, qualunque essa sia, per quanto possa sembrare inferiore all'alta ambizione che ha nutrito come servo di Dio e degli uomini. Scoprendo che in una linea di sforzo non può fare tutto ciò che vorrebbe, provi gli altri, non preghi per la morte.
La narrazione rappresenta Dio che tratta graziosamente con il suo servo che sbaglia. L'aiuto gli fu fornito dalla nomina di settanta anziani, che dovevano condividere il compito di guidare e controllare le tribù. Questi settanta dovevano avere una parte dello zelo e dell'entusiasmo del capo come il suo. La loro influenza nel campo avrebbe impedito l'infedeltà e lo sconforto che minacciavano di far naufragare l'impresa ebraica.
Inoltre, il mormorio del popolo doveva essere efficacemente messo a tacere. La carne doveva essere data loro fino a che non la detestassero. Dovrebbero imparare che la soddisfazione del desiderio ignorante significava punizione piuttosto che piacere.
La promessa della carne fu prontamente adempiuta da uno straordinario volo di quaglie, allevate, secondo il Salmo settantottesimo, da un vento che soffiava da sud e da est, cioè dal Golfo Elanitico. Queste quaglie non possono sostenersi a lungo sull'ala, e dopo aver attraversato il deserto per circa trenta o quaranta miglia sarebbero a malapena in grado di volare. L'enorme numero di loro che aleggiava intorno al campo non è al di là delle normali possibilità.
Uccelli di questo genere migrano in certe stagioni in moltitudini così enormi che nella piccola isola di Capri, vicino a Napoli, centosessantamila sono state catturate in una stagione. Quando erano esausti, sarebbero stati facilmente presi mentre volavano ad un'altezza di circa due cubiti dal suolo. Tutto il campo era impegnato nella cattura delle quaglie da una mattina fino alla sera del giorno seguente; e la quantità era così grande che colui che raccolse meno ebbe dieci homer, probabilmente un mucchio stimato di quella misura. Per conservarli per un ulteriore utilizzo gli uccelli venivano preparati e stesi sul terreno ad asciugare al sole.
Quando l'epidemia di pianto scoppiò nell'accampamento, a Mosè venne il dubbio se ci fosse qualche qualità spirituale nel popolo, qualche idoneità al dovere o un destino di tipo religioso. Sembravano tutti miscredenti per i quali era stata sprecata la bontà di Dio e la sacra istruzione. Erano terreni e sensuali. Come potrebbero mai confidare in Dio abbastanza da raggiungere Canaan? O se lo raggiungessero, come sarebbe giustificata la loro occupazione di esso? Avrebbero solo formato un'altra nazione pagana, tanto più che una volta avevano conosciuto il vero Dio e lo avevano abbandonato.
Ma una visione diversa delle cose fu presentata a Mosè quando gli anziani eletti, uomini di valore, furono radunati nella tenda del convegno, e su un impulso improvviso dello Spirito iniziò a profetizzare. Mentre questi uomini in un linguaggio forte ed estatico proclamavano la loro fede, Mosè ritrovò la sua fiducia nella potenza di Geova e nel destino di Israele ristabilita. La sua mente fu immediatamente sollevata dal fardello della responsabilità e dal timore di un'estinzione della luce celeste che era stato il mezzo di accendere tra le tribù. Se ci fossero settanta uomini capaci di ricevere lo Spirito di Dio, potrebbero essercene centinaia, persino migliaia. Si apre una primavera di nuovo entusiasmo e il futuro di Israele è di nuovo possibile.
Ora c'erano due uomini, Eldad e Medad, che erano dei settanta, ma non erano venuti alla tenda del convegno, dove lo spirito profetico cadde sugli altri. Non avevano sentito la convocazione, possiamo supporre. Ignari di ciò che stava avvenendo al tabernacolo, ma comprendendo l'onore loro conferito, forse erano impegnati in normali doveri, o, avendo riscontrato un certo bisogno della loro interferenza, potrebbero aver rimproverato i mormoratori e cercato di ristabilire l'ordine tra gli indisciplinati .
E improvvisamente anche loro, sotto la stessa influenza degli altri sessantotto, cominciarono a profetizzare. Lo spirito di serietà li colse. Con la stessa estasi dichiararono la loro fede e lodarono il Dio d'Israele.
C'era in un certo senso una limitazione dello spirito di profezia, qualunque esso fosse. Di tutto l'ospite solo i settanta lo ricevettero. Altri uomini buoni e veri in Israele quel giorno avrebbero potuto sembrare capaci dell'investitura celeste come coloro che profetizzavano. Era, tuttavia, in armonia con un noto principio che solo gli uomini designati a un ufficio speciale ricevevano il dono. Il senso di una scelta sentita come quella di Dio esalta indiscutibilmente la mente e lo spirito degli eletti.
Si rendono conto che stanno più in alto e devono fare di più per Dio e per gli uomini che per gli altri, che sono ispirati a dire ciò che altrimenti non potrebbero osare dire. La limitazione dello Spirito in questo senso non è invariabile, non è rigida. In nessun momento della storia del mondo la chiamata all'ufficio è stata indispensabile al fervore e al coraggio profetici. Eppure la sequenza è sufficientemente comune per essere chiamata una legge.
Ma mentre in un certo senso c'è restrizione dell'influenza spirituale, in un altro senso non c'è restrizione. L'afflato divino non è limitato a coloro che si sono radunati al tabernacolo. Non è il luogo o l'occasione che fa i profeti; è lo Spirito, potenza dall'alto che entra nella vita; e fuori nel campo i due hanno la loro parte di nuova energia e zelo. L'influenza spirituale, quindi, non è confinata a nessun luogo particolare.
Né il quartiere del tabernacolo era così santo che solo lì gli anziani potevano ricevere il loro dono; né nessun luogo di incontro, nessuna chiesa, è capace di una tale consacrazione e identificazione singolare con il servizio di Dio che solo lì la potenza dello Spirito Divino può essere manifestata o ricevuta. Ci sia un uomo scelto da Dio, pronto, per i doveri di una santa chiamata, e su quell'uomo verrà lo Spirito, dovunque si trovi, in qualunque cosa sia impegnata.
Può essere impiegato in un lavoro comune, ma nel farlo sarà spinto al servizio e alla testimonianza sinceri. Potrebbe essere impegnato, tra grandi difficoltà, a ripristinare la giustizia che è stata compromessa da errori sociali e raggiri politici - e le sue parole saranno profetiche; sarà testimone di Dio per coloro che sono senza fede, senza santo timore.
Mentre Eldad e Medad profetizzavano nell'accampamento, un giovane che li aveva uditi corse premurosamente ad informare Mosè. Per questo giovane come per gli altri - senza dubbio erano molti che amavano e veneravano il solito - i due anziani erano sciocchi presuntuosi. Il campo era, come si dice, laico: no? La gente nel campo si occupava delle faccende ordinarie, badava al bestiame, picchiava e negoziava, litigava per sciocchezze, mormorava contro Mosè e contro Dio.
Era giusto profetizzare lì, portando parole e idee religiose nel mezzo della vita comune? Se Eldad e Medad potevano profetizzare, che vadano al tabernacolo. E inoltre, che diritto avevano di parlare per conto di Geova, nel nome di Geova? Non era Mosè il profeta, l'unico profeta? Israele era abituato a pensarlo così, si sarebbe attenuto a quell'opinione. Sarebbe fonte di confusione se alla porta della tenda di qualcuno un profeta potesse iniziare a parlare senza preavviso.
Così il giovane pensò che fosse suo dovere correre e dire a Mosè cosa stava succedendo. E Giosuè, quando lo udì, si allarmò e chiese a Mosè di porre fine al ministero irregolare. "Mio signore Mosè, proibisci loro", disse. Era geloso non per se stesso e per gli altri anziani, ma per amore di Mosè. Finora solo il capo era in comunicazione con Geova e parlava in suo nome; e c'era forse qualche ragione per l'allarme di Giosuè, più di quanto fosse evidente a quel tempo.
Avere un'autorità centrale era meglio e più sicuro che avere molte persone che usavano il diritto di parlare in qualsiasi senso per conto di Dio. Chi poteva essere sicuro che queste nuove voci sarebbero state d'accordo con Mosè sotto ogni aspetto? Anche se lo facessero, non potrebbero esserci divisioni nel campo, nuovi sacerdozi e nuovi oracoli? I profeti potrebbero non essere sempre saggi, sempre veramente ispirati. E di tanto in tanto potrebbero esserci falsi profeti, anche se Eldad e Medad non fossero falsi.
Allo stesso modo si potrebbe sostenere ora che c'è pericolo quando uno qui e l'altro là assumono autorità come rivelatori della verità delle cose. Alcuni, pieni della propria saggezza, si elevano come critici e maestri della religione. Altri immaginano che con il diritto di indossare un certo vestito sia arrivato loro il completo equipaggiamento del profeta. E altri ancora, ricordando come Elia e Giovanni Battista si vestirono di panno ruvido e cintura di cuoio, assumono quell'abito, o ciò che gli corrisponde, e affermano di avere il dono profetico perché esprimono la voce del popolo.
Quindi ai nostri giorni c'è da chiedersi se Eldad o Medad, profetizzando nel campo, debbano essere fidati o addirittura autorizzati a parlare. Ma chi deve decidere? Chi lo assumerà per far tacere le voci? La vecchia maniera era ruvida e pronta. Tutti coloro che erano in carica in una certa Chiesa erano incaricati di interpretare i misteri divini; agli altri fu ordinato di tacere, pena la reclusione. Coloro che non insegnavano come insegnava la Chiesa, sotto la sua direzione, venivano fatti delinquenti contro il benessere pubblico.
In questo modo, tuttavia, è stato trovato carente e la "libertà di profetizzare" è pienamente consentita. Con la libertà sono arrivate abbastanza difficoltà e pericoli. Eppure "provare gli spiriti se sono di Dio" è la nostra disciplina sulla via della vita.
La risposta di Mosè alla richiesta di Giosuè anticipa non poco la dottrina della libertà. "Sei geloso per causa mia? Vorrebbe Dio che tutto il popolo del Signore fosse profeta e che il Signore mettesse su di esso il suo Spirito". La sua risposta è quella di un'ampia e magnanima tolleranza. Mosè non può infatti aver creduto che le grandi verità religiose fossero alla portata di ogni uomo e che qualsiasi anima sincera potesse ricevere e comunicare quelle verità.
Ma la sua concezione di un popolo di Dio è simile a quella della profezia di Gioele, dove parla di ogni carne ricoperta dallo Spirito, i vecchi e i giovani, i figli e le figlie, resi ugualmente capaci di testimoniare di ciò che hanno visto e sentito. Il vero grande uomo non nutre gelosie degli altri. Si compiace di vedere in altri occhi il lampo dell'intelligenza celeste, di trovare altre anime fatte canali della rivelazione divina.
Non avrebbe il monopolio della conoscenza e della profezia sacra. Mosè aveva istituito un sacerdozio esclusivo; ma qui spalanca la porta dell'ufficio profetico. Tutti coloro che Dio dona sono dichiarati liberi in Israele di usare quell'ufficio.
Possiamo solo meravigliarci che ancora qualsiasi ordine di uomini dovrebbe cercare in nome della Chiesa di chiudere la bocca a coloro che si approvano riverenti studiosi della Parola Divina. Allo stesso tempo, non si dimentichi che il potere della profezia non è un dono casuale, una facoltà facile. Colui che deve parlare in nome di Dio deve davvero conoscere la mente di Dio. Come si può rivendicare il diritto di istruire altri che non hanno mai aperto la propria mente alla voce divina, che non ha confrontato con riverenza la Scrittura con la Provvidenza e tutte le fasi della rivelazione che si dispiegano nella coscienza e nella vita umana? Gli uomini che tracciano un cerchio ristretto e mantengono i loro pensieri all'interno di esso non possono mai diventare profeti.
I versi conclusivi del capitolo raccontano della peste che cadde sui lussuriosi e della sepoltura di coloro che ne morirono, in un luogo chiamato Kibrothhattaavah. La gente aveva il suo desiderio, e questo ha portato loro il giudizio. Qui nella storia d'Israele è scritto un doveroso monito; ma quanti leggono senza capire! E così, ogni giorno la stessa piaga miete le sue vittime e vengono scavate "tombe della lussuria". Il predicatore trova ancora in questa porzione della Scrittura un soggetto che non cessa mai di pretendere di essere trattato, qualunque siano le condizioni sociali.