Capitolo 9

L'UNICO MODO DI ACCETTAZIONE DIVINA

Romani 3:21

Allora "c'è silenzio" sulla terra, affinché l'uomo possa udire la "voce calma e sommessa", "il suono della quiete", 1 Re 19:12 dal cielo. "La Legge" ha parlato, con il suo tuono struggente. Ha spinto nell'anima dell'uomo, da molti lati, quell'unico fatto-colpa; l'eternità della pretesa di giustizia, l'assolutezza della santa Volontà di Dio e, al contrario, l'incapacità dell'uomo, della razza, di soddisfare quella pretesa e di fare quella volontà.

Ha detto all'uomo, in effetti, che è "depravato", vale a dire, moralmente distorto. È "totalmente depravato", cioè, la distorsione ha colpito tutto il suo essere, così che non può fornire da parte sua nessun potere di recupero adeguato che lo riporti all'armonia con Dio. E la Legge non ha altro da dirgli, se non che questa condizione non solo è deplorevole, ma colpevole, responsabile, condannabile; e che la sua stessa coscienza è il testimone concorrente che è così.

È un peccatore. Essere un peccatore è prima di tutto essere un trasgressore della legge. Sono altre cose oltre. Deve essere moralmente malato e ha bisogno di chirurgia e medicina. Significa essere moralmente infelici e oggetto di compassione. Ma prima di tutto è essere moralmente colpevoli, e bisognosi urgenti di giustificazione, di un capovolgimento di sentenza, di un soddisfacente accordo con la Legge di Dio offesa ed eterna.

Quella Legge, dopo aver pronunziato le sue inesorabili condizioni, e aver annunziato la giusta sentenza di morte, sta severa e muta accanto all'ora muto delinquente. Non ha alcun incarico per alleviare le sue paure, per alleviare il suo dolore, per pagare i suoi debiti. Il suo compito terribile e misericordioso è dire: "Non peccare" e "Il salario del peccato è la morte". Richiama la coscienza all'attenzione, e le dice al suo orecchio che ora l'ascolta molto più di quanto si fosse reso conto prima dell'orrore e del destino del peccato; e poi lascia alla coscienza il compito di raccogliere il messaggio e allarmare l'intero mondo interiore con la certezza della colpa e del giudizio. Quindi l'uomo giace senza parole davanti alla Legge terribilmente reticente.

È un'immagine puramente astratta? Oppure i nostri cuori, di chi scrive e di chi legge, testimoniano la sua viva veridicità? Dio sa, queste cose non sono curiosità del passato. Non stiamo studiando una fase interessante del pensiero paleocristiano. Stiamo leggendo un resoconto vivente delle esperienze di innumerevoli vite vissute oggi sulla terra. C'è davvero una cosa nel nostro tempo, a quest'ora, come la convinzione del peccato.

Esiste ora una cosa come un'anima umana, ammutolita tra le sue scuse, i suoi dubbi, le sue smentite, dal discorso e poi dal silenzio della Legge di Dio. Esiste a quest'ora un uomo vero, forte e sano di pensiero, sano in ogni facoltà, abituato a guardare in faccia i fatti della vita quotidiana, eppure abbattuto nell'indescrivibile convinzione di essere un povero, colpevole, peccatore perduto, e che il suo bisogno irrefrenabile non è ora, non solo ora, la soluzione dei problemi dell'essere, ma la certezza che il suo peccato è perdonato.

Deve essere giustificato, o muore. Il Dio della Legge deve in qualche modo dire che non ha da litigare con lui, oppure muore di una morte che vede, come per un'intuizione propria della convinzione di peccato, essere nella sua natura una morte senza speranza, senza fine.

È "in qualche modo" possibile?

Ascolta, anima colpevole e silenziosa, un suono che ora è udibile. Nel tumulto dell'indifferenza secolare o dell'autogiustificazione cieca non la potevi udire; nella migliore delle ipotesi hai sentito un mormorio senza senso. Ma ascolta ora; è articolato e ti parla. Il terremoto, il vento, il fuoco, sono passati: e tu sei davvero sveglio. Ora arriva a sua volta "il suono della quiete". Ma ora, a parte la Legge, si manifesta la giustizia di Dio, attestata dalla Legge e dai Profeti; ma, sebbene attestato da loro, nelle Scritture che da sempre, in parole e in caratteri, promettono cose migliori a venire, e soprattutto un Benedetto a venire (è) la giustizia di Dio, mediante la fede in Gesù Cristo, preparata per tutto e concesso a tutti coloro che credono in lui.

Perché non c'è distinzione; poiché tutti hanno peccato e sono privi della gloria di Dio, essendo giustificati in dono, gratuitamente, per la sua grazia, mediante la redenzione, il riscatto, il riscatto, che è in Cristo Gesù. Sì, risiede sempre in Lui, il Signore del merito salvifico, e così si trova solo in Lui; che Dio ha presentato, presentato, come propiziazione, per fede nel suo sangue, il suo sangue di morte, di sacrificio, dell'altare; per dimostrare, spiegare, chiarire, la Sua giustizia, la Sua via di accoglienza e il suo metodo.

Il Padre "presentò" il Figlio per mostrare che la sua grazia non significava vera connivenza, né indulgenza senza motivo legittimo. Lo "presentò" a causa del suo passaggio di peccati commessi prima; perché il fatto chiedeva spiegazione che, mentre proclamava la sua Legge, e non aveva ancora rivelato il suo Vangelo, nondimeno sopportava i peccatori, li scongiurava, li perdonava, nella tolleranza di Dio, nei secoli in cui si vedeva «tenere indietro" La sua ira, ma non ha ancora rivelato il motivo.

Era in vista, dice ancora, a questa dimostrazione della Sua giustizia nel periodo presente, la stagione, il καιρος, del Vangelo manifestato; che Egli sia, a nostro avviso, oltre che in fatto divino, insieme giusto, fedele alla sua Legge eterna, e Giustificatore di colui che appartiene alla fede in Gesù.

Questa è la voce dal cielo, udibile quando la bocca del peccatore è chiusa, mentre le sue orecchie sono aperte dal tocco di Dio. Senza quella introduzione spirituale a loro, molto probabilmente sembreranno o un fatto nella storia del pensiero religioso, interessante nello studio dello sviluppo, ma non di più; o una serie di affermazioni corrispondenti a bisogni irreali, e in se stesse piene di punti discutibili. Leggili nell'ora della convinzione del peccato; in altre parole, porta loro tutto il tuo essere, agitato dall'alto fino alle sue profondità morali, e non li prenderai né indifferentemente, né con opposizione.

Poiché la chiave incontra la serratura, soddisferanno le tue esigenze in eccesso. Ogni frase, ogni nesso di ragionamento, ogni affermazione di fatto, ti sarà preziosa al di là di ogni parola. E non le capirai mai fino in fondo se non in queste ore, o nella vita che ha tali ore tra i suoi ricordi indelebili.

Ascolta ancora, in questo sacro silenzio, così rotto dalla "voce amabile dell'Onnipotente".

"Ma ora"; il felice "adesso" del fatto presente, della veglia certezza. Non è un sogno ad occhi aperti. Guarda e vedi; toccare e sentire. Volta di nuovo la pagina benedetta; γεγραπται, "Sta scritto." C'è infatti una «Giustizia di Dio», una via stabile di misericordia tanto santa quanto benigna, un'accoglienza tanto buona nella Legge eterna quanto nell'Amore eterno. È "attestato dalla Legge e dai Profeti"; su di essa si incontrano innumerevoli linee di predizione e di presagio, per negare per sempre la paura dell'illusione, dell'illusione.

Qui non c'è un concorso fortuito, ma il piano di Dio a lungo tracciato. Ecco la sua Causa procacciatrice, magnifica, tenera, divina, umana, spirituale, storica. È il Figlio prediletto del Padre; nessun potere antagonista da una regione estranea alla Legge benedetta e al suo Datore. Il Legislatore è il Donatore di Cristo; L'ha «messo fuori», gli ha fornito un'espiazione che non lo persuade ad avere misericordia, perché è già Amore eterno, ma libera il suo amore lungo la linea di una santità meravigliosamente soddisfatta, e spiega quella liberazione ( ai contriti) per guadagnarsi sommamente il loro culto e il loro amore al Padre e al Figlio.

Ecco il Cristo di Dio; ecco il sangue di Cristo. Nel Vangelo Lui è ovunque, è ovunque; ma qual è la tua gioia nel trovarlo, ed esso, qui sulla soglia della tua vita di benedizione? Guardando il Crocifisso, mentre ancora "metti la mano sulla tua bocca", finché non ti sia tolta per benedire il suo Nome, comprendi la gioia con cui, di età in età, gli uomini hanno parlato di una Morte che è la loro vita, di una Croce che è la loro corona e gloria.

Non sei dell'umore giusto, qui e ora, per screditare la dottrina del Sangue espiatorio; metterlo sullo sfondo del vostro cristianesimo; oscurare la Croce anche dietro i tetti di Betlemme. Non puoi ora pensare bene a nessun Vangelo che non dica: "Prima di tutto, Cristo è morto per i nostri peccati, secondo le Scritture". 1 Corinzi 15:3 Tu sei un peccatore e lo sai; "colpevole davanti a Dio"; e per te come tale la propiziazione governa tutta la tua visione dell'uomo, di Dio, della vita, del cielo.

Per te, comunque sia per gli altri, "Redenzione" non può essere nominata, né pensata, se non il suo primo elemento prezioso, "remissione dei peccati", giustificazione dei colpevoli. È intriso di idee di propiziazione; è rosso e glorioso con il sangue del Redentore, senza il quale non avrebbe potuto essere. Il tutto benedetto Dio, con tutti i suoi attributi, il suo carattere, è visto da te sempre come "giusto, eppure il Giustificatore di colui che crede in Gesù.

"Egli risplende su di te attraverso la Parola, e nell'esperienza del tuo cuore, in molti altri aspetti sorprendenti. Ma tutti quegli altri sono qualificati per te da questo, che è il Dio di una santa giustificazione; che è il Dio che ha accettato tu, il colpevole, in Cristo.Tutti i tuoi pensieri su di Lui sono formati e seguiti ai piedi della Croce. Il Golgota è l'osservatorio da cui conti e guardi le luci del cielo mobile del suo Essere, della sua Verità, della Sua Amore.

Quanto sono preziose per te ora le parole che un tempo, forse, erano peggio che insipide: "Fede", "Giustificazione", "Giustizia di Dio"! Nella scoperta della tua necessità, e di Cristo come tutto sommato per soddisfarla, vedi con poco bisogno di esposizione il luogo e il potere della Fede. Significa, lo vedi ora, semplicemente la tua ricezione di Cristo. È il tuo contatto con Lui, il tuo abbraccio a Lui. Non è virtù; è assolutamente lontano dal merito.

Ma è necessario; necessario come la mano che fa l'elemosina, o come la bocca che mangia il pasto non comprato. Il significato di "Giustificazione" ora per te non è un enigma delle scuole. Come tutte le grandi parole della teologia scritturale porta con sé nelle cose divine il significato che ha nelle cose comuni, solo per una nuova e nobile applicazione; lo vedi con gioia, per l'intuizione della coscienza risvegliata.

Colui che ti "giustifica" fa esattamente ciò che la parola importa sempre. Non ti educa, né ti ispira, fino all'accettabilità. Ti dichiara accettabile, soddisfacente, in pace con la Legge. E questo lo fa per amore di un altro; per Merito di un Altro, che ha tanto fatto e sofferto da guadagnare un'accoglienza eterna per sé e per tutto ciò che è suo, e quindi per quanti si trovano in lui, e quindi per voi che in lui siete fuggiti credendo.

Così ricevi con gioia e meraviglia "la giustizia di Dio", il Suo modo di dire a te, così profondamente colpevole in te stesso, di accogliere senza paura il tuo Giudice. Tu sei "giusto", vale a dire, soddisfacente per la Legge inesorabile. Come? Perché sei trasfigurato in una perfezione morale tale da poter costituire una pretesa? No, ma perché Gesù Cristo è morto e tu, ricevendolo, ti trovi in ​​lui.

"Non c'è differenza." Una volta, forse, ti sei risentito per quella parola, se ti sei fermato a notarla. Ora porti a casa tutta la sua importazione. Qualunque altra cosa possa essere la tua "differenza" dai più vergognosi e famigerati trasgressori della Legge di Dio, ora sai che non ce n'è nessuno in questo senso - che sei disperatamente, anche se distante, lontano come loro da " la gloria di Dio». La sua "gloria" morale, l'inesorabile perfezione del suo carattere, con la sua inerente esigenza che tu debba corrispondere perfettamente a Lui per essere in pace con Lui, sei davvero "a corto di" questo.

La meretrice, il bugiardo, l'assassino, ne mancano; ma lo sei anche tu. Forse loro stanno in fondo a una miniera, e tu sulla cresta di un'alpe; ma tu sei tanto poco capace di toccare le stelle quanto loro. Quindi, con gratitudine, ti abbandoni, accanto a loro, se vogliono venire anche loro, per essere "portato" all'altezza dell'accettazione divina, dal dono di Dio, "giustificato come dono dalla Sua grazia".

Dov'è dunque il nostro vanto? È escluso. Con quale legge? Di opere? No, ma mediante la legge della fede, l'istituto, l'ordinanza, che ci impone non di meritare, ma di confidare. E chi può analizzare o descrivere la gioia e il riposo dell'anima da cui finalmente viene "chiusa" la turpe gonfia di un religioso "vantarsi"? Ci siamo lodati, ci siamo valutati, in una cosa o in un'altra che si suppone ci renda degni dell'Eterno.

Forse abbiamo avuto pretesti pretestuosi per farlo; o forse ci siamo "vantati" (tali vanterie non sono sconosciuti) di niente di meglio che essere un po' meno empi, o un po' più virili, di qualcun altro. Ma questo è finito per sempre, in linea di principio; e poniamo la sua pratica sotto i piedi del nostro Redentore per essere distrutta. E grande è il riposo e la gioia di sedersi ai Suoi piedi, mentre la porta è chiusa e la chiave è girata sul nostro applauso. Non c'è santità senza quella "esclusione"; e non c'è felicità dove non c'è santità.

Poiché riteniamo, concludiamo, raccogliamo così i nostri fatti e le nostre ragioni, che l'uomo è giustificato dalla fede, al di fuori, indipendentemente dalle opere della legge. In altre parole, la causa meritevole sta tutta in Cristo, e tutta fuori dalla condotta dell'uomo. Abbiamo visto, implicitamente, nel passaggio sopra, versetti 10-18 ( Romani 3:10 ), cosa si intende qui per "opere della legge" o per "opere della legge".

"Il pensiero non è di prescrizione rituale, ma di regola morale. I trasgressori della legge dei versetti 10-18 ( Romani 3:10 ), sono uomini che commettono atti violenti, e dicono parole turpi, e non fanno ciò che è buono Il custode della legge, di conseguenza, è l'uomo la cui condotta sotto tali aspetti è giusta, negativamente e positivamente, e le "opere della legge" sono di conseguenza tali atti.

Quindi qui "concludiamo" che la giustificazione dell'uomo caduto ha luogo, quanto al merito che la procura, indipendentemente dal suo bene. È rispettivo solo di Cristo, quanto al merito; si tratta solo, quanto all'accoglienza personale, dell'accoglienza del Cristo meritevole, cioè della fede in Lui.

Poi arrivano, come una breve "coda" che segue un'intera cadenza musicale, due brevi domande e le loro risposte, pronunciate quasi come se di nuovo un Rabbinista fosse in discussione.

Dio è solo il Dio degli ebrei? Non anche delle Nazioni? Sì, anche delle Nazioni; supponendo che Dio sia uno, la stessa Persona in entrambi i casi; che giustificherà la Circoncisione secondo il principio della fede e l'Incirconcisione mediante la fede. Prende il fatto, ormai accertato, che la fede, ancora fede, cioè Cristo ricevuto, è la condizione di giustificazione per tutta l'umanità; e ragiona sul fatto (così ampiamente «attestato dalla Legge e dai Profeti», dalla Genesi in poi) che il vero Dio è ugualmente il Dio di tutti.

Probabilmente si suggerisce la profonda deduzione che il recinto di privilegio tracciato per secoli intorno a Israele fosse inteso in ultima analisi per la benedizione del mondo intero, e non per tenere Israele in un isolamento egoistico.

Cancelliamo dunque la Legge per questa nostra fede? Apriamo allora la porta alla licenza morale? Aboliamo codice e precetto, allora, quando non chiediamo la condotta, ma la fede? Via con il pensiero; anzi, stabiliamo la Legge; andiamo proprio per dare una nuova sacralità ad ogni suo comando, e per svelare un nuovo potere per l'adempimento di tutti loro. Ma come questo sia, e come sarà, l'argomento successivo lo mostrerà.

NOTA DISTACCATA A Romani 3:1

Sarebbe un lavoro profondamente interessante raccogliere ed esporre insieme esempi della trasmissione di grandi benedizioni spirituali, in vite memorabili, attraverso la lettura dell'Epistola ai Romani. La crisi finale di Agostino, vedi sotto, su Romani 13:14 sarebbe un esempio di questo tipo. Come esempi di quella che deve essere una moltitudine citiamo due casi, in ciascuno dei quali un versetto in questo terzo capitolo dell'Epistola ha dimostrato i mezzi del messaggio divino in una vita di interesse storico.

Padre Paola Sarpi (1552-1623), "Consigliere e Teologo" della Repubblica Veneta, e storico del Concilio di Trento, fu uno dei tanti eminenti uomini del suo tempo che non ruppe mai con la Chiesa romana, ma ebbe vere simpatie spirituali con la Riforma. Il racconto delle sue ultime ore è commovente e istruttivo, e lo mostra riporre la sua speranza con grande semplicità sul messaggio divino di questo capitolo, anche se il resoconto gli fa citarlo in modo inesatto.

Venuta la notte, e la mancanza di spirito cresceva su di lui, cessò un'altra lettura della Passione scritta da San Giovanni. Parlò della propria miseria, e della fiducia e fiducia che aveva nel sangue di Cristo. Ripeté molto spesso quelle parole, Quem proposuit Deus Mediatorem per fidem in sanguine suo, 'Colui che Dio ha posto come Mediatore mediante la fede nel suo sangue'. In cui sembrava ricevere un'estrema consolazione.

Ripeteva (sebbene con molta debolezza) diversi luoghi di San Paolo. Protestava che da parte sua non aveva da presentare a Dio che miserie e peccati, eppure desiderava annegare nell'abisso della divina misericordia; con tanta sottomissione da una parte, e tuttavia tanta allegria dall'altra, che strappava lacrime da tutti i presenti".

Fu attraverso il terzo capitolo dei Romani che la luce celeste giunse per la prima volta all'anima terribilmente turbata di William Cowper, a St. Albans, nel 1764. Alcuni hanno detto che la religione di Cowper era responsabile della sua malinconia. Il caso era ben diverso. Il primo tremendo attacco si verificò in un momento in cui, per sua stessa chiarezza, era del tutto privo di una religione seria; non aveva nulla a che fare né con la dottrina cristiana né con la pratica cristiana. La guarigione da essa avvenne con la sua prima visione, nella Scrittura, della divina misericordia in nostro Signore Gesù Cristo. Il suo racconto di questa crisi è il seguente:

“Ma era giunto il momento felice che doveva darmi una chiara apertura della libera misericordia di Dio in Cristo Gesù. Mi gettai su una sedia vicino alla finestra e, vedendo lì una Bibbia, mi azzardai ancora una volta ad applicare a esso per conforto e istruzione. Il primo versetto che ho visto era il 25 del 3d di Romani ( Romani 3:25 ); "Che Dio ha stabilito per essere una propiziazione mediante la fede nel Suo sangue, per dichiarare la Sua giustizia per la remissione di peccati passati, per la tolleranza di Dio.'"

"Immediatamente ho ricevuto la forza di crederci, e i raggi pieni del Sole di Giustizia mi hanno illuminato. Ho visto la sufficienza dell'espiazione che aveva fatto, il mio perdono sigillato nel Suo sangue e tutta la pienezza e la completezza della Sua giustificazione. Se il braccio dell'Onnipotente non fosse stato sotto di me, penso che sarei dovuto morire con gratitudine e gioia. Potevo solo guardare il cielo con silenziosa paura, sopraffatto dall'amore e dalla meraviglia. Ma l'opera dello Spirito Santo è meglio descritta nel suo parole; è 'gioia indicibile e piena di gloria''.

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