1 Tessalonicesi 2:5

L'Apostolo è molto attento nel descrivere il rapporto in cui stava il suo ministero con i Tessalonicesi, per difendersi da ogni falsa accusa, ogni insinuazione o sospetto di insincerità o impurità di motivazione. Non c'era alcun elemento di impostura, cupidigia o astuzia nel suo ministero. Accreditato dall'alto, non piacque agli uomini, ma a Dio. Gli bastava, nel cercare il bene del prossimo, essere approvato da Colui che mette alla prova il cuore dei suoi servi.

I. Disdegna l'uso dell'adulazione. La sua esortazione era piuttosto la parola di semplice verità genuina. Se i suoi progetti fossero stati egoistici, avrebbe fatto uso dell'adulazione come una delle chiavi più facili per aprire la porta del debole cuore umano. Il suo insegnamento aveva come scopo prima di ferire, affinché, come la lancia di Ithuriel, potesse in seguito guarire.

II. È un passo breve e naturale per il pensiero dell'Apostolo passare dall'adulazione a ciò che è l'essenza, l'anima stessa di ogni adulazione, la cupidigia: quella forma di egoismo che sicuramente si manifesterà in parole lusinghiere. Si appella a Dio, come se avesse detto: Dio lo sa, e ciò che sa lo testimonierà a lungo, affinché anche voi sappiate che senza parole plausibili, ma con parole di sincerità e semplicità, vi ho predicato.

III. Passa con disprezzo come elemento della sua esortazione a qualsiasi ambizione, desiderio di gloria. "Non di uomini cercammo noi gloria." Il suo scopo non era l'onore degli uomini, ma l'approvazione di Dio. Il rotolo sullo scudo dell'uomo di mondo è: "Seguo la fama". In quella di Paul era "Piuttosto l'uso che la fama".

IV. Ma l'anelito dell'Apostolo verso i suoi amici tessalonicesi si manifestò ulteriormente nell'abnegazione di sé, nella disponibilità a trasmettere «anche le nostre anime». Quel suo cuore, che era inquieto finché non riposava in Cristo, mandava incessantemente il suo amore, ormai santificato nell'amore di Cristo, verso gli altri. Illustrò in se stesso la verità del vecchio proverbio italiano: "Il maestro è come la candela che accende gli altri consumandosi".

J.. Hutchison, Lezioni sui Tessalonicesi, p. 62.

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