Commento, spiegazione e studio di Ecclesiaste 2:3-26, verso per verso
Io presi in cuor mio la risoluzione di abbandonar la mia carne alle attrattive del vino, e, pur lasciando che il mio cuore mi guidasse saviamente, d'attenermi alla follia, finch'io vedessi ciò ch'è bene che gli uomini facciano sotto il cielo, durante il numero de' giorni della loro vita.
Io intrapresi de' grandi lavori; mi edificai delle case; mi piantai delle vigne;
mi feci de' giardini e dei parchi, e vi piantai degli alberi fruttiferi d'ogni specie;
mi costrussi degli stagni per adacquare con essi il bosco dove crescevano gli alberi;
comprai servi e serve, ed ebbi de' servi nati in casa; ebbi pure greggi ed armenti, in gran numero, più di tutti quelli ch'erano stati prima di me a Gerusalemme;
accumulai argento, oro, e le ricchezze dei re e delle province; mi procurai dei cantanti e delle cantanti, e ciò che fa la delizia de' figliuoli degli uomini, delle donne in gran numero.
Così divenni grande, e sorpassai tutti quelli ch'erano stati prima di me a Gerusalemme; e la mia sapienza rimase pur sempre meco.
Di tutto quello che i miei occhi desideravano io nulla rifiutai loro; non privai il cuore d'alcuna gioia; oiché il mio cuore si rallegrava d'ogni mia fatica, ed è la ricompensa che m'è toccata d'ogni mia fatica.
Poi considerai tutte le opere che le mie mani avevano fatte, e la fatica che avevo durata a farle, ed ecco che tutto era vanità e un correr dietro al vento, e che non se ne trae alcun profitto sotto il sole.
Allora mi misi ad esaminate la sapienza, la follia e la stoltezza. Che farà l'uomo che succederà al re? Quello ch'è già stato fatto.
E vidi che la sapienza ha un vantaggio sulla stoltezza, come la luce ha un vantaggio sulle tenebre.
Il savio ha gli occhi in testa, mentre lo stolto cammina nelle tenebre; ma ho riconosciuto pure che tutti e due hanno la medesima sorte.
Ond'io ho detto in cuor mio: "La sorte che tocca allo stolto toccherà anche a me; perché dunque essere stato così savio?" E ho detto in cuor mio che anche questo è vanità.
Poiché tanto del savio quanto dello stolto non rimane ricordo eterno; giacché, nei giorni a venire, tutto sarà da tempo dimenticato. Pur troppo il savio muore, al pari dello stolto!
Perciò io ho odiata la vita, perché tutto ciò che si fa sotto il sole m'è divenuto odioso, poiché tutto è vanità e un correr dietro al vento.
Ed ho odiata ogni fatica che ho durata sotto il sole, e di cui debbo lasciare il godimento a colui che verrà dopo di me.
E chi sa s'egli sarà savio o stolto? Eppure sarà padrone di tutto il lavoro che io ho compiuto con fatica e con saviezza sotto il sole. Anche questo è vanità.
Così sono arrivato a far perdere al mio cuore ogni speranza circa tutta la fatica che ho durato sotto il sole.
Poiché, ecco un uomo che ha lavorato con saviezza, con intelligenza e con successo e lascia il frutto del suo lavoro in eredità a un altro, che non v'ha speso intorno alcuna fatica! Anche questo è vanità, e un male grande.
Difatti, che profitto trae l'uomo da tutto il suo lavoro, dalle preoccupazioni del suo cuore, da tutto quel che gli è costato tanta fatica sotto il sole?
Tutti i suoi giorni non sono che dolore, la sua occupazione non è che fastidio; perfino la notte il suo cuore non ha posa. Anche questo è vanità.
Non v'è nulla di meglio per l'uomo del mangiare, del bere, e del far godere all'anima sua il benessere in mezzo alla fatica ch'ei dura; ma anche questo ho veduto che viene dalla mano di Dio.
Difatti, chi, senza di lui, può mangiare o godere?
Poiché Iddio dà all'uomo ch'egli gradisce, sapienza, intelligenza e gioia; ma al peccatore dà la cura di accogliere, d'accumulare, per lasciar poi tutto a colui ch'è gradito agli occhi di Dio. Anche questo è vanità e un correre dietro al vento.