Commento biblico dell'espositore (Nicoll)
Romani 4:13-25
Capitolo 11
ABRAMO (2)
ANCORA ci avviciniamo al nome di Abramo, Amico di Dio, Padre dei Fedeli. Lo abbiamo visto giustificato per fede, personalmente accettato perché rivolto tutto al sovrano Promettitore. Lo vediamo ora in alcune delle gloriose questioni di quell'accettazione; "Erede del mondo", "Padre di molte nazioni". E anche qui tutto è per grazia, tutto viene per fede. Non opere, non merito, non privilegio ancestrale e rituale, assicurato ad Abramo la potente Promessa; era suo perché lui, non invocando assolutamente nulla di dignità personale e non sostenuto da alcuna garanzia di ordinanza, "credeva in Dio".
Lo vediamo mentre esce dalla sua tenda sotto quel glorioso baldacchino, quella "notte di stelle" siriana. Con lui guardiamo alle potenti profondità e riceviamo la loro impressione sui nostri occhi. Guarda gli innumerevoli punti e nuvole di luce! Chi può contare i raggi semivisibili che rendono bianchi i cieli, scintillando dietro, oltre, le migliaia di luminari più numerabili? Al vecchio solitario che sta lì a guardare, forse fianco a fianco con il suo divino Amico manifestato in forma umana, viene detto di provare a contare. E poi sente la promessa: "Così sarà la tua discendenza".
Fu allora e là che ricevette la giustificazione per fede. Fu allora e là anche che, per fede, come uomo senza patto, indegno, ma chiamato a prendere ciò che Dio gli aveva dato, ricevette la promessa di essere "erede del mondo".
Fu un paradosso ineguagliabile - a meno che non vi si metta accanto la scena in cui, diciotto secoli dopo, nella stessa terra, un discendente di Abramo, un artigiano siriano, parlando come Capo religioso ai suoi seguaci, disse loro Matteo 13:37 che il "campo era il mondo", ed Egli il Padrone del campo.
"Erede del mondo"! Questo significava, dell'universo stesso? Forse sì, perché Cristo doveva essere il Richiedente della promessa a tempo debito; e sotto i Suoi piedi tutte le cose, letteralmente tutte, sono già messe a posto, e saranno in seguito messe in atto. Ma il riferimento più limitato, e probabilmente in questo luogo il più adatto, è abbastanza vasto; un riferimento al "mondo" della terra, e dell'uomo su di esso. Nel suo "seme", quell'anziano senza figli doveva essere il re degli uomini, il monarca dei continenti e degli oceani.
A lui, nella sua discendenza, furono date "in suo possesso" le «estreme parti della terra». Non solo il suo piccolo clan, accampato nei campi oscuri intorno a lui, e nemmeno i diretti discendenti solo del suo corpo, per quanto numerosi, ma "tutte le nazioni", "tutte le stirpi della terra", dovevano "chiamarlo beato", e essere benedetti in lui, come loro Capo patriarcale, loro Capo in alleanza con Dio. "Non vediamo ancora tutte le cose" adempiute di questa stupefacente concessione e garanzia.
Non lo faremo finché non saranno visibili i vasti sviluppi promessi delle vie di Dio. Ma vediamo già dei passi compiuti verso quella questione, passi lunghi, maestosi, che non si possono più tornare indietro. Vediamo a quest'ora letteralmente in ogni regione del mondo umano i messaggeri - un esercito sempre più numeroso - del Nome del "Figlio di Davide, il Figlio di Abramo". Stanno lavorando ovunque: e ovunque, nonostante innumerevoli difficoltà, stanno conquistando il mondo per il grande Erede della Promessa.
Per vie che non sanno che questi missionari sono usciti; sentieri tracciati dalla storica provvidenza di Dio e dalla sua vita eterna nella Chiesa e nell'anima. Quando "il mondo" è sembrato chiuso, dalla guerra, dalla politica, dall'abitudine, dalla geografia, si è aperto, affinché possano entrare; finché non vediamo il Giappone buttare indietro le sue porte del castello e l'Africa interna non solo scoperta, ma diventata una parola familiare per il bene delle sue missioni, dei suoi martiri, della determinazione dei suoi capi nativi di abolire la schiavitù anche nella sua forma domestica.
Nessun programma laico cosciente ha avuto a che fare con questo. Cause del tutto al di fuori della portata della combinazione umana sono state, di fatto, combinate; il mondo è stato aperto al messaggio abramico così come la Chiesa è stata nuovamente ispirata ad entrare ed è stata risvegliata a una comprensione più profonda della sua gloriosa missione. Perché anche qui è il dito di Dio; non solo nella storia del mondo, ma nella vita della Chiesa e del cristiano.
Da un lungo secolo ormai, nei centri più vivi della cristianità, si desta e sorge una potente e ravvivata coscienza della gloria del Vangelo, della Croce e dello Spirito; della grazia di Cristo, e anche della sua pretesa. E a quest'ora, dopo molte cupe previsioni di pensiero incredulo e apprensivo, ci sono più uomini e donne pronti ad andare fino ai confini della terra con il messaggio del Figlio di Abramo, che in tutti i tempi.
Confronta questi problemi, anche questi - lasciando fuori di vista il potente futuro - con la notte stellata quando all'Amico errante di Dio fu chiesto di credere all'incredibile, e fu giustificato per fede, e per fede fu investito della corona del mondo. Non è davvero Dio nel compimento? Non era davvero nella promessa? Noi stessi siamo parte del compimento; noi, una delle "molte Nazioni" di cui il grande Solitario fu poi fatto "il Padre". Rendiamo testimonianza e poniamo il nostro sigillo.
Così facendo, attestiamo e illustriamo l'opera, l'opera sempre benedetta, della fede. La fiducia di quell'uomo, a quella grande mezzanotte, non meritava nulla, ma riceveva tutto. Prese in primo luogo l'accoglienza presso Dio, e poi con essa, come piegata e incastonata in essa, prese ricchezze inesauribili di privilegio e di benedizione; soprattutto, la benedizione di essere diventati una benedizione. Così ora, in vista di quell'ora della Promessa, e di queste età di compimento, vediamo il nostro cammino di pace nella sua divina semplicità.
Leggiamo, come se fossero scritte nei cieli nelle stelle, le parole: "Giustificato per fede". E comprendiamo già, ciò che l'Epistola presto ci svelerà ampiamente, come per noi, come per Abramo, le benedizioni indicibili di altri ordini siano custodite nella concessione della nostra accettazione "Non solo per lui, ma anche per noi, credenti".
Torniamo di nuovo al testo.
Poiché non mediante la legge venne la promessa ad Abramo, o alla sua discendenza, di essere erede del mondo, ma mediante la giustizia della fede; attraverso l'accettazione ricevuta da una fede non vincolata e non privilegiata. Se infatti coloro che appartengono alla legge ereditano la promessa di Abramo, la fede è ipso facto nulla e la promessa è ipso facto annullata. Perché l'ira è ciò che opera la Legge; è solo dove non c'è la legge che non c'è nemmeno la trasgressione.
Come dire che sospendere la benedizione eterna, la benedizione che per sua natura può occuparsi solo di condizioni ideali, all'obbedienza dell'uomo alla legge, significa precludere fatalmente la speranza di un compimento. Come mai? Non perché la Legge non sia santa; non perché la disobbedienza non sia colpevole; come se l'uomo fosse mai, per un momento, meccanicamente costretto a disobbedire. Ma poiché di fatto l'uomo è un essere caduto, tuttavia lo è diventato.
e qualunque sia la sua colpa in quanto tale. È caduto e non ha un vero potere di autoriparazione. Se poi deve essere benedetto, l'opera deve iniziare suo malgrado. Deve venire dall'esterno, deve venire immeritato, deve essere per grazia, per fede. Perciò è sulla fede (letteralmente, "da"), per essere grazia, per assicurare la promessa, a tutto il seme, non solo a ciò che appartiene alla Legge, ma a ciò che appartiene alla fede di Abramo, al "seme" la cui pretesa non è né meno né più della fede di Abramo; che è padre di tutti noi, come sta scritto, Genesi 17:5 "Padre di molte nazioni ti ho costituito" - davanti al Dio in cui credeva, che vivifica i morti, e chiama, parla, tratta, le cose non-essere come essere.
"Agli occhi di Dio"; come a dire che poco importa ciò che Abramo è per "noi tutti" agli occhi dell'uomo, agli occhi e alla stima del fariseo. L'Eterno Giustificatore e Promettitore si è occupato di Abramo e in lui del mondo, prima della nascita di quella Legge che il fariseo ha pervertito nel suo baluardo di privilegio e isolamento. Si preoccupò che la possente transazione avesse luogo non solo in realtà, ma in modo significativo, in campo aperto e sotto lo sconfinato piviale delle stelle.
Doveva colpire non una tribù, ma tutte le nazioni. Era per ottenere benedizioni che non dovevano essere richieste dai privilegiati, ma prese dai bisognosi. E così il grande rappresentante Credente fu chiamato a credere davanti alla Legge, davanti al Sacramento legale, e in ogni circostanza personale di umiliazione e di sconforto. Chi, passata la speranza, sulla speranza, credette; passando dalla morta speranza della natura alla nuda speranza della promessa, così da diventare padre di molte Nazioni; secondo quanto detto: "Così sarà la tua discendenza.
E, poiché non venne meno alla fede, non si accorse del proprio corpo, già rivolto alla morte, quasi centenario com'era adesso, e dello stato di morte del grembo di Sara. No, sulla promessa di Dio -non vacillò per la sua incredulità, ma ricevette forza dalla sua fede, dando gloria a Dio, la "gloria" di trattare con Lui come ciò che Egli è, Onnipotente e Vero, e pienamente persuaso che ciò che ha promesso Egli è effettivamente in grado di fare.
Perciò in effetti gli fu accreditato come giustizia. Non perché un tale "dare a Dio la gloria", che è solo il suo eterno dovuto, fosse moralmente meritorio, nel minimo grado. Se fosse così, Abramo "avrebbe di che gloriarsi", Il "perché" riguarda l'intera storia, l'intera transazione. Ecco un uomo che ha preso la strada giusta per ricevere la benedizione sovrana. Non interpose nulla tra il Promettitore e se stesso. Ha trattato il Promettitore come quello che è, tutto sufficiente e tutto fedele. Aprì la sua mano vuota in quella persuasione, e così, poiché la mano era vuota, la benedizione fu posta sul suo palmo.
Ora non è stato scritto solo a causa sua, che è stato messo in conto a lui, ma anche a causa di noi, ai quali è certo da imputare, nella ferma intenzione del Giustificatore divino, come ogni successivo richiedente viene a ricevere; credendo come noi nella Risurrezione di Gesù nostro Signore dai morti; che è stato consegnato a causa delle nostre trasgressioni ed è stato risuscitato a causa della nostra giustificazione.
Qui il grande argomento si sposta in una pausa, nella cadenza di un riposo glorioso. Sempre di più, man mano che l'abbiamo perseguita, si è svincolata dagli ostacoli dell'avversario e si è avanzata con un movimento più ampio in un'affermazione positiva e gioiosa delle gioie e della ricchezza del credente. Abbiamo lasciato molto indietro i cavilli ostinati che chiedono, ora se c'è speranza per l'uomo al di fuori del legalismo, ora se all'interno del legalismo possa esserci pericolo anche di empietà deliberata, e ancora se il Vangelo dell'accoglienza gratuita non cancelli la legge della dovere.
Abbiamo lasciato il fariseo per Abramo e siamo stati accanto a lui per guardare e ascoltare. Egli, nella semplicità di un'anima che ha visto se stessa e ha visto il Signore, e così non ha una parola, un pensiero, sul privilegio personale, la pretesa o anche l'idoneità, riceve una perfetta accettazione nella mano della fede e trova che l'accettazione porta con sé una promessa di potere e benedizione inimmaginabili. E ora da Abramo l'Apostolo si rivolge a "noi", "noi tutti", "anche noi".
"Il suo pensiero non è più sugli avversari e sulle obiezioni, ma sulla compagnia dei fedeli, su coloro che sono uno con Abramo e tra loro, nella loro felice disponibilità a venire, senza un sogno di merito, e, prendere da Dio La sua potente pace nel nome di Cristo.Si trova non nella sinagoga o nella scuola, discutendo, ma nell'assemblea dei credenti, insegnando, dispiegando nella pace la ricchezza della grazia.Parla per congratularsi, per adorare.
Uniamoci a lui nello spirito, e sediamoci con Aquila e Priscilla, con Nereo, Ninfa e Perside, e a nostra volta ricordiamo che «è stato scritto anche per noi». Certamente, e con una pienezza di benedizione che non potremo mai scoprire nella sua perfezione, anche a noi «si tiene conto della fede, μελλει λογιζεσθαι. Gesù nostro Signore, anche nostro, dai morti.
"A noi, come a loro, il Padre si presenta come l'Allevatore del Figlio. Egli è conosciuto da noi in quell'atto. Ci dà la sua stessa garanzia per una fiducia illimitata nel suo carattere, nei suoi scopi, nella sua intenzione senza riserve. accettare il peccatore che si alza ai suoi piedi nel nome del suo Figlio crocifisso e risorto. Egli ci dice di non dimenticare che è il Giudice, che non può un momento connivente. Ma ci dice di credere, ci dice di vedere, che Egli, essendo il Giudice, ed anche il Legislatore, ha trattato la propria Legge, in un modo che la soddisfa, che soddisfa Se stesso.
Ci invita così a comprendere che ora "è sicuro di" giustificare, accettare, trovare non colpevole, trovare giusto, soddisfacente, il peccatore che crede. Viene a noi, Lui, questo Padre eterno di nostro Signore, per assicurarci, nella Risurrezione, che ha cercato, e ha "trovato, un Riscatto"; che Egli non è stato indotto ad avere misericordia, misericordia dietro la quale può quindi nascondersi un cupo riserbo, ma si è fatto "esporre" l'amata Propiziazione, e poi ha accettato Lui (non esso, ma Lui) con l'accettazione di non solo la sua parola ma la sua azione.
È il Dio della pace. Come lo sappiamo? Pensavamo che fosse il Dio del tribunale e della condanna. Sì; ma Egli ha «riportato dai morti il grande Pastore, nel sangue dell'Alleanza eterna». Ebrei 13:20 Allora, o Padre eterno del nostro Signore, noi ti crederemo; crederemo in Te; lo faremo, lo faremo, nella stessa lettera delle parole Thou έπί τόν Εγείραντα, come in un profondo riposo. In verità, sotto questo glorioso rispetto, sebbene tu stia consumando il fuoco, "non c'è nulla in te da temere".
"Chi è stato consegnato a causa delle nostre trasgressioni". Così ha fatto il Padre con il Figlio, che ha dato se stesso. "Piacque al Signore di ferirlo"; "Egli non ha risparmiato il proprio Figlio". "A causa delle nostre trasgressioni"; per incontrare il fatto che ci eravamo smarriti. Cos'è, questo fatto doveva essere così soddisfatto? La nostra volontà, il nostro orgoglio, la nostra falsità, la nostra impurità, la nostra indifferenza verso Dio, la nostra resistenza a Dio, dovevano essere affrontate così? Doveva essere soddisfatto, e non piuttosto lasciato completamente solo ai suoi orribili problemi?
Era eternamente necessario che, se soddisfatta, dovesse essere soddisfatta così, niente meno che la consegna di Gesù nostro Signore? Era anche così. Sicuramente se un espediente più mite avesse incontrato la nostra colpa, il Padre non avrebbe "consegnato" il Figlio. La Croce non era altro che una sine qua non assoluta. C'è quel peccato, e in Dio, che ha reso eternamente necessario che, se l'uomo fosse giustificato, il Figlio di Dio non solo viva, ma muoia, e non solo muoia, ma muoia così, consegnato, consegnato sia fatto morire, come si fa chi commette un grande peccato.
Nel profondo del cuore della dottrina divina dell'Espiazione si trova questo suo elemento, il "a causa delle nostre trasgressioni"; l'esigenza del Golgota, a causa dei nostri peccati. La remissione, l'assoluzione, l'accettazione, non erano oggetto del fiat verbale dell'autocrazia divina. Non si trattava di una questione tra Dio e la creazione, che per Lui è «piccola cosa», ma tra Dio e la sua Legge, cioè se stesso, in quanto giudice eterno.
E questo, per l'Eterno, non è poco. Quindi la soluzione richiedeva non poco, ma per la morte espiatoria, per l'imposizione da parte del Padre sul Figlio delle iniquità di tutti noi, affinché potessimo aprire le nostre braccia e ricevere dal Padre i meriti del Figlio.
"E fu risuscitato per la nostra giustificazione": perché la nostra accettazione era stata conquistata, per la sua liberazione. Questa è la spiegazione più semplice della grammatica e dell'importanza. La risurrezione del Signore appare come, per così dire, il potente seguito, e anche la dimostrazione, la garanzia, l'annuncio, della sua accettazione come propiziazione, e quindi della nostra accettazione in lui. Perché davvero era la nostra giustificazione, quando ha pagato la nostra punizione.
È vero, l'accettazione non matura per l'individuo finché non crede, e così riceve. Il dono non viene messo nella mano finché non è aperto e vuoto. Ma il regalo è stato comprato pronto per il destinatario molto prima che si inginocchia per riceverlo. Era suo, in dotazione, dal momento dell'acquisto; e il glorioso Compratore salì dagli abissi dove era sceso a comperare, tenendo alto nelle sue mani sacre il Dono d'oro, nostro perché suo per noi.
Poco prima scriveva a Roma S. Paolo aveva scritto a Corinto, e la stessa verità era allora nella sua anima, sebbene uscisse solo di sfuggita, mentre con infinita imponenza. "Se Cristo non è risorto, oziosa è la vostra fede; siete ancora nei vostri peccati". 1 Corinzi 15:17 Vale a dire, così il contesto mostra irrefragabilmente, che sei ancora nella colpa dei tuoi peccati; sei ancora ingiustificato.
"Nei tuoi peccati" non può riferirsi alla condizione morale dei convertiti; infatti, cosa che nessuna dottrina poteva negare, i Corinzi erano "uomini mutati". "Nei tuoi peccati" si riferisce dunque alla colpa, alla legge, all'accettazione. E invita loro a considerare l'Espiazione come l'obiettivo sine qua non per questo, e la Resurrezione come l'unica possibile, e l'unica necessaria, garanzia di fede che l'Espiazione aveva assicurato la sua fine.
"Chi è stato consegnato; chi è stato risuscitato". Quando? Circa venticinque anni prima Paolo sedeva a dettare questa frase in casa di Gaio. C'erano in quel momento circa trecento persone viventi conosciute, almeno 1 Corinzi 15:6 che avevano visto il Risorto con gli occhi aperti e lo avevano ascoltato con le orecchie coscienti. Da un certo punto di vista, tutto era eterno, spirituale, invisibile. Da un altro punto di vista la nostra salvezza fu tanto concreta, quanto storica, tanto di luogo e di data, quanto la battaglia di Azio, o la morte di Socrate. E ciò che è stato fatto, resta fatto.
"Può la lunghezza degli anni su Dio stesso esigere, e fare quella finzione che una volta era un fatto?"