Commento, spiegazione e studio di Romani 7:9-24, verso per verso
E ci fu un tempo, nel quale, senza legge, vivevo; ma, venuto il comandamento, il peccato prese vita, e io morii;
e il comandamento ch'era inteso a darmi vita, risultò che mi dava morte.
Perché il peccato, còlta l'occasione, per mezzo del comandamento, mi trasse in inganno; e, per mezzo d'esso, m'uccise.
Talché la legge è santa, e il comandamento è santo e giusto e buono.
Ciò che è buono diventò dunque morte per me? Così non sia; ma è il peccato che m'è divenuto morte, onde si palesasse come peccato, cagionandomi la morte mediante ciò che è buono; affinché, per mezzo del comandamento, il peccato diventasse estremamente peccante.
Noi sappiamo infatti che la legge è spirituale; ma io son carnale, venduto schiavo al peccato.
Perché io non approvo quello che faccio; poiché non faccio quel che voglio, ma faccio quello che odio.
Ora, se faccio quello che non voglio, io ammetto che la legge è buona;
e allora non son più io che lo faccio, ma è il peccato che abita in me.
Difatti, io so che in me, vale a dire nella mia carne, non abita alcun bene; poiché ben trovasi in me il volere, ma il modo di compiere il bene, no.
Perché il bene che voglio, non lo fo; ma il male che non voglio, quello fo.
Ora, se ciò che non voglio è quello che fo, non son più io che lo compio, ma è il peccato che abita in me.
Io mi trovo dunque sotto questa legge: che volendo io fare il bene, il male si trova in me.
Poiché io mi diletto nella legge di Dio, secondo l'uomo interno;
ma veggo un'altra legge nelle mie membra, che combatte contro la legge della mia mente, e mi rende prigione della legge del peccato che è nelle mie membra.
Misero me uomo! chi mi trarrà da questo corpo di morte?