Commento biblico dell'espositore (Nicoll)
Romani 16:1-27
Capitolo 32
UN RICONOSCIMENTO; I SALUTI; UN AVVERTIMENTO; UNA DOSSOLOGIA
Ancora una volta, con riverente licenza di pensiero, possiamo immaginarci di assistere minuziosamente alla scena in casa di Gaio. Di ora in ora è trascorsa su Paolo e il suo scriba mentre il meraviglioso Messaggio si è sviluppato, insieme e dovunque parola dell'uomo e Parola di Dio. Hanno cominciato al mattino, e i temi del peccato, della giustizia e della gloria, del presente e del futuro di Israele, dei doveri della vita cristiana, dei problemi speciali della Missione Romana, hanno portato le ore fino a mezzogiorno , al pomeriggio. Ora, all'osservatore dal reticolo verso ovest,
"Lentamente sprofonda, più amabile prima che la sua corsa sia corsa, Lungo le colline di Morea il sole al tramonto; Non, come nei climi del nord, oscuramente luminoso, Ma un bagliore senza nuvole di luce vivente."
L'Apostolo, passeggiando per la camera, come sono soliti fare gli uomini quando usano le penne degli altri, è consapevole che il suo messaggio è finito, quanto a dottrina e consiglio. Ma prima di dire alla sua volenterosa e curiosa segretaria di riposarsi dalle sue fatiche, deve liberare il proprio cuore dai pensieri e dagli affetti personali che vi sono rimasti pronti per tutto il tempo, e che le sue ultime parole sulla sua prossima visita alla Città hanno cresciuto in tutta la loro vita e calore.
E ora Paolo e Terzio non sono più soli; altri fratelli hanno trovato la strada per la camera: Timoteo, Lucio, Giasone, Sosipatro; Gaio stesso; Quarto; e non meno vicino di Erasto, tesoriere di Corinto. Una pagina di messaggi personali deve ancora essere dettata, da San Paolo, e dai suoi amici.
Ora, per prima cosa, non deve dimenticare la pia donna che è - così possiamo sicuramente supporre - che prenderà in carico questo inestimabile pacco e lo consegnerà a Roma. Non sappiamo nulla di Phoebe se non da questa breve menzione. Forse non possiamo essere formalmente certi che sia qui descritta come una donna funzionaria della Chiesa, una "diaconessa" nel senso di quella parola familiare negli sviluppi successivi dell'ordine della Chiesa: una donna messa a parte mediante l'imposizione delle mani, incaricata di indagare su e alleviare l'angoscia temporale, e di essere l'insegnante delle investigatrici nella missione.
Ma c'è almeno una grande probabilità che qualcosa del genere fosse la sua posizione; perché non era semplicemente una cristiana attiva, era "un ministro della Chiesa". Ed era certamente, come persona, degna di fiducia e di amorevole lode, ora che qualche causa - a noi assolutamente sconosciuta; forse niente di più insolito di un cambio di residenza, obbligato da circostanze private - la portò dall'Acaia in Italia.
Era stata una devota e sembrerebbe particolarmente un'amica coraggiosa dei convertiti in difficoltà, e dello stesso san Paolo. Forse nel corso delle sue visite alla desolazione aveva combattuto dure battaglie di protesta, dove aveva trovato asprezze e oppressioni. Forse aveva perorato la causa dimenticata dei poveri, con il coraggio di una donna, davanti a qualche "fratello" più ricco e negligente.
Allora la stessa Roma, come vede Febe raggiungerla, si alza, ancora solo nella fantasia; gli era ancora sconosciuto, nella sua mente. E lì, muovendosi su e giù in quello strano e quasi orribile mondo, vede uno ad uno i membri di un folto gruppo di suoi personali amici cristiani, e le sue amate Aquila e Prisca sono le più visibili di tutte. Questi devono essere salutati individualmente.
Quale fosse la natura di queste amicizie sappiamo in alcuni casi, perché qui ci viene detto. Ma perché le persone fossero a Roma, nel luogo che Paolo stesso non aveva mai raggiunto, non lo sappiamo, né lo sapremo mai. Molti studiosi dell'Epistola, è risaputo, trovano una seria difficoltà in questa lista di amici così collocati: le persone così familiari, il luogo così strano; e vorrebbero che prendessimo questo sedicesimo capitolo come un frammento di qualche altra Lettera, messa qui per sbaglio; o cosa no.
Ma nessuna copia antica dell'Epistola ci dà, per la sua condizione, alcun fondamento reale per tali congetture. E tutto ciò che dobbiamo fare per realizzare delle possibilità nelle caratteristiche reali del caso, è presumere che molti almeno di questo grande gruppo romano, come sicuramente Aquila e Prisca, fossero recentemente migrati dal Levante a Romano; una migrazione tanto comune e facile quanto il moderno afflusso di cittadini stranieri a Londra.
Il Vescovo Lightfoot, in un Excursus nella sua edizione della Lettera di Filippi, ci ha dato motivo di pensare che non pochi dei "Romani" qui nominati da San Paolo fossero membri di quella "Casa di Cesare" di cui in tempi successivi egli parla ai Filippesi Filippesi 4:22 come contenenti i suoi "santi", santi che inviano saluti speciali ai fratelli macedoni.
La Domus Caesaris comprendeva "l'intera casa imperiale, gli schiavi più meschini, nonché i cortigiani più potenti"; «tutte le persone al servizio dell'Imperatore, sia schiavi che liberi, in Italia e anche nelle province». La letteratura delle iscrizioni sepolcrali a Roma è particolarmente ricca di allusioni ai membri della "Famiglia". Ed è da questa parte, in particolare dalle scoperte in esso fatte all'inizio del secolo scorso, che Lightfoot ha buone ragioni per pensare che in Filippesi 4:22 potremmo, molto probabilmente, leggere un saluto da Roma inviato dalle stesse persone ( parlando a voce alta) che qui sono salutati nella Lettera a Roma.
Un luogo di sepoltura sulla via Appia, dedicato alle ceneri di liberti e schiavi imperiali, e altri simili recipienti, tutti databili con certezza pratica intorno al periodo medio del I secolo, danno i seguenti nomi: Amplias, Urbanus, Stachys , Apelle, Trifena, Trifosa, Rufo, Ermete, Erma, Filologo, Giulio, Nereide; un nome che avrebbe potuto indicare la sorella (vedi Romani 16:15 ) di un uomo Nereus.
Naturalmente tali fatti devono essere usati con il dovuto riserbo nell'inferenza. Ma chiariscono abbondantemente che, nelle parole di Lightfoot, "i nomi e le allusioni alla fine dell'epistola romana sono in linea con le circostanze della metropoli ai tempi di San Paolo". Ci aiutano a una verità perfettamente come la teoria. Dobbiamo solo supporre che tra i convertiti e gli amici di san Paolo in Asia e nell'Europa orientale molti o appartenessero già all'onnipresente "Famiglia", o vi entrassero dopo la conversione, come schiavi acquistati o in altro modo; e che qualche tempo prima che la nostra Lettera fosse scritta c'era una grande bozza dal dipartimento provinciale a quello metropolitano; e che così, quando S.
Paolo pensava agli amici cristiani personali a Roma, gli sarebbe capitato di pensare, principalmente, ai "santi della casa di Cesare". Una simile teoria aiuterebbe, tra l'altro, anche a spiegare l'enfasi con cui proprio questi "santi" inviarono il loro saluto, in seguito, a Filippi. Molti di loro potrebbero aver vissuto in Macedonia, e particolarmente nella colonia di Filippi, prima del tempo del loro presunto trasferimento a Roma.
Possiamo aggiungere, dalla discussione di Lightfoot, una parola sulle "famiglie" o "persone" - di Aristobulo e Narciso - menzionate nei saluti prima di noi. Sembra almeno probabile che l'Aristobulo dell'Epistola fosse nipote di Erode il Grande e fratello di Agrippa di Giudea; un principe che visse e morì a Roma. Alla sua morte non sarebbe improbabile che la sua "famiglia" passasse per eredità all'Imperatore, mentre manterrebbero ancora, come una sorta di clan, il nome del loro vecchio padrone.
I servi di Aristobulo, probabilmente molti dei quali ebrei (Erodion, parente di san Paolo, potrebbe essere stato un servitore di questo Erode), farebbero quindi ora parte della "casa di Cesare" e i cristiani tra loro sarebbero un gruppo dei "santi della famiglia". Quanto al Narciso dell'Epistola, potrebbe essere stato l'onnipotente liberto di Claudio, messo a morte all'inizio del tempo di Nerone. Alla sua morte, la sua grande famiglia sarebbe diventata, per confisca, parte della "Casa"; ei suoi membri cristiani sarebbero considerati da San Paolo come tra "i santi della famiglia".
Così è almeno possibile che le sante vite, che qui passano in così rapida fila davanti a noi, siano state vissute non solo a Roma, ma in un rapporto più o meno stretto con il servizio e gli affari della corte di Nerone. Così liberamente la grazia prende alla leggera le circostanze.
Ora è il momento di venire dai nostri preliminari al testo.
Ma - la parola può segnare il movimento del pensiero dal suo stesso ritardo nel raggiungerli fino all'immediata venuta di Phoebe - vi raccomando Phoebe, nostra sorella (questa donna cristiana portava, senza cambiamento e senza rimprovero, il nome della Dea della Luna di i Greci), essendo un ministrante della Chiesa che è a Cencre, porto egeo di Corinto; che l'accogliate, nel Signore, come una compagna del suo Corpo, in modo degno dei santi, con tutto il rispetto e l'affetto del Vangelo, e che le stiate accanto in ogni cosa in cui ella potrebbe aver bisogno di te, straniera come sarà a Roma. Perché lei da parte sua si è dimostrata un sostenitore (quasi un campione, uno che difende gli altri) di molti, sì, e di me tra loro.
Salutate Prisca e Aquila, mie colleghe in Cristo Gesù; gli amici che per il bene della mia vita hanno sottoposto la propria gola al coltello (è stato in una crisi severa per il resto del tutto sconosciuta a noi, ma ben nota in cielo); al quale non solo rendo grazie, ma anche tutte le Chiese delle Nazioni; poiché hanno salvato l'uomo che il Signore ha consacrato al servizio del mondo dei pagani. E la Chiesa a casa loro saluta con loro; cioè i cristiani del loro quartiere, che usavano la grande sala dell'Aquila come loro casa di preghiera; l'embrione della nostra parrocchia o Chiesa distrettuale.
Questa disposizione di un luogo di culto era un antico uso di questa santa coppia, che l'affetto quasi riverente di san Paolo ci presenta in una così viva individualità. Avevano radunato "una Chiesa domestica" a Corinto, non molti mesi prima. 1 Corinzi 16:19 E ancora prima, a Efeso, Atti degli Apostoli 18:26 esercitavano una tale influenza cristiana che dovevano essere stati un punto centrale di influenza e di raccolta anche lì.
In Prisca, o Priscilla, come è stato osservato, abbiamo «un esempio di ciò che una donna sposata può fare, per il servizio generale della Chiesa, in concomitanza con i doveri domestici, così come Febe è il tipo della serva non sposata di la Chiesa, o diaconessa».
Salutate Epeeneto, mio diletto, che è la primizia dell'Asia, cioè della Provincia di Efeso, a Cristo; senza dubbio uno che "doveva l'anima sua" a san Paolo in quei tre anni di pastorale missionaria ad Efeso, e che ora era legato a lui dal legame indescrivibile che fa il convertitore e il convertito.
Salutate Mary, probabilmente un'ebrea, Miriam o Maria, perché ha lavorato duramente per voi; quando e come non possiamo saperlo.
Salutate Andronico e Giunia, funiano, i miei parenti ei miei compagni di prigionia nella guerra di Cristo; un riferimento amorevole e memore ai rapporti umani che così liberamente, ma non alla leggera, aveva sacrificato per Cristo, ea qualche battaglia di persecuzione (fu a Filippi?) quando questi bravi uomini avevano condiviso la sua prigione; uomini che si sono distinti tra gli apostoli; o come essi stessi, in senso secondario, devoti "apostoli", delegati missionari di Cristo, sebbene non dell'Apostolato proprio, o come onorati al di sopra del comune, per il loro tributo e il loro carattere, dalla Confraternita Apostolica; che anche prima di me furono, come sono, in Cristo.
Non è improbabile che questi due primi convertiti aiutarono a "pungolare" Atti degli Apostoli 26:14 la coscienza del loro parente che ancora perseguitava, ea preparare la via di Cristo nel suo cuore.
Salutate Amplias, Ampliatus, mio diletto nel Signore; sicuramente un suo convertito personale.
Saluta Urbanus, mio collaboratore in Cristo, e Stachys, un altro nome maschile, mio amato.
Salutate Apelle, che mise alla prova l'uomo in Cristo; il Signore sa, non noi, le prove che ha sostenuto.
Salutate coloro che appartengono al popolo di Aristobulo.
Saluta Erodione, mio parente.
Salutate coloro che appartengono al popolo di Narciso; quelli che sono nel Signore.
Salutate Trifena e Trifosa (quasi certamente, dal tipo dei loro nomi, schiave), che faticano nel Signore, forse come "servi della Chiesa", per quanto il servizio terreno permetterebbe loro.
Salutate Persis, la donna amata (con ineccepibile delicatezza non dice qui "la mia diletta", come aveva detto dei cristiani sopra menzionati), perché ha faticato duramente nel Signore; forse in un momento in cui St. Paul l'aveva osservata in una vecchia casa più orientale.
Saluta Rufo, forse il Rufo di Marco 15:21 , fratello di Alessandro e figlio di Simone che porta la croce; la famiglia era evidentemente nota a san Marco, e abbiamo buoni motivi per pensare che san Marco scrisse principalmente per i lettori romani: Rufo, l'uomo eletto nel Signore, un santo dell'élite; e sua madre... e mia! Questa donna senza nome aveva fatto la parte di madre, in qualche modo e da qualche parte, al missionario senza madre, e la sua amorevole gentilezza è registrata ora
"In entrambi i libri della vita, qui e sopra."
Salutate Asincrito, Flegone, Erma, Patroba, Ermete ei fratelli che sono con loro; abitanti forse in qualche quartiere isolato e lontano di Roma, una chiesetta tutta loro.
Salutate Filologo e Giulia, Nereo e sua sorella e tutti i santi che sono con loro nella loro assemblea.
Salutatevi con un bacio sacro; il pegno orientale di amicizia e di rispetto. Vi salutano tutte le Chiese di Cristo; Corinto, Cencre, "con tutti i santi di tutta l'Acaia". 2 Corinzi 1:1
L'albo dei nomi è finito, con la sua musica, quella caratteristica sottile di tali recitazioni di personalità umane, e con il suo fascino commovente per il cuore dovuto quasi ugualmente ai nostri barlumi di informazioni su uno qui e uno là e alla nostra totale ignoranza sugli altri ; un'ignoranza di tutto su di loro, ma che erano a Roma, e che erano in Cristo. Ci sembra, per uno sforzo d'immaginazione, di vedere, come attraverso una nuvola luminosa, i volti della compagnia, e di cogliere le voci lontane; ma il sogno "si dissolve in relitti"; non li conosciamo, non conosciamo il loro mondo lontano, ma conosciamo Colui in cui erano e sono; e che sono stati "con Lui, che è molto meglio", per ora tanto tempo di riposo e di gloria.
Alcuni senza dubbio per morte di terrore e meraviglia, per il fuoco, per le orribili bestie feroci, "partirono per stare con lui"; alcuni se ne andarono, forse, con un congedo tanto gentile quanto l'amore e l'immobilità potevano farlo. Ma comunque, erano del Signore; sono con il Signore. E noi, in Lui,
"Anch'essi tendono verso l'alto, più veloce che può muoversi il tempo."
Quindi osserviamo questa compagnia sconosciuta ma ben amata, con un senso di comunione e aspettativa impossibile da Cristo. Questa pagina non è una semplice reliquia del passato; è un elenco di amicizie da stringere in futuro, e da possedere per sempre, nella vita senza fine in cui la personalità sarà davvero eterna, ma dove anche l'unione delle personalità, in Cristo, sarà al di là del nostro massimo pensiero presente.
Ma l'Apostolo non può chiudere con questi messaggi d'amore. Ricorda un altro e ansioso bisogno, un grave pericolo spirituale nella comunità romana. Non vi ha nemmeno accennato prima, ma ora deve essere trattato, per quanto brevemente, ora:
Ma vi esorto, fratelli, a vigilare sulle persone che fanno le divisioni e gli inciampi che conoscete, estranei all'insegnamento che avete appreso (si pone l'accento su "voi", quasi a differenziare i sinceri convertiti da questi disturbatori); -e allontanati da loro; vai e tieniti lontano dalla loro strada; saggio consiglio per una pacifica ma efficace resistenza. Tali persone infatti non sono servi di nostro Signore Gesù Cristo, ma sono servi del proprio ventre.
Parlano molto di una libertà mistica; e sono davvero liberi dal dominio accettato del Redentore, ma tanto più sono schiavi di se stessi; e col loro pio linguaggio e le loro pretese suppliche seducono del tutto i cuori dei semplici, degli insospettabili. E possono forse avere speciali speranze di sedurti, per la tua ben nota disponibilità a sottometterti, con la sottomissione della fede, a verità sublimi; un carattere nobile, ma che richiede inevitabilmente le salvaguardie di una prudenza intelligente: poiché la vostra obbedienza, "l'obbedienza della fede", mostrata quando il Vangelo vi è pervenuto, è stata portata a conoscenza di tutti gli uomini, e così a questi ingannatori, che ora sperano di sedurre la tua fede fuori strada.
Riguardo a te, dunque, guardando solo alla tua condizione personale, mi rallegro. Solo io desidero che tu sia saggio in ciò che è bene, ma incontaminato (contaminando la conoscenza) in ciò che è male. Non avrebbe avuto la loro santa disponibilità a credere distorta in una curiosità sconsacrata e falsamente tollerante. Avrebbe avuto la loro fede non solo sottomessa ma spiritualmente intelligente; allora sarebbero vivi ai rischi di un "Vangelo" contraffatto e illusorio.
"Sentirebbero, come con un istinto cristiano colto, dove decisamente trattenersi, dove rifiutare l'attenzione a insegnamenti non salutari. Ma il Dio della nostra pace schiaccerà rapidamente Satana sotto i vostri piedi. Questo male spirituale, contorcendosi, come il serpente del Paradiso, nei tuoi felici recinti, non è altro che uno stratagemma proprio del grande Nemico, un movimento del suo misterioso antagonismo personale verso il tuo Signore e verso te il suo popolo.
Ma il Conquistatore del Nemico, operando in te, renderà la lotta breve e decisiva. Incontra l'incursione nel nome di Colui che ha fatto la pace per te e opera la pace in te, e presto sarà finita. La grazia di nostro Signore Gesù Cristo. essere (o non possiamo renderla?) con te.
Che cos'era precisamente la malizia, chi erano appunto i pericolosi maestri, di cui qui parlava così bruscamente e con tanta urgenza san Paolo? È più facile fare la domanda che rispondere. Alcuni espositori hanno cercato una soluzione nei capitoli XIV e XV, e hanno trovato in una scuola estrema di "libertà" teorica questi uomini di "lingua pia e suppliche capziose". Ma a noi questo sembra impossibile.
Quasi esplicitamente, in quei Capitoli, si identifica in linea di principio con "il capace"; certamente non c'è un sussurro di orrore per quanto riguarda il loro principio, e nient'altro che un amichevole, seppur senza riserve, rimprovero per l'iniquità della loro pratica. Qui ha in mente uomini i cui scopi e i cui insegnamenti non sono altro che malvagi; che devono essere, non certo perseguitati, ma evitati; non si è riunito in conferenza, ma ha solennemente rifiutato un'ulteriore udienza.
A nostro avviso, il caso era uno gnosticismo embrionale. I romani, così pensiamo, erano turbati da maestri che usavano il linguaggio del cristianesimo, dicendo molto di "Redenzione", e di "Emancipazione", e qualcosa di "Cristo" e di "Spirito"; ma per tutto il tempo significavano una cosa totalmente diversa dal Vangelo della Croce. Per redenzione e libertà intendevano la liberazione dello spirito dalla materia.
Per Cristo e lo Spirito intendevano, semplici anelli di una catena di esseri fantasma, che si supponeva attraversassero l'abisso tra l'Esistenza Assoluta Inconoscibile e il Mondo finito. E la loro morale troppo spesso tendeva al principio che poiché la materia era irrimediabilmente malvagia e lo spirito lo sfortunato prigioniero nella materia, il corpo materiale non aveva nulla a che fare con il suo involontario e puro Abitante: lascia che il corpo segua la sua malvagia via, e elaborare i suoi desideri di base.
Il nostro schizzo è tratto dallo gnosticismo sviluppato, come è noto per essere stato una o due generazioni dopo San Paolo. Ma è più che probabile che tali errori siano stati presenti, in sostanza, per tutta l'età apostolica. Ed è facile vedere come abbiano potuto fin dall'inizio camuffarsi nella terminologia speciale del Vangelo della libertà e dello Spirito.
Queste cose possono sembrarci, dopo milleottocento anni, solo come fossili di antiche rocce. Sono davvero esemplari fossili, ma di specie esistenti. L'atmosfera del mondo cristiano è ancora infetta, di volta in volta - forse più ora che qualche generazione fa, qualunque cosa ciò significhi - di malsane sottigliezze, in cui le forme più pure della verità sono indescrivibilmente manipolate nel più mortale errore correlato; una malizia destinata a tradirsi, tuttavia, (dove l'uomo tentato di parlare con essa è insieme vigile e umile), per qualche fatale difetto di orgoglio, o di menzogna, o di un'impurità per quanto sottile.
E per il credente così tentato, in circostanze comuni, non c'è ancora, come un tempo, nessun consiglio più importante di quello di San Paolo qui. Se vuole affrontare tali insidie nel modo giusto, deve "allontanarsene". Deve volgersi al Cristo della storia. Deve occuparsi di nuovo del Vangelo primordiale del perdono, della santità e del cielo.
La lettera deve essere chiusa qui finalmente? Non ancora; non prima che l'uno e poi l'altro della cerchia riunita gli abbia dedicato i suoi saluti. E per primo sale il caro Timoteo, l'uomo più vicino di tutti al cuore forte dell'Apostolo. Ci sembra di vederlo vivo davanti a noi, tanto San Paolo, in una Lettera e nell'altra, ma soprattutto nella sua lettera morente allo stesso Timoteo, ha contribuito a un ritratto.
È di molti anni più giovane del suo leader e padre cristiano. Il suo volto, pieno di pensieri, sentimenti e devozione, è piuttosto serio che forte. Ma ha la forza della pazienza, e della sincerità assoluta, e del riposo in Cristo. Timoteo ripaga l'affetto di Paolo con incrollabile fedeltà. E sarà fedele fino alla fine al suo Signore e Redentore, attraverso qualunque lacrima e agonia della sensibilità.
Allora parlerà Lucio, forse il Cireneo di Antiochia; Atti degli Apostoli 13:1 e Giasone, forse il convertito di Tessalonica; Atti degli Apostoli 17:5 e Sosipater, forse il Sopater bereano di Atti degli Apostoli 20:4 ; tre consanguinei dell'Apostolo, il quale non era rimasto del tutto solo delle affinità umane, benché le avesse deposte tutte ai piedi del suo Maestro.
Quindi il fedele Tertius rivendica il meritato privilegio di scrivere una frase per se stesso. E Caio chiede modestamente il suo saluto, ed Erasto, uomo di dignità civile e di grandi affari. Non ha trovato discordia tra il possesso di un grande ufficio secolare e la vita di Cristo; ma oggi è solo un fratello con i fratelli, chiamato fianco a fianco con il Quartus il cui unico titolo è quello bello, "il fratello", "il nostro compagno nella famiglia di Dio". Così gli amici riuniti parlano ciascuno a turno ai cristiani della Città; ascoltiamo mentre vengono dati i nomi:
Vi salutano Timoteo, mio compagno di lavoro, e Lucio, e Giasone, e Sosipatro, miei parenti.
Vi saluto io, Terzio, che ho scritto l'Epistola nel Signore; era stato semplicemente la penna cosciente di Paolo, ma aveva anche volontariamente tracciato i tratti come uno con Cristo e come operante per la Sua causa.
Là ti saluta Gaio, ospite mio e di tutta la Chiesa; accoglienza universale alla sua porta di tutti coloro che amano il suo amato Signore, e ora particolarmente di tutti a Corinto che hanno bisogno dell'Apostolo del suo Signore.
Vi saluta Erasto, il tesoriere della città, e Quartus ("Kouartos"), il fratello.
Qui, come ci sembra di discernere la scena, c'è davvero una pausa, e quella che potrebbe sembrare una fine. Tertius depone la penna. La cerchia degli amici si scioglie, e Paolo resta solo, solo con il suo Signore invisibile, e con quella lunga e silenziosa Lettera; suo, ma non suo. Lo prende tra le mani, per leggere, meditare, credere, per richiamare i romani convertiti, così cari, così lontani, e per affidarli nuovamente per la fede, e per la vita, a Cristo e al Padre suo.
Li vede assediati dalle masse accerchiate dell'idolatria e del vizio pagano, e dall'amareggiato giudaismo che li incontra ad ogni passo. Li vede ostacolati dai propri reciproci pregiudizi ed errori; perché sono ancora peccatori. Infine, li vede avvicinati da questa illusione serpentina di un misticismo sconsacrato, che sostituirebbe il pensiero della materia a quello del peccato, e la réverie alla fede, e un qualcosa di inconoscibile, inaccessibile al finito, per il Dio e Padre di nostro Signore Gesù Cristo.
E poi vede questo vangelo stupefacente, di cui si è fatto disegnare glorioso contorno e argomento, come mai fu tracciato prima, su quelle pagine di papiro; la verità di Dio, non dell'uomo; velato così a lungo, promesso così a lungo, finalmente conosciuto; il Vangelo che manifesta la pace del peccatore, la vita del credente, il radioso futuro sconfinato dei santi e, in tutto e soprattutto, l'amore eterno del Padre e del Figlio.
In questo Vangelo, «il suo Vangelo», egli vede manifestato di nuovo il suo Dio. E di nuovo lo adora, e di nuovo gli affida questi cari della Missione Romana.
Deve dare loro una parola in più, per esprimere il suo cuore travolgente. Deve parlare loro di Colui che è Onnipotente per loro contro la complessa potenza del male. Deve parlare di quel Vangelo nelle cui linee correrà il grado onnipotente. È il Vangelo di Paolo, ma anche e prima di tutto "l'annuncio fatto da Gesù Cristo" di Sé stesso come nostra Salvezza. È il Segreto "taciuto" per tutti i lunghi eoni del passato, ma ora espresso in verità; il Messaggio che il Signore dei secoli, scegliendo bene la Sua ora, ora ordina imperialmente di essere annunciato alle Nazioni, affinché possano sottomettersi ad esso e vivere.
È il vasto compimento di quelle misteriose Scritture che sono ora le credenziali, e la parola d'ordine, dei suoi predicatori. È l'espressione suprema dell'unica ed eterna Sapienza; chiaro all'intelletto del bambino istruito dal cielo; più insondabile, anche per gli osservatori celesti, della stessa Creazione. Al Dio di questo Vangelo deve ora affidare i romani, nelle parole ardenti con cui lo adora per mezzo del Figlio nel quale è visto e lodato. A questo Dio - mentre lo stesso linguaggio è spezzato dalla sua stessa forza - deve dare gloria eterna, per il suo Vangelo e per se stesso.
Prende i fogli e la penna. Con gli occhi offuscati, e in lettere grandi e laboriose, e dimenticando alla fine, nell'intensità della sua anima, di rendere perfetta la connessione grammaticale, inscrive, al crepuscolo, questa meravigliosa dossologia. Osserviamolo fino alla fine, e poi in silenzio lasciamolo davanti al suo Signore e nostro:
Ma a Colui che è in grado di stabilirti, secondo il mio Vangelo, e la proclamazione di, fatta da, Gesù Cristo, fedele a (κατά) (il) svelamento del (il) Segreto taciuto in silenzio durante i secoli dei tempi, ma manifestato ora, e attraverso (le) Scritture profetiche, secondo l'editto del Dio dei secoli, per l'obbedienza della fede, pubblicata tra tutte le nazioni - a Dio solo saggio, per mezzo di Gesù Cristo - a cui sia la gloria nei secoli dei secoli . Amen.