Commento biblico dell'espositore (Nicoll)
Romani 7:7-25
capitolo 16
LA FUNZIONE DELLA LEGGE NELLA VITA SPIRITUALE
L'Apostolo ci ha condotto lontano nel suo grande argomento; attraverso il peccato, la propiziazione, la fede, l'unione, l'abbandono, a quel meraviglioso ed «eccellente mistero», l'unicità nuziale di Cristo e della Chiesa, di Cristo e del credente. Deve ancora svelare i segreti e le glorie dell'esperienza di una vita vissuta nella potenza di quello Spirito della cui "novità" ha appena parlato. Ma la sua ultima parabola lo ha portato dritto a una questione più volte indicata e rinviata.
Ci ha detto che la Legge di Dio era in un primo momento, idealmente, il nostro mistico marito, e che siamo stati infedeli nella nostra vita matrimoniale, e che il signore ferito ha condannato a morte il suo sposo colpevole, e che la sentenza è stata eseguita, ma compiuto in Cristo. Così avvenne un divorzio mortale tra noi, i giustificati, e la Legge, considerata la parte violata nel patto: "Fai questo e vivi".
Questo antico marito è dunque un partito che ora dobbiamo sospettare e sfidare? Il nostro matrimonio con lui ci ha portato poca gioia. Ahimè, la sua esperienza principale è stata che abbiamo peccato. Nella migliore delle ipotesi, se abbiamo fatto bene (in qualsiasi senso profondo di giusto), lo abbiamo fatto contro corrente; mentre abbiamo sbagliato, (nel senso profondo di sbagliato, differenza dalla volontà di Dio), con un sentimento di natura e gravitazione. Non era colpa del nostro vecchio signore? Non c'era qualcosa di sbagliato nella Legge? La Legge non ha travisato la volontà di Dio? Non era, dopo tutto, "il peccato stesso travestito", sebbene ci accusasse dell'orribile colpa di un corso di adulterio con il peccato?
Non possiamo dubitare che l'affermazione e il trattamento di questa domanda qui siano in effetti un record di esperienza personale. Il paragrafo da cui trae origine, questo lungo ultimo passaggio del capitolo 7, reca ogni traccia di tale esperienza. Finora si è occupato principalmente di "voi" e di "noi"; ora parla solo come "io", solo di "me" e di "mio". E tutto il dialetto del brano, per così dire, rientra in questo uso dei pronomi.
Ascoltiamo i colloqui, i litigi, della volontà con la coscienza, della volontà con la volontà, quasi dell'io con l'io, svolti in una regione che solo l'autocoscienza può penetrare, e che solo il soggetto di tutto ciò può descrivere. Sì, la persona che Paolo è qui, analizza e racconta se stesso; strappando il velo alla propria vita più intima, con mano ferma perché arresa alla volontà di Dio, che gli ordina, per amore della Chiesa, di esporsi alla vista.
Niente in letteratura, nessuna "Confessione" di un Agostino, nessuna "Grazia che abbonda" di un Bunyan, è più intensamente individuale. Eppure, d'altra parte, nulla è più universale nella sua applicazione di ricerca. Perché l'uomo che così scrive è "il vaso prescelto" del Signore che ha perfettamente adattato non solo le sue parole, ma il suo essere, la sua esperienza, i suoi conflitti e liberazioni, alle manifestazioni dei fatti spirituali universali.
Non c'è bisogno di dire che questo profondo paragrafo è stato discusso e interpretato nei modi più vari. È stato ritenuto da alcuni solo il modo intenso di San Paolo di presentare quel grande fenomeno, vasto come l'umanità caduta-volontà umana che si scontra con la coscienza umana, così che "nessun uomo fa tutto ciò che sa". Passaggi da ogni parte della letteratura, di tutte le epoche, di tutte le razze, sono stati accumulati intorno ad esso, per provare (un fatto davvero così profondamente significativo, in gran parte confermativo della dottrina cristiana del peccato originale), che l'uomo universale è ossessionato da doveri annullati; e questo passaggio è posto per così dire nel mezzo, come la più piena confessione possibile di quel fatto, in nome dell'umanità, da un individuo ideale.
Ma sicuramente basta una lettura attenta del brano, come parte dell'Epistola ai Romani, come parte dell'insegnamento di san Paolo, per sentire l'estrema inadeguatezza di tale racconto. Da un lato, la lunga confessione lamentosa non è l'incarnazione artificiale di un fatto universale; è il grido di un'anima umana, se mai c'è stato un grido personale. D'altra parte, il passaggio tradisce una sorta di conflitto molto più profondo e misterioso di quello tra "devo" e "non voglio".
È un conflitto di "voglio" con "non voglio"; di "odio" con "faccio". E nelle fasi successive della confessione troviamo il soggetto del conflitto che manifesta una meravigliosa simpatia per la Legge di Dio; registrando non solo un'ammissione che il diritto è giusto, ma una consapevolezza che il precetto di Dio è delizioso.Tutto questo ci porta in una regione spirituale sconosciuta a Euripide, e Orazio, e persino a Epitteto.
Anche in questo caso si è ritenuto che il passaggio registri le esperienze di un'anima semi-rigenerata; lottando nel suo cammino dalle tenebre alla luce, inciampando in una zona di confine tra il potere di Satana e il regno di Dio; profondamente convinto del peccato, ma combattendo con esso alla vecchia maniera impossibile del resto, incontrando se stesso con se stesso, o, altrimenti, il diavolo con l'uomo. Ma anche qui il brano sembra rifiutare l'esposizione, perché ne leggiamo tutti gli elementi.
Non è esperienza di una vita semi-rinnovata "rallegrarsi della legge di Dio secondo l'uomo interiore". È del tutto illecito per un'anima semi-rigenerata definirsi così assillata dal peccato che "non sono io, ma il peccato che abita in me". Nessuna forma più pericolosa di pensiero su se stessa potrebbe essere adottata da un'anima che non conosce pienamente Dio.
Anche in questo caso, e d'altra parte, si è ritenuto che il nostro brano stabilisce che un conflitto severo ma nel complesso deludente con il male interno è la sorte del vero cristiano, nella sua vita più piena, ora, sempre, e per la fine; che l'uomo rigenerato e credente è, se davvero sveglio alle realtà spirituali, per sentire ad ogni passo, "O miserabile uomo che sono"; "Quello che odio, quello che faccio"; e aspettarsi la liberazione da tale coscienza solo quando raggiunge il suo ultimo riposo celeste con Cristo.
Anche qui difficoltà estreme attendono l'esposizione; non dall'interno del passaggio, ma intorno ad esso. È generosamente circondato di verità di libertà, in una servitù che è libertà perfetta; con verità di potenza e di gioia, in una vita che è mediante lo Spirito Santo. È del tutto incongruo con un simile ambiente che si debba pensare di descrivere un'esperienza spirituale dominante e caratteristica nella vita cristiana.
"Cosa diremo allora?" C'è ancora un'altra linea di esegesi che soddisferà meglio i fatti sia del passaggio che del suo contesto? Pensiamo che ce ne sia uno, che allo stesso tempo è distintivo in sé e combina elementi di verità indicati dagli altri che abbiamo delineato. Per quegli altri hanno ciascuno un elemento di verità, se leggiamo bene. Il brano fa riferimento al conflitto universale tra coscienza e volontà.
Dice alcune cose del tutto appropriate per l'uomo che è consapevole della sua schiavitù ma non ha ancora trovato il suo Redentore. E c'è, osiamo dire, un senso in cui si può ritenere che il quadro sia vero per l'intero corso della vita cristiana qui sulla terra; perché non c'è mai un'ora di quella vita in cui l'uomo che "dice di non avere peccato" non "illude se stesso". 1 Giovanni 1:8 E se quel peccato non è che semplice difetto, una mancanza «alla gloria di Dio»; anzi, se è solo quella tendenza misteriosa che, sentita o no, ha bisogno ogni ora di una contropartita divina; tuttavia, l'uomo "ha peccato", e deve desiderare un'emancipazione finale, con un desiderio che porta in sé almeno un "gemito" latente.
Cominciamo dunque col riconoscere che Paolo, il Paolo personale, parlando qui a tutti noi, come in qualche solenne ora di "testimonianza", ci conduce prima alle sue prime profonde convinzioni del bene e del male, quando, apparentemente dopo un precedente compiacimento con se stesso, si svegliò per vedere, ma non per accogliere, l'assolutezza della volontà di Dio. Scivolò lungo un flusso regolare di cultura e reputazione morale e mentale finché non colpì la roccia di "Non desidererai", "Non desidererai, " "Non devi avere ostinazione.
Allora, come da una tomba, che era però solo un agguato, è sorto il “peccato”; una consapevole forza di opposizione alla pretesa della volontà di Dio contro la volontà di Paolo; e il suo sogno di soddisfazione religiosa è morto. Finché non chiudiamo Ver. 11 ( Romani 7:11 ), certamente, siamo nel mezzo dello stato non rigenerato.I tempi sono passati, la narrazione è esplicita.
Ha fatto una scoperta del diritto che era come morte dopo vita per la sua esperienza religiosa di allora. Non ha nulla da dire sui fatti contrari nella sua anima. Era convinzione, con solo la ribellione come problema. Allora ci troviamo, non sappiamo come, in una serie di confessioni di ordine diverso. C'è una continuità. C'è la Legge, c'è il peccato, e c'è un profondo conflitto morale. Ma ora ci sono fatti contrari.
L'uomo, l'Ego, ora "non vuole", anzi, "odia" ciò che pratica. Egli vuole ciò che Dio prescrive, anche se non lo fa. Le sue azioni peccaminose sono, in un certo senso, sotto questo aspetto, non sue. Egli in realtà "si diletta, si rallegra, con la Legge di Dio". Eppure c'è un senso in cui viene "venduto", "schiavo", "catturato", nella direzione sbagliata.
Qui, come abbiamo ammesso, c'è molto che è appropriato allo stato non ancora rigenerato, dove però l'uomo si sta risvegliando moralmente, a buon fine, sotto la mano di Dio. Ma il brano nel suo insieme rifiuta di accontentarsi così, come abbiamo visto. Chi può veramente parlare così di un'intima simpatia, di una simpatia di delizia, con la santissima Legge di Dio, non è mezzo cristiano; certamente non nella visione delle cose di san Paolo.
Ma ora osserviamo un grande fenomeno negativo del passaggio. Leggiamo parole sull'essere morale e sulle facoltà di questo peccatore rigenerato; sul suo "uomo interiore", la sua "mente", "la legge della sua mente"; su "se stesso" come distinto dal "peccato" che lo perseguita. Ma non leggiamo una parola chiara su quello Spirito eterno, di cui abbiamo visto la gloriosa presenza: Romani 7:6 caratterizza il Vangelo, e del quale sentiremo presto in così magnifica ampiezza.
Una sola volta Egli è anche chiaramente indicato; "la Legge è spirituale" ( Romani 7:14 ). Ma questo non è conforto, nessuna liberazione. Lo Spirito è infatti nella Legge; ma deve essere anche nell'uomo, se deve esserci risposta efficace, armonia e gioia. No, cerchiamo invano attraverso il passaggio un accenno al fatto che l'uomo, quel Paolo, sia contemplato in esso come pieno di fede con lo Spirito Santo per la sua guerra con il peccato insito che opera attraverso le sue condizioni incarnate.
Ma era rigenerato, dici. E se è così, era un esempio dell'opera dello Spirito, un ricevitore della presenza dello Spirito. È così; non senza lo Spirito, operante in lui, egli potrebbe "dilettarsi nella legge di Dio" e "con il suo vero io servire la legge di Dio". Ma questo significa necessariamente che lui, come agente cosciente, stava usando pienamente il suo eterno Ospite come suo potere e vittoria?
Non stiamo semplicemente discutendo un passaggio letterario. Stiamo meditando un oracolo di Dio sull'uomo. Quindi ci rivolgiamo completamente al lettore, ea noi stessi, e ci poniamo la domanda se il cuore non può aiutare ad esporre questo difficile paragrafo. Uomo cristiano, per grazia, cioè per lo Spirito Santo di Dio, hai creduto e vivi. Sei un membro di Cristo, che è la tua vita. Ma sei ancora un peccatore; sempre, infatti, in difetto, e in tendenza; sempre, potenzialmente, in modi terribilmente positivi.
Perché qualunque cosa la presenza dello Spirito in te abbia fatto, non ti ha così alterato che, se Egli dovesse andarsene, non saresti istantaneamente "ritornato al tipo" di empietà. Ora, come affronti la tentazione dall'esterno? Come affronti il terribile fatto di colpevole imbecillità interiore? Usi tu, se così posso dire, usi la facoltà rigeneratrice in modo non rigenerato, affrontando il nemico praticamente da solo, con solo alte risoluzioni, e disprezzo morale del male, e assidui processi di disciplina sul corpo o sulla mente? Dio non voglia che dovremmo chiamare queste cose malvagie.
Sono buone. Ma sono gli accidenti, non l'essenza, del segreto; il muro, non il pozzo, del potere e del trionfo. È il Signore stesso che dimora in te la tua vittoria; e quella vittoria si realizza con un appello cosciente e deciso a Lui. "Per mezzo di lui farai coraggio, perché è lui che calpesterà i tuoi nemici". Salmi 60:12 E questo non è verificato nella tua esperienza? Quando, nel tuo stato rigenerato, usi il vero modo rigenerato, non c'è un record migliore da dare? Quando, rendendosi conto che il vero principio è davvero una Persona, meno risolvi, meno lotti, e più appelli e confidi, non è spezzato il "regno" del peccato, e non è il tuo piede, nemmeno il tuo, perché sei in unione cosciente con il Conquistatore, posto effettivamente su "
Siamo consapevoli dell'obiezione pronta da fare, e da uomini devoti e riverenti. Si dirà che lo Spirito insito opera sempre attraverso l'essere in cui dimora; e che quindi non dobbiamo pensare a Lui come un alleato separabile, ma solo ad "agire noi stessi", lasciando che sia Lui ad agire attraverso di noi. Bene, siamo disposti ad affermare la questione quasi esattamente in queste ultime parole, come teoria. Ma l'argomento è troppo profondo e troppo pratico per una coerenza logica netta.
Egli opera davvero in noi e attraverso di noi. Ma allora è Lui. E per l'anima in difficoltà c'è una realtà e un potere indicibili nel pensare a Lui come un separabile, diciamo semplicemente un personale, Alleato, che è anche Comandante, Signore, Datore di vita; e nel chiamarlo definitivamente dentro.
Quindi leggiamo di nuovo questo passaggio e notiamo questo silenzio assoluto ed eloquente in esso sullo Spirito Santo. E noi osiamo, in questa prospettiva, interpretarla come la confessione di san Paolo, non di un'esperienza passata, non di un'esperienza immaginata, ma della sua esperienza sempre normale, quando agisce fuori del personaggio come un uomo rigenerato. Egli fallisce, "ritorna", quando, essendo ancora un peccatore per natura, e ancora nel corpo, incontra la Legge e incontra la tentazione, in qualsiasi forza che non sia la potenza definitivamente cercata dello Spirito Santo, facendo Cristo tutto a lui per la pace e la vittoria.
E implica, sicuramente, che questo fallimento non è una semplice ipotesi, ma che sa di cosa si tratta. Non è che Dio non sia sufficiente. Lui è così, sempre, ora, per sempre. Ma non sempre l'uomo si serve adeguatamente di Dio; come dovrebbe fare, come potrebbe fare, come mai si alzerà di nuovo per fare. E quando non lo fa, il fallimento che ne risulta - sebbene sia solo un pensiero di vanità, un impeto di rabbia inespressa, un difetto microscopico nella pratica della sincerità, un'immaginazione sconsacrata, che sfreccia in un attimo attraverso l'anima - è per lui dolore , onere, vergogna.
Gli dice che "la carne" è ancora presente, presente almeno nei suoi elementi, sebbene Dio possa tenerli fuori dalla combinazione. Gli dice che, sebbene immensamente benedetto, e sapendo ora esattamente dove cercare e trovare, una liberazione pratica costante (oh, gioia indicibile!), è ancora "nel corpo" e che le sue condizioni sono ancora di " Morte." E così guarda con grande desiderio alla sua redenzione. Il presente della grazia è buono, al di là di tutte le sue antiche speranze. Ma il futuro della gloria è "molto migliore".
Così l'uomo «servisce subito la Legge di Dio», come suo servo volenteroso (δουλευω, Romani 7:25 ), nella vita di grazia, e si sottomette, con riverenza e vergogna, alle sue convinzioni, quando, se non per un'ora, o un momento, "ritorna" alla vita della carne.
Riprendiamo ora il passaggio per una traduzione quasi continua.
Che dire allora, di fronte al pensiero della nostra morte divorziare, in Cristo, dal potere di condanna della Legge. La Legge è peccato? Sono solo due fasi di un male? Via il pensiero! Ma-ecco il. connessione dei due - non avrei conosciuto, riconosciuto, compreso, peccato ma per mezzo della legge. Per concupire, per esempio, non avrei saputo, non avrei riconosciuto come peccato, se la Legge non avesse detto: "Non desidererai.
Ma il peccato, facendo fulcro del comandamento, ha prodotto, ha operato in me ogni concupiscenza, ogni diversa applicazione del principio. Perché, a parte la legge, il peccato è morto, nel senso di mancanza di azione cosciente. Ha bisogno di «un santo Volontà", più o meno rivelata, per provocare la sua collisione. Non data nessuna santa volontà, conosciuta o presunta, ed è "morta" come ribellione, sebbene non come inquinamento. Ma io, la persona a cui giaceva sepolto, ero tutto vivo , cosciente e contenuto, legge a parte, una volta (strano antico ricordo in quella biografia!).
Ma quando il comandamento è venuto alla mia coscienza e alla mia volontà, il peccato è risorto ("di nuovo"; quindi non era una nuova creazione dopo tutto) e io-morii; Mi ritrovai legalmente condannato a morte, moralmente senza potere vitale e privato dell'autocompiacimento che sembrava il mio respiro vitale. E il comandamento che era diretto alla vita, non prescrivendo altro che il perfetto diritto, la linea retta verso la vita eterna, si è rivelato per me verso la morte.
Perché il peccato, facendo fulcro del comandamento, mi ha ingannato, facendomi pensare fatalmente male a Dio e a me stesso, e per questo mi ha ucciso, scoprendomi a me stesso legalmente e moralmente un morto. Così che la Legge, infatti, è santa, e il comandamento, il precetto speciale che fu il mio vero colpo mortale, santo, giusto e buono. (Egli dice, "la Legge, infatti", con l'antitesi implicita che "il peccato, d'altra parte," è l'opposto; tutta la colpa della sua miseria sotto la Legge sta nel peccato.
) La cosa buona dunque, questa buona Legge, è diventata per me morte? Via il pensiero! No, ma il peccato è divenuto così perché possa risultare peccato, operandomi la morte per mezzo della buona Legge, affinché il peccato potesse dimostrarsi peccaminoso in modo schiacciante, mediante il comandamento, che subito lo richiamava, e, per terribile contrasto, , ha esposto la sua natura. Osservate che non si limita a dire che il peccato in tal modo "apparve" indicibilmente malvagio.
Più audacemente, in questa frase di potenti paradossi, dice che "diventò" tale. Per così dire, ha sviluppato il suo "carattere" nella sua "azione" più piena, quando ha usato così l'eterna Volontà per opporre la creatura al Creatore. Eppure anche questo è stato annullato; tutto avvenne così "in ordine", affinché la stessa virulenza della peste potesse effettivamente richiedere il glorioso rimedio.
Poiché sappiamo, noi uomini con la nostra coscienza, noi cristiani con la luce di nostro Signore, che la Legge, questa Legge di cui il peccato si abusò così tanto, è spirituale, l'espressione della Santità eterna, incorniciata dalla guida sicura dello Spirito Santo; ma poi io, io Paolo, preso come peccatore, visto separatamente da Christi sono carnale, un figlio di sé, venduto per essere sotto il peccato; sì, non solo quando, in Adamo, la mia natura si vendette dapprima, ma ancora e sempre, in quanto mi considero separato da Cristo, e in quanto, in pratica, vivo separato da Cristo, «ritornando, "Se solo per un minuto, alla mia vita personale.
Per il lavoro che elaboro, non so, non riconosco; Sono perso tra le sue condizioni distorte; perché non è ciò che voglio che pratico, ma è ciò che odio che faccio. Ma se ciò che faccio è ciò che non voglio, acconsento alla Legge che essa, la Legge, è buona; Dimostro la mia simpatia morale per il precetto con l'avallo datogli dalla mia volontà, nel senso della mia sincera preferenza morale. Ma ora, in questo stato di fatto, non sono più io che elaboro il lavoro, ma l'abitante in me-Peccato.
Implica con "non più" che una volta era diversamente; una volta la scelta "centrale" era per sé, ora, nella vita rigenerata, anche nei suoi conflitti, sì, anche nei suoi fallimenti, è per Dio. Un misterioso "altro sé" è ancora latente, e si afferma nella terribile realtà quando l'uomo vero, l'uomo come rigenerato, cessa di vegliare e di pregare. E in questo senso osa dire "non sono più io". È un senso esattamente opposto al sogno di scusarsi; poiché sebbene l'Ego come rigenerato non compia l'azione, con il suo sonno o con la sua fiducia ha tradito l'anima al vero agente.
E così egli passa naturalmente alle seguenti confessioni, nelle quali si legge subito la coscienza di uno stato che non dovrebbe essere, benché sia, e anche la convinzione che sia uno stato "fuori carattere" con se stesso, con la sua personalità redenta e di nuova creazione. In una tale confessione non si insinua il pensiero menzognero che "è stato consegnato a fare queste abominazioni"; Geremia 7:10 che è destino; che non può farne a meno.
Né è qui presente il miserabile sogno che il male non sia che una fase del bene, e che questi conflitti siano solo melodie discordanti che lottano per una cadenza in cui si accordano. È un gemito di vergogna e di dolore, di un uomo che non poteva essere torturato così se non fosse nato di nuovo. Eppure è anche un'ammissione, - come per assicurarsi che la liberazione è intenzionale, ed è a portata di mano, - che il tiranno traditore che ha lasciato entrare nel luogo del potere "è un estraneo" per lui in quanto uomo rigenerato. Non per scusa, ma per sgombrare il suo pensiero, e orientare la sua speranza, lo dice a se stesso, ea noi, nella sua ora buia.
Poiché so che non abita in me, cioè nella mia carne, il bene; nella mia vita personale, fintanto che, e fintanto che "torna" a se stesso come suo centro di lavoro, tutto è male, perché niente è come Dio vorrebbe che fosse. E quella "carne", quella vita personale, è sempre lì, latente se non evidente; presente in modo tale da essere pronta a riapparire istantaneamente, dall'interno, se comanda una potenza morale inferiore a quella del Signore stesso.
Poiché il volenteroso giace alla mia mano; ma l'elaborazione di ciò che è giusto, non lo fa. "Il volere", come in questo passaggio, non significa il fiat ultimo dell'anima dell'uomo, che decide la sua azione, ma la sua sincera approvazione morale, la sua simpatia morale, "le convinzioni" dell'essere illuminato. Perché non quello che voglio, anche bene, lo faccio; ma quello che non voglio, anche il male, lo pratico. Ora, se quello che faccio è quello che non voglio, non lo elaboro più come una volta, ma l'abitante in me, il peccato.
Ancora una volta il suo scopo non è una scusa, ma la liberazione. Non c'è qui nessun antinomismo mortale, come ha avvizzito innumerevoli vite, dove è stato ammesso il pensiero che il peccato può essere nell'uomo, e tuttavia l'uomo non può peccare. Il suo pensiero è, come sempre, che è la sua stessa vergogna che sia così; tuttavia che il male è, in definitiva, una cosa estranea al suo vero carattere, e che quindi ha ragione a chiamare in causa il legittimo re e vincitore.
E ora si ripropone il solenne problema della Legge. Quel severo, sacro, monitor sta guardando tutto il tempo, e per tutto il tempo dice le cose che prima hanno risvegliato il peccato dalla sua tomba vivente nella vecchia esperienza compiacente, e poi, nello stato rigenerato, hanno provocato il peccato al suo massimo tradimento, e invasioni più feroci. E l'uomo sente la voce, e nel suo personaggio appena creato lo adora. Ma è "ritornato", anche se così poco, al suo vecchio atteggiamento, alla vita di sé, e quindi c'è anche ribellione in lui quando quella voce dice "Farai.
" Così trovo la Legge - avrebbe detto: "Lo trovo il mio monitor, onorato, sì e amato, ma non il mio aiutante"; ma spezza la frase nello stress di questa intensa confessione; così trovo la Legge -per me, io con la volontà di fare il bene, -che per me il male è vicino.Perché ho una simpatia felice con la Legge di Dio; ciò che Egli prescrive lo approvo con gioia come bene, per quanto riguarda l'uomo interiore, cioè, il mio mondo di intuizione cosciente e di affetto nella nuova vita; ma vedo (come se fossi un osservatore dall'esterno) una legge rivale, un altro e contraddittorio precetto, "servisci te stesso", nelle mie membra, nel mio mondo di senso e facoltà attiva, in guerra con la legge della mia mente, la Legge di Dio, adottata dal mio potere di pensare ora illuminato come suo codice sacro, e cercando di farmi prigioniero in quella guerra alla legge del peccato,la legge che è nelle mie membra.
Infelice uomo sono io che mi salverà dal corpo di questa morte, da una vita condizionata da questo corpo mortale, che nella caduta divenne il veicolo speciale del peccato, direttamente o indirettamente, e che in realtà non è ancora Romani 7:23 " riscattato"? Grazie a Dio, che dona quella liberazione, in alleanza e in misura ora, pienamente e in attualità eterna nell'aldilà, per mezzo di Gesù Cristo nostro Signore.
Allora, per riassumere tutto il fenomeno del conflitto, lasciando da parte per il momento questa gloriosa speranza della questione, io, io stesso, con la mente sì prendo servizio alla legge di Dio, ma con la carne, con la vita di me stesso, ovunque e ogni volta che "ritorno" in quel modo, lego servizio alla legge del peccato.
Chiudiamo il passaggio con un sospiro, e quasi con un gemito? Sospiriamo per la complessità del pensiero, la profondità e sottigliezza del ragionamento, la quasi fatica di fissare e di afferrare i fatti sotto i termini "volontà", e "mente", e "uomo interiore", e "carne, " e io"? Ci lamentiamo della consapevolezza che nessuna analisi dei nostri fallimenti spirituali può consolarci per il fatto di essi, e che l'Apostolo sembra nelle sue ultime frasi relegare le nostre consolazioni al futuro, mentre è nel presente che falliamo, e nel presente che desideriamo con tutta l'anima fare, oltre che approvare la volontà di Dio?
Pazientiamo, e pensiamo anche di nuovo. Troviamo una pace solenne e santificante nella pazienza che accoglie docilmente il mistero di cui abbiamo bisogno "attendere ancora la redenzione del nostro corpo"; che le condizioni di "questo corruttibile" devono ancora per una stagione offrire agguati e vantaggi alla tentazione, che sarà tutta annientata in seguito. Ma pensiamo anche di nuovo. Se siamo andati bene nelle nostre osservazioni precedenti a questo passaggio, ci sono possibilità gloriose per l'ora presente "leggibile tra le righe" di S.
La confessione indicibilmente profonda di Paul. Abbiamo visto in conflitto l'uomo cristiano, rigenerato, ma preso, in senso pratico, separato dal suo Rigeneratore. Lo abbiamo visto combattere davvero, anche se fallisce davvero. Lo abbiamo visto inconsapevolmente, ma colpevolmente, tradire la sua posizione al nemico, occupandolo quasi da solo. Abbiamo anche visto, tuttavia, che non è l'alleato del suo nemico, ma il suo antagonista. Ascolta; sta chiamando il suo re.
Quel grido non sarà vano. Il Re adotterà una doppia linea di azione in risposta. Mentre il suo servo-soldato è ancora nel corpo, "il corpo di questa morte", Egli si getterà nella stretta stretta e cambierà meravigliosamente la marea al suo interno e intorno ad essa. E in seguito, lo demolirà. Piuttosto lo trasfigurerà, nella controparte, per così dire nella parte, del Suo stesso corpo di gloria; e l'uomo riposerà, servirà e regnerà per sempre, con un essere omogeneo in tutto e per tutto nella sua somiglianza con il Signore.