Commento biblico dell'espositore (Nicoll)
Romani 8:26-39
Capitolo 19
LO SPIRITO DI PREGHIERA NEI SANTI: IL LORO PRESENTE ED ETERNO BENESSERE NELL'AMORE DI
Nell'ultimo paragrafo la musica di questa gloriosa profezia didattica passava, in alcune frasi solenni, al modo minore. "Se condividiamo le sue sofferenze"; "Le sofferenze di questa stagione attuale"; "Piangiamo dentro di noi"; "Nel senso della nostra speranza siamo stati salvati." Tutto bene. L'armonia profonda della piena esperienza del cristiano, se è piena sia in basso che in alto, esige talvolta tali toni; e sono tutte musica, poiché esprimono una vita in Cristo, vissuta mediante il potere dello Spirito Santo.
Ma ora lo sforzo è quello di ascendere di nuovo nella sua maniera più ampia e trionfante. Ora dobbiamo ascoltare come la nostra salvezza, sebbene i suoi problemi ultimi siano ancora cose di speranza, è essa stessa una cosa di eternità, da eterna a eterna. Dobbiamo assicurarci che tutte le cose funzionino ora, in un'azione simultanea, per il bene del credente; e che la sua giustificazione è certa; e che la sua gloria è così certa che il suo futuro è, dal punto di vista del suo Signore, presente; e che niente, assolutamente niente lo separerà dall'amore eterno.
Ma prima viene una parola più profonda e tenera, l'ultima del suo genere nella lunga discussione, sulla presenza e il potere dello Spirito Santo. L'Apostolo ha ancora nell'orecchio, nel cuore, il “gemito” del cristiano; infatti, è suo. E ha appena indicato se stesso ei suoi compagni di fede verso la gloria imminente, come un meraviglioso antidoto; una prospettiva che è insieme grande in sé e indicibilmente suggestiva della grandezza data al santo più sofferente e tentato dalla sua unione con il suo Signore.
Come a dire al pellegrino, nel suo momento di angoscia: "Ricordati, tu sei a Dio più di quanto tu possa mai sapere; Egli ti ha fatto tale, in Cristo, che la Natura universale è preoccupata della prospettiva della tua gloria". Ma ora, come se nulla dovesse bastare se non ciò che è direttamente divino, gli invita a ricordare anche la presenza in lui dello Spirito Eterno, come suo potente ma tenerissimo Amico interiore. Proprio come "quella benedetta Speranza", così, "così anche", questa Benedetta Persona presente, è il potere del debole.
Prende l'uomo nel suo smarrimento, quando i problemi dall'esterno lo premono, e le paure dall'interno lo fanno gemere, ed è nel grande bisogno, ma non ha il diritto di piangere. Ed Egli si muove nell'anima stanca, e si alita nel suo pensiero, e il suo misterioso "gesso" di anelito divino si mescola al nostro gemito di affanno, e le brame dell'uomo vanno sopra ogni cosa non verso il riposo, ma verso Dio e la sua volontà.
Quindi il desiderio più intimo e dominante del cristiano è sia fisso che animato dal benedetto Abitatore, e cerca ciò che il Signore amerà concedere, anche se stesso e qualunque cosa Gli piaccia. L'uomo prega rettamente, quanto all'essenza della preghiera, perché (che miracolo divino ci viene presentato nelle parole!) lo Spirito Santo, immanente in lui, prega per mezzo di lui.
Ci azzardiamo così, in anticipo, a spiegare le frasi che ora seguono. È vero che san Paolo non dice esplicitamente che lo Spirito intercede in noi, oltre che per noi. Ma non deve essere così? Perché dove è Lui, dal punto di vista della vita cristiana, se non in noi?
Poi, allo stesso modo, anche lo Spirito - "oltre che la speranza" - aiuta, come con una mano che stringe, che sorregge, la nostra debolezza, la nostra brevità e smarrimento di intuizione, la nostra debolezza di fede. Per che cosa dovremmo pregare come dovremmo, non lo sappiamo; ma lo Spirito stesso si interpone per intercedere per noi con gemiti inesprimibili; ma (qualunque sia l'espressione o nessuna espressione) il Cercatore dei nostri cuori sa qual è la mente, il significato, dello Spirito; perché a Dio, con divina intuizione e simpatia, lo Spirito presso il Padre, intercede per i santi.
Non intercedette così per Paolo, e in lui, quattordici anni prima che queste parole fossero scritte, quando 2 Corinzi 12:7 l'uomo per tre volte chiese che "la spina" fosse rimossa, e il Maestro gli diede una benedizione migliore, il vittorioso potere adombrante? Non intercedeva così per Monica, e in lei, quando ella cercava con preghiere e lacrime di tenersi presso di sé il suo ribelle Agostino, e il Signore lo lasciava volare dal suo fianco, in Italia, in Ambrogio, e così alla conversione?
Ma ora la tensione sale, finalmente e pienamente, nel riposo e nel trionfo della fede. "Non sappiamo per cosa dovremmo pregare come dovremmo"; e lo Spirito benedetto soddisfa questo bisogno profondo a modo suo. E questo, con tutto il resto che abbiamo in Cristo, ci ricorda un po' che “sappiamo” appunto; vale a dire, che tutte le cose, favorevoli o meno in se stesse, concorrono a benedire i santi. E poi guarda indietro (o meglio in alto) nell'eternità, e vede il trono, e il Re con la Sua volontà sovrana, e le linee del piano e del provvedimento perfetti e infallibili che si estendono da quel Centro all'infinito.
Questi "santi", chi sono? Da un certo punto di vista, sono semplicemente peccatori che hanno visto se stessi, e sono "fuggiti per rifugiarsi nell'unica possibile "speranza"; una "speranza posta davanti" ad ogni anima che si preoccupa di vincerla. Da un altro punto di vista, quello della «Mente e dell'Ordine eterni», sono coloro che, per ragioni infinitamente sagge e giuste, ma interamente nascoste in Sé, il Signore ha scelto di essere Suoi per sempre, affinché la Sua scelta abbia effetto nella loro conversione, la loro accettazione, la loro trasformazione spirituale e la loro gloria.
Là, riguardo a questo grande passo, il pensiero riposa e cessa nella glorificazione dei santi. Ciò che il loro Glorificatore farà con loro, e attraverso di loro, così glorificato, è un'altra questione. Sicuramente ne farà uso nel suo regno eterno. La Chiesa, resa benedetta per sempre, è ancora beatificata, in definitiva, non per se stessa, ma per il suo Capo e per suo Padre. Deve essere, nella sua perfezione finale, «abitazione di Dio, nello Spirito.
" Efesini 2:22 Is Non così per possederla che l'Universo Lo vedrà in esso, in modo e grado ora sconosciuto e inimmaginabile? Non è l'infinito 'servizio' degli eletti ad essere tale che tutti gli ordini di essere deve attraverso di loro contemplano e adorano la gloria del Cristo di Dio? Per sempre saranno ciò che qui diventano, i servi del loro Signore redentore, la sua Sposa, il suo veicolo di potenza e di benedizione; e tutto per Lui.
"Nessuna esaltazione piena di sé li attende nel luogo della luce, o l'intera storia del peccato ricomincerebbe da capo, in un nuovo eone. Nessun fariseismo celeste sarà il loro spirito; uno sguardo in basso su regioni meno benedette dell'esistenza, come da un santuario tutto loro. Chi può dire quali ministeri di amore sconfinato saranno l'espressione della loro vita di gioia inesprimibile e inesauribile? Sempre, come Gabriele, "in presenza", non sempre anch'essi, come lui, "saranno inviati " Luca 1:19 sui messaggi della loro testa gloriosa, nei quali a lungo, in 'evento divino', 'tutte le cose sono riuniti'?
Ma non è questo il pensiero del passaggio ora nelle nostre mani. Qui, come abbiamo detto, il pensiero termina nella glorificazione finale dei santi di Dio, come meta immediata del processo della loro redenzione.
Ma sappiamo che per coloro che amano Dio tutte le cose cooperano al bene, anche per coloro che, a proposito di uno scopo, sono i Suoi chiamati. "Lo sappiamo", con la cognizione della fede; vale a dire, perché Lui, assolutamente degno di fiducia, lo garantisce con il suo carattere e con la sua parola. Profondo, anzi, insolubile è il mistero, da ogni altro punto di vista. Gli amanti del Signore non sono infatti in grado di spiegare, a se stessi o agli altri, come questo concorso di "tutte le cose" elabori in loro i suoi problemi infallibili.
E l'osservatore esterno non può comprendere la loro certezza che sia così. Ma il fatto è lì dato e assicurato, non dalla speculazione sugli eventi, ma dalla conoscenza personale di una Persona Eterna. "Ama Dio e lo saprai".
Essi « amano Dio », con un amore perfettamente non artificiale, l'affetto genuino dei cuori umani, cuori non meno umani perché divinamente nuovi, rigenerati dall'alto. La loro coscienza immediata è proprio questo; lo amiamo. No, abbiamo letto il libro della vita; abbiamo avuto un barlume dello scopo eterno in sé; abbiamo sentito recitare i nostri nomi in un albo degli eletti; ma noi Lo amiamo. Abbiamo trovato in Lui l'Amore eterno.
In Lui abbiamo la pace, la purezza e quella profonda, ultima soddisfazione, quella visione del "Re nella sua bellezza", che è il summum bonum della creatura. È stata colpa nostra se l'abbiamo visto non prima, se l'abbiamo amato non prima. È dovere di ogni anima che Egli ha fatto riflettere sul suo bisogno di Lui, e sul fatto che deve a Lui amarlo nella sua santa bellezza di eterno Amore. Se non abbiamo potuto è perché non l'avremmo fatto.
Se non puoi è perché, in qualche modo e da qualche parte, non lo farai; non vi metterete senza riserve sulla via della vista. "Oh, gusta e vedi che il Signore è buono"; oh, ama l'eterno Amore. Ma coloro che amano così semplicemente e genuinamente Dio sono anche, d'altra parte, "propositivi, i suoi chiamati"; "chiamato", nel senso che abbiamo trovato sopra coerentemente rintracciabile nelle Epistole; non solo invitato, ma introdotto; non solo evangelizzato, ma convertito.
In ogni caso della felice compagnia, l'uomo, la donna, è venuto a Cristo, è venuto ad amare Dio con la più libera venuta della volontà, del cuore. Eppure ognuno, essendo venuto, doveva ringraziare il Signore per la venuta. La personalità umana aveva tracciato la sua orbita di volontà e di azione, proprio come quando volle peccare e ribellarsi. Ma ecco, in modi oltre la nostra scoperta, la sua traccia libera si trovava lungo una traccia precedente dello scopo dell'Eterno; il suo libero "io" era la corrispondenza precisa e preordinata al suo "tu devi". Era l'atto dell'uomo; era la grazia di Dio.
Possiamo andare al di sotto di tale affermazione o al di sopra di essa? Se abbiamo ragione nella nostra lettura dell'intero insegnamento della Scrittura sulla sovranità di Dio, i nostri pensieri su di essa, praticamente, devono affondare, e riposare, proprio qui. La dottrina della Scelta di Dio, nel suo sacro mistero, rifiuta - così umilmente pensiamo - di essere spiegata così da significare in effetti poco che la scelta dell'uomo. Ma poi la dottrina è "una lampada, non un sole.
«Ci viene presentato dappertutto, e non da ultimo in questa Lettera, come una verità non destinata a spiegare tutto, ma a far rispettare questa cosa, che l'uomo che di fatto ama l'eterno Amore deve ringraziare non se stesso ma quell'Amore che i suoi occhi, colpevolmente chiusi, furono effettivamente aperti.Nessun anello nella catena della Redenzione attuale è di nostra creazione - o il tutto sarebbe davvero fragile. È "di Lui" che noi, in questa grande questione, vogliamo come noi Avrei dovuto amare sempre Dio. È solo per la Sua misericordia che lo amo ora.
Con questa lezione di estrema umiliazione la verità della Scelta celeste, e la sua chiamata efficace, ci porta anche quella di un incoraggiamento del tutto divino. Un tale "scopo" non è una cosa fluttuante, che cambia con le correnti del tempo. Tale chiamata a tale abbraccio significa tenacia, oltre che un'accoglienza degna di Dio. "Chi ci separerà? Nessuno li strapperà dalla mano di MIO Padre." Ed è questo il motivo delle parole in questo contesto meraviglioso, dove tutto è fatto per pesare sulla sicurezza dei figli di Dio, in mezzo a tutti i pericoli immaginabili.
Per i quali Egli conosceva in anticipo, con una prescienza che, in questo argomento, può significare a dir poco predeterminazione - non una semplice prescienza di ciò che avrebbero fatto, ma piuttosto di ciò che avrebbe fatto per loro - coloro che ha anche messo da parte in anticipo, per conformazione , profonda e genuina, una somiglianza dovuta all'essere affine, all'immagine, al Volto manifestato di Suo Figlio, affinché Egli potesse essere il primogenito tra molti fratelli, circondato dalla schiera di volti affini, esseri congeniali, figli di Suo Padre dalla loro unione con se stesso.
Così, come sempre nelle Scritture, il mistero ha pieno carattere. L'uomo è salvato per essere santo. La sua "predestinazione" non è semplicemente quella di non perire, ma di essere fatta come Cristo, in una trasformazione spirituale, emergendo nei tratti morali della famiglia del cielo. E tutto si basa in ultima analisi sulla gloria di Cristo. I santi riuniti sono un organismo, una famiglia, davanti al Padre; e il loro Centro vitale è il Figlio diletto, che vede nella loro vera filiazione il frutto del "travaglio della sua anima".
Ma coloro che Egli così preliminarmente mise da parte, Egli chiamò anche, attirò effettivamente in modo così vero e libero a scegliere Cristo; e quelli che così chiamò a Cristo, li giustificò anche in Cristo, in quella grande via di propiziazione e di fede di cui l'Epistola ha così largamente parlato; ma quelli che ha così giustificati, li ha anche glorificati. "Glorificato": è un meraviglioso passato remoto. Ci ricorda che in questo passaggio siamo posti, per così dire, sulla montagna del Trono; al nostro pensiero finito è concesso di parlare per una volta (per quanto poco lo capisca) il linguaggio dell'eternità, di pronunciare i fatti come li vede l'Eterno.
Per Lui il pellegrino è già nel paese immortale; il servo è già alla fine della sua giornata, ricevendo il "Ben fatto, buono e fedele" del suo Padrone. Colui per il quale il tempo non è come lo è per noi vede così i suoi propositi completi, sempre e per sempre. Vediamo attraverso la Sua vista nell'udire la Sua parola al riguardo. Così per noi, in un meraviglioso paradosso, la nostra glorificazione si presenta, tanto quanto la nostra chiamata, in termini di fatto compiuto.
Qui, in un certo senso, termina la lunga catena d'oro della dottrina dell'Epistola, nella mano del Re, che così incorona i peccatori di cui ha avuto la redenzione, la fede, l'accoglienza e la santità, nel Cielo del proprio Essere. , volere e preordinato, "prima che il mondo cominciasse", soprattutto il tempo. Ciò che resta del capitolo è l'applicazione della dottrina. Ma che applicazione! L'Apostolo porta i suoi convertiti nel campo aperto della prova e ordina loro di usare lì la sua dottrina.
Sono così cari al Padre nel Figlio? Ogni loro esigenza è così soddisfatta? La loro colpa è cancellata nel potente merito di Cristo? La loro esistenza è piena dello Spirito eterno di Cristo? Il peccato è così gettato sotto i loro piedi, e un tale cielo si è aperto sopra le loro teste? "Allora che cosa hanno da temere", davanti all'uomo, o davanti a Dio? Quale potere nell'universo, di qualunque ordine di esistenza, può davvero ferirli? Perché che cosa può separarli dalla loro parte nel loro Signore glorificato e nell'amore del Padre suo in lui? Ascoltiamo ancora, con Tertius, mentre la voce continua:
Che diremo dunque in vista di queste cose? Se Dio è per noi, chi è contro di noi? Colui che non ha risparmiato il suo vero Figlio, ma lo ha consegnato per tutti noi a quell'orribile espiazione, propiziazione, tenebra e morte, perché si " Isaia 53:10 , di addolorarlo", Isaia 53:10 tutto per la Sua grande gloria, ma, non per questo meno, tutto per la nostra pura benedizione; come (meraviglioso "come"!) non potrà anche Lui con Lui, perché tutto è incluso e coinvolto in Colui che è il Tutto del Padre, darci anche gratuitamente tutte le cose ("tutte le cose che sono")? E vogliamo essere sicuri che dopo tutto non troverà un difetto nella nostra pretesa e non ci getterà nella Sua corte? Chi accuserà gli eletti di Dio? Volontà Dio, che li giustifica.
? Chi li condannerà se l'accusa è depositata? Cristo, che è morto, anzi, che è risorto, che sta alla destra di Dio, che realmente intercede per noi? (Osserva questa menzione nell'intera Lettera della Sua Ascensione, e la Sua azione per noi sopra, poiché Egli è, per il fatto della Sua seduta sul Trono, il nostro sicuro Canale di benedizione eterna, indegni che siamo.) Abbiamo bisogno certezza, in mezzo "alle sofferenze di questo tempo presente", che per loro mezzo sempre le mani invincibili di Cristo ci stringono, con amore instancabile? Noi "guardiamo all'alleanza" della nostra accettazione e vita in Colui che è morto per noi, e che vive sia per che in noi, e incontriamo in pace il più feroce schianto di queste onde.
Chi ci separerà dall'amore di Cristo? Si levano davanti a lui, mentre chiede, come tante personalità arrabbiate, le pene esteriori del pellegrinaggio. Tribolazione? o perplessità? o persecuzione? o carestia? o nudità? o pericolo? o spada? Come sta scritto, in quel profondo canto di angoscia e di fede Salmi 44:1 in cui la Chiesa antica, una con noi in profonda continuità, racconta la sua storia di afflizione: "Per amor tuo siamo fatti a morte tutto il giorno a lungo; siamo stati annoverati, stimati, come pecore da macello.
"Anche così. Ma in queste cose, tutte, noi più che vinciamo; non solo calpestiamo i nostri nemici; li deturpiamo, troviamo loro occasioni di glorioso guadagno, per mezzo di Colui che ci ha amati. Perché sono sicuro che né morte, né vita, vita con le sue lusinghe naturali o le sue sconcertanti fatiche, né angeli, né principati, né potestà, qualunque Ordine di essere ostili a Cristo e ai suoi santi contiene il vasto Invisibile, né le cose presenti, né le cose a venire, in tutto il campo sconfinato delle circostanze e delle contingenze, né altezza, né profondità, nella sfera illimitata dello spazio, né alcuna altra creatura, nessuna cosa, nessun essere, sotto l'Increato, potrà separarci, "noi" con un enfasi sulla parola e sul pensiero, dall'amore di Dio, che è in Cristo Gesù nostro Signore, dall'abbraccio eterno in cui il Padre avvolge il Figlio,e, nel Figlio, tutti coloro che sono uno con lui.
Così ancora una volta la musica divina si srotola nel Nome benedetto. Abbiamo ascoltato le cadenze precedenti come sono venute nel loro ordine; "Gesù nostro Signore, che è stato liberato per le nostre offese, ed è risorto per la nostra giustificazione"; Romani 4:25 "affinché regni la grazia, per mezzo di Gesù Cristo nostro Signore"; Romani 5:21 "Il dono di Dio è la vita eterna, in Gesù Cristo nostro Signore"; Romani 6:23 "Ringrazio Dio per mezzo di Gesù Cristo nostro Signore".
Romani 7:25 Come il tema di una fuga ha risuonato, profondo e alto; ancora, sempre, "nostro Signore Gesù Cristo", che è tutte le cose, e in tutte e per tutte, alle sue felici membra credenti. E ora tutto è raccolto in questo. La nostra "Giustizia, Santificazione e Redenzione", 1 Corinzi 1:30 i 1 Corinzi 1:30 d'oro del terzo capitolo, e il sesto e l'ottavo, sono tutti, nella loro ultima essenza vivente, "Gesù Cristo nostro Signore.
«Egli fa di ogni verità, di ogni dottrina di pace e di santità, di ogni premessa sicura e di indissolubile inferenza, vita oltre che luce. Egli è perdono, e santità e cielo. Qui, infine, l'Eterno Amore non si vede come erano diffusi all'infinito, ma raccolti interamente e per sempre in Lui. Perciò essere in Lui è essere in Lui. È essere dentro la stretta che circonda l'Amato del Padre.
Alcuni anni fa ricordiamo di aver letto questo passaggio, questa chiusura dell'ottavo capitolo, in circostanze commoventi. In una notte di gennaio senza nuvole, arrivati tardi a Roma, ci siamo fermati al Colosseo, un gruppo di amici dall'Inghilterra. Orione, il gigante con la spada, luccicava come uno spettro, lo spettro della persecuzione, sopra l'immenso recinto; perché la luna piena, alta nei cieli, ha vinto le stelle. Alla sua luce leggiamo da un piccolo Testamento queste parole, scritte tanto tempo fa per essere lette in quella stessa Città; scritto dall'uomo la cui polvere ora dorme alle Tre Fontane, dove il carnefice lo congedò per stare con Cristo; scritto a uomini e donne, alcuni dei quali almeno, con ogni umana probabilità, soffrirono nello stesso Anfiteatro, eretto solo ventidue anni dopo che Paolo scrisse ai Romani, e presto fece teatro di innumerevoli martiri. " Vuoi una reliquia?" disse un Papa a un visitatore ansioso. "Raccogli polvere dal Colosseo; sono tutti i martiri."
Abbiamo recitato le parole dell'Epistola e abbiamo reso grazie a Colui che lì aveva trionfato nei suoi santi sulla vita e sulla morte, sulle bestie, sugli uomini e sui demoni. Poi abbiamo pensato ai fattori più intimi di quella grande vittoria; Verità e Vita. Essi "sapevano in chi avevano creduto": il loro Sacrificio, il loro Capo, il loro Re. Colui che avevano creduto viveva in loro, ed essi in lui, mediante lo Spirito Santo dato loro. Poi abbiamo pensato a noi stessi, nelle nostre circostanze così totalmente diverse in superficie, ma portando gli stessi bisogni nelle loro profondità.
Anche noi dobbiamo vincere, nelle "cose presenti" del nostro mondo moderno, e di fronte alle "cose a venire" ancora sulla terra? Dobbiamo essere "più che vincitori", ottenendo la benedizione di tutte le cose, e vivendo veramente "nella nostra generazione" Atti degli Apostoli 13:36 come servi di Cristo e figli di Dio? Allora anche per noi le necessità assolute sono la stessa Verità e la stessa Vita.
E sono nostri, grazie al Nome della nostra salvezza. Il tempo non ha più dominio su di loro, perché la morte non ha più dominio su di lui. Anche per noi Gesù è morto. Anche in noi, per opera dello Spirito Santo, Egli vive.